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 2013  dicembre 19 Giovedì calendario

IL CACCIATORE DI PROSTITUTE TRA FUGHE, RICOVERI E OMICIDI


Stivali da cowboy bianchi. Jeans e borchie. I capelli ricci e neri afro. Occhiali Ray-Ban a specchio. Giubbotto di pelle e bandana rossa. Varianti: barba e baffi, fascia sui capelli, collane etniche. Vistosi anelli alle dita.
Sulla spiaggia di Celle Ligure c’è questo ragazzo dalla pelle scura, gli occhi neri e profondi, sembra uscito da uno screen-play di Quentin Tarantino. E’ il 16 gennaio 1981. Cammina sulla sabbia, gli stivaletti in mano «per non rovinarli», dice a chi lo cattura. Si chiama Bartolomeo Gagliano, ha 22 anni, un padre camionista di origine siciliana, emigrato da tempo a Savona, e già una passione sfrenata per le prostitute da strada. Ne ha appena uccisa una, l’ha lapidata su una piazzola dell’autostrada Genova-Savona. Perché? «Mi stavo per sposare, lei voleva dire tutto alla mia fidanzata». Sequenze horror. La picchia un po’, «appena un po’», poi cerca di soccorrerla ma cambia idea e le sfonda la testa con una grossa pietra. Lascia lì la 124 del padre accanto e se ne va a piedi.
Dalla collina alla spiaggia, nel crepuscolo di una giornata ventosa e piena di sole. Bartolomeo ha una strana idea della vita e della morte. Uccidere è niente. Lo condannano a 10 anni di manicomio criminale. I periti sono convinti: è un malato. Uomini e donne sono pupazzi da attivare quando servono e da spegnere se danno fastidio, se si ribellano, se pretendono, se costituiscono un simbolo, anche del Male.
A volte - nella lunga catena di tentati omicidi - qualcuno per caso si salva dalla furia omicida ma lui non ha mai rancore, neanche li ricorda tutti, figurarsi le ragioni. Evade nell’83 (conflitto a fuoco con i carabinieri) e nell’89. Ripreso nel febbraio ’90. Entra e esce, grazie ai permessi. Quando glieli negano, protesta e tenta il suicidio. Quasi sempre tagliandosi le vene.
Nel frattempo uccide, ferisce, sevizia. I poliziotti si ritrovano poi di fronte un uomo meditabondo, riflessivo, suadente. Si esprime con una rozza retorica. «Se ho sparato e non ho ucciso è perché all’ultimo una forza soprannaturale ha deviato la mia mano, sono uno strumento divino, agisco e decido chi vive e chi muore». Ok. Ma il travestito sudamericano ucciso a Genova l’11 febbraio 1989, assieme all’altro «vendicatore», Francesco Sedda, omicida malato di Aids, compare di sangue e di vendetta? «Portatori di malattie e di corruzione», si giustifica. Gli hanno sparato in faccia e preso a calci il cadavere. Ridevano ed erano felici, del sangue, delle contorsioni, dello «sguardo stupito» della vittima.
Il 14 febbraio se li ritrova davanti Francesco Panizzi, un trans conosciuto come Vanessa. Pensa a una rapina ma Bartolomeo gli infila in bocca la canna di una Beretta 7,65 e spara. Vanessa muore. Il cliente pensa sia una rapina e vuole dare soldi ai due. Loro lo irridono. Il giorno dopo, l’Opel Corsa di Gagliano e Sedda si ferma vicino a Laura Baldi, prostituta. Neanche una parola. Bartolomeo, con la chioma nera e ricciuta, il «velo di barba», le spara in gola. «Zampillava come una fontana - racconta compiaciuto - è morta?». No, gli rispondono i poliziotti che l’hanno appena fermato un posto di blocco. Nel marzo ’90 fugge di nuovo. Questa volta ha una fidanzata, Sabrina Ammannati. È con un amico, il pluri-omicida Fabrizio Allegra, di Varallo Sesia. Sabrina la trovano in fin di vita in un residence alla periferia di Firenze. Un colpo di pistola calibro 7,65 (l’arma con matricola abrasa è stata trovata nell’abitazione) le ha sfracellato il mento. Si salva. «Era un gioco erotico, mi è partito un colpo per sbaglio», precisa con dovizia di particolari hard.
Piovono condanne e altri periodi di internamento. Da allora a oggi ancora rapine, estorsioni. Persino uno stupro, a Savona. Nel 2006, di nuovo in permesso, entra nell’auto di una ragazza e la violenta. Riconosciuto e arrestato, rimedia nel 2008, altri 4 anni e 6 mesi di carcere. E altri permessi.