Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  dicembre 19 Giovedì calendario

PAPA FRANCESCO 2013 PER VANITY FAIR

Alle 19 del 13 marzo il comignolo del Conclave ha fumato bianco. Dopo più di un’ora di attesa, alle 20 e 22 la folla raccolta a Piazza San Pietro ha potuto vedere l’eletto: Jorge Mario Bergoglio, 76 anni (Flores, 17 dicembre 1936), argentino, gesuita, che si è imposto il nome di Francesco I. Imponente, s’è affacciato senza la mozzetta rossa, simbolo del potere papale, con una semplice croce al collo, neppure dorata. Ha parlato di sé soltanto come «vescovo di Roma», ha detto di essere arrivato «quasi dalla fine del mondo», s’è inchinato al popolo chiedendo di pregare in silenzio affinché Dio lo benedica, ha salutato il vescovo emerito Ratzinger.

Appena eletto papa, Francesco I ha rifiutato la berlina scura targata SCV1 per tornare alla Casa Santa Marta ed è salito assieme ai cardinali sul pullmino che nei due giorni di Conclave ha fatto da navetta tra la Sistina e l’albergo vaticano.

Papa Francesco ha continuato a vivere nella stanza 201 nella Casa Santa Marta, rifiutando di trasferirsi nell’appartamento papale). L’appartamento di papa Francesco a Santa Marta: un salotto con un paio di poltrone, un divano e una scrivania, alle spalle un austero crocifisso, una libreria a vetri, un tappeto a disegni persiani, quindi la camera con un letto di legno scuro, un frigorifero, un disimpegno e un bagno. A terra parquet industriale lucidato a specchio.

Il 19 marzo durante l’omelia, come sempre a braccio, della messa di “intronizzazione”, papa Francesco ha pronunciato la frase «Non dobbiamo avere paura della bontà e neanche della tenerezza». La messa che il Papa ha voluto meno lunga del solito e che ha celebrato, con tutti i cardinali presenti a Roma, direttamente si Piazza San Pietro, davanti a una folla di duecentomila persone (tante, ma meno del previsto), un mare di bandiere di tutti i paesi, un solicello non male, elicotteri che volteggiavano in cielo per garantire la sicurezza. L’altro giorno, uscendo da Santa Maria Maggiore, Francesco s’era ribellato ai gendarmi che pretendevano di proteggerlo: «Non mi servono le guardie, non sono un indifeso». Volendo significare, da prete, che l’unica protezione in cui ha fiducia è quella di Dio. Tuttavia ieri quella degli uomini ha funzionato.

Il 23 marzo Papa Francesco è andato in elicottero a Castel Gandolfo a trovare Papa Benedetto. C’è questa foto eccezionale dove si vedono i due papi – Francesco e Benedetto XVI – inginocchiati uno vicino all’altro, vestiti di bianco e con lo zucchetto bianco in testa, non proprio identici, Benedetto ha solo la talare, Francesco anche la mantellina e la fascia, inoltre Francesco è un po’ più alto e quando il fotografo li prende da dietro si vede che Benedetto è completamente canuto mentre Francesco ha ancora i capelli scuri solo spruzzati di bianco ai lati. Siamo nella Cappella di Castel Gandolfo. Benedetto voleva che Francesco si sedesse sull’inginocchiatoio d’onore, Francesco ha risposto che avrebbero pregato insieme, uno vicino all’altro, inginocchiati sullo stesso banco. «Siamo fratelli», ha aggiunto. Il colloquio tra i due è durato 40-45 minuti, e non se ne sa niente.

Il 13 aprile Papa Francesco ha nominato otto cardinali – più un vescovo – per «consigliarlo nel governo della Chiesa universale» e quindi «studiare un progetto» di riforma della Curia, ovvero di «revisione» della «Pastor Bonus» dell’88, la Costituzione di Wojtyla che regola la governance vaticana. Nel gruppo l’unico cardinale italiano è Giuseppe Bertello. Gli altri cardinali sono arcivescovi in diocesi di tutti i continenti: Francisco Javier Errazuriz Ossa (Santiago del Cile); Oswald Gracias (Bombay, India); Reinhard Marx (Monaco, Germania); Laurent Monswengo Pasinya (Kinshasa, Repubblica democratica del Congo); il francescano Sean Patrick O’Malley (Boston, Usa); George Pell (Sidney, Australia); e il salesiano Oscar Andrés Maradiaga Rodríguez (Tegucigalpa, Honduras), che sarà il coordinatore.

Il 2 maggio Ratzinger è tornato in Vaticano dopo due mesi a Castel Gandolfo: si è sistemato nelle stanze del monastero Mater Ecclesiae. Verso le 17 è stato accolto da papa Francesco e insieme hanno pregato nella cappella del monastero.

L’8 maggio Papa Francesco parlando alle 802 superiori delle suore di tutto il mondo, riunite a Roma: «La consacrata è madre, dev’essere madre e non zitella! Scusatemi, parlo un po’ così...».

Papa Francesco il 6 giugno, rispondendo alle domande dei vertici della Conferenza latinoamericana dei religiosi (Clar), ha parlato di una lobby gay in Vaticano e di «una corrente di corruzione nella Curia». Dalla Santa Sede si sono lamentati che un dialogo privato sia stato riportato pubblicamente, ma non è giunta smentita.

Il 16 giugno arriva la prima decisione di papa Francesco per riformare lo Ior (l’Istituto Opere Religiose, ossia la banca del Vaticano) è la nomina del prelato, ufficialmente l’anello di collegamento tra il consiglio dei cardinali e il board dei laici, una casella che risultava vacante da più di tre anni. Si tratta di monsignore Battista Ricca, con un passato nel servizio diplomatico della Santa Sede. Bergoglio lo ha scelto Chiacchierandoci tutti i giorni nella Casa di Santa Marta, che monsignor Ricca dirige e dove il Papa abita. La commissione cardinalizia di vigilanza dell’istituto ha dovuto chinare il capo e nel documento si specifica (fatto inconsueto) che la nomina di Ricca «è stata approvata dal Papa». Stessa procedura per la creazione della commissione d’inchiesta sulle attività dello Ior: del tutto all’improvviso, lunedì 24 giugno, è arrivata una lettera scritta di pugno dal Papa (si chiama «documento chirografo») in cui, «sentito il parere di diversi cardinali e altri fratelli nell’Episcopato, nonché di altri collaboratori», si insedia questo organismo incaricato di «raccogliere documenti, dati e informazioni» dello e sullo Ior «necessari allo svolgimento delle proprie funzioni istituzionali». Commissione di cinque persone (quattro religiosi e una laica) con i pieni poteri, a cui non sarà possibile opporre alcun segreto e che riferirà direttamente al Pontefice. A capo della Commissione ci sarà il cardinale Raffaele Farina, salesiano, classe 1933, già bibliotecario di Santa Romana Chiesa. Al suo fianco ci saranno il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e membro della Commissione di vigilanza cardinalizia dello Ior; monsignor Juan Ignacio Arrieta Ochoa de Chinchetru, vescovo spagnolo (coordinatore); monsignor Peter Bryan Wells, presidente della Commissione per le assunzioni negli organismi vaticani (segretario); la professoressa Mary Ann Glendon, presidente della Pontificia Accademia delle Scienza sociali.

Sorpresa di invitati e autorità che sabato 22 giugno ascoltavano il Grande concerto di musica classica per l’Anno della Fede (fissato dall’agosto del 2012) perché la poltrona di papa Francesco, al centro dell’aula Paolo VI , è rimasta vuota. Quando tutti, alle 17,30, si attendevano l’ingresso in sala del pontefice, l’arcivescovo Rino Fisichella ha annunciato: «Il Santo Padre non potrà essere presente per un’incombenza urgente e improrogabile». Pare invece che Francesco abbia detto: «Non vengo al concerto, non sono un principe rinascimentale».

Bergoglio ha aspettato i canonici tre mesi di tempo, che ogni gesuita catapultato in una nuova situazione si dà, e poi ha nominato un prelato allo Ior e dopo un paio di settimana una commissione d’inchiesta, presieduta dal cardinal Farina. Il prelato è monsignor Ricca, e lo ha scleto Chiacchierandoci tutti i giorni nella Casa di Santa Marta, che monsignor Ricca dirige e dove il Papa abita. La commissione cardinalizia di vigilanza dell’istituto ha dovuto chinare il capo e nel documento si specifica (fatto inconsueto) che la nomina di Ricca «è stata approvata dal Papa».

L’otto luglio Papa arriva in visita a Lampedusa, l’isola degli immigrati. A bordo di una motovedetta ha pregato per i morti in mare e gettato fiori nell’acqua. Arrivato al molo è stato accolto da un coro di ragazzi etiopi che gli hanno letto una lettera. Durante la messa ha esortato: «Chiediamo perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle». Poi ha aggiunto che «la globalizzazione dell’indifferenza» ci ha ridotti a non saper più piangere: «Ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare per risvegliare le nostre coscienze, perché ciò che è accaduto non si ripeta: non si ripeta, per favore». La denuncia è netta: «La cultura del benessere ci porta a pensare a noi stessi e ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone che sono belle ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio». La visita, sobria e senza autorità, si è conclusa con un pranzo a buffet e il Papa a mangiare in piedi un panino e un frammento di cassata prima della visita in parrocchia.

Con un Motu Proprio reso noto l’11 luglio il Papa ha così riformato il diritto penale in Vaticano: abolizione dell’ergastolo sostituito con una reclusione da 30 a 35 anni, pene più severe per i reati contro i minori e il riciclaggio, introduzione del reato di tortura, fissazione di principi generali a tutela del «giusto processo entro un termine ragionevole» e della presunzione di innocenza dell’imputato, riconoscimento di convenzioni penali internazionali e introduzione dei criteri di estradizione. La riforma era iniziata con Benedetto XVI. Le nuove norme, che entreranno in vigore il primo settembre, danno attuazione a una decina di Convenzioni internazionali che fino a ieri l’ordinamento vaticano non aveva recepito. Tra esse: le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 contro i crimini di guerra; la Convenzione internazionale del 1965 sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale; la Convenzione del 1984 contro la tortura ed altre pene, o trattamenti crudeli, inumani o degradanti; la Convenzione del 1989 sui diritti del fanciullo ed i suoi Protocolli facoltativi del 2000.

Il 22 luglio Papa Francesco è giunto in Brasile, a Rio de Janeiro, per la Giornata mondiale della gioventù. Problema perché, durante il percorso in auto per le vie della città, è rimasto bloccato dalla folla entusiasta che s’infilava nei finestrini per toccarlo. Il giorno prima del suo atterraggio, la polizia ha trovato un ordigno artigianale, un candelotto a basso potenziale, ad Aparecida, dove il Papa andrà domani.

Conversando con i giornalisti sull’aereo che lo riportava in Vaticano dal Brasile, papa Francesco ha detto: «Se ne scrive tanto, della lobby gay. In Vaticano dicono ce ne siano. Ma si deve distinguere il fatto che una persona è gay dal fatto di fare una lobby. Se è lobby, tutte le lobby non sono buone. Ma se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?». Poi a proposito dei risposati: «Ci occuperemo di loro, la misericordia di Dio è grande». Altre cose dette: sui divorziati «Credo che questo sia il tempo della misericordia, che sia l’occasione, il kairòs di misericordia»; su Benedetto XVI «per me è come avere un nonno in casa, ma il nonno saggio, o il mio papà. In famiglia il nonno è venerato,è ascoltato. Lui è prudente, non si immischia. Se avessi una difficoltà, una cosa che non ho capito, gli telefonerei»; sulle donne e la Chiesa «Una Chiesa senza le donne è come il collegio apostolico senza Maria. E la Madonna è più importante degli apostoli. Credo che non abbiamo fatto ancora una profonda teologia della donna nella Chiesa».

Ad agosto Bergoglio telefona direttamente a Stefano Cabizza, studente 19enne di ingegneria di Padova. Cabizza aveva consegnato a Castel Gandolfo una lettera al Santo Padre. Non è la prima telefonata a sorpresa di Papa Francesco e non sarà l’ultima nel corso del 2013. Bergoglio ama chiamare vecchi amici o anche semplicemente fedeli che lo hanno contattato con qualche messaggio. «Non potevo crederci – ha poi detto il giovane – abbiamo riso e scherzato per circa otto minuti. Mi ha chiamato verso le 17 dopo non avermi trovato in casa una prima volta. Mi ha detto che tra Gesù e gli Apostoli ci si dava del tu e mi ha chiesto di pregare molto per Santo Stefano e anche per lui. Mi ha impartito la benedizione ed ho sentito crescere una gran forza. Certo è stato il giorno più bello della mia vita». Tra le latre telefonate di Papa Francesco: a Rosalba Ferri, madre dell’imprenditore 51enne Andrea ucciso a colpi di pistola il 4 giugno durante una rapina, all’argentina Alejandra Pereyra, 44enne vittima di uno stupro da parte di un poliziotto, ai giornalisti Mario Palmaro, uno dei due giornalisti - l’altro è Alessandro Gnocchi, licenziati da Radio Maria in seguito a un loro articolo sul Foglio dal titolo «Questo Papa non ci piace».

In una lettera indirizzata a Putin e ai grandi della Terra, resa nota l’8 settembre, Papa Francesco ha rivolto un «sentito appello» perché i leader «abbandonino ogni vana pretesa di una soluzione militare» in Siria e «non rimangano inerti di fronte ai drammi che vive già da troppo tempo la cara popolazione siriana e che rischiano di portare nuove sofferenze alla regione», tornando a invocare «una soluzione pacifica attraverso il dialogo e il negoziato tra le parti, con il sostegno concorde della comunità internazionale»: «Duole constatare che troppi interessi di parte hanno prevalso da quando è iniziato il conflitto siriano, impedendo di trovare una soluzione che evitasse l’inutile massacro a cui stiamo assistendo». Negli Usa il cardinale Timothy Dolan, come presidente dei vescovi americani, ha mandato una lettera a Obama per chiedere «una soluzione politica».

Il 31 agosto Papa Francesco ha nominato nuovo Segretario di Stato l’arcivescovo Pietro Parolin, 58 anni, dal 2009 nunzio e quindi ambasciatore in Venezuela, accogliendo «la rinuncia» all’incarico del cardinale Tarcisio Bertone, quasi 79 anni, che lascia dopo sette anni. Il passaggio di consegne ci sarà il 15 ottobre. Restano i due vice e i rispettivi numeri tre della Segreteria di Stato. Il Papa ha rinnovato la fiducia al Sostituto per gli Affari Generali, l’arcivescovo Giovanni Angelo Becciu, e al Segretario per i Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Dominique Mamberti; così come restano monsignor Peter Wells, Assessore per gli Affari Generali, e monsignor Antoine Camilleri, Sottosegretario per i Rapporti con gli Stati. Con loro, è stato confermato anche l’arcivescovo Georg Gänswein, storico segretario particolare di Ratzinger che Benedetto XVI aveva voluto come prefetto della Casa pontificia.

Monsignor Parolin, nato a Schiavon, provincia di Vicenza, il 17 gennaio 1955, a 58 anni è il più giovane Segretario di Stato dal dopoguerra. Orfano di padre a dieci anni, cresciuto con la sorella e il fratello dalla mamma Ada, maestra elementare, dalla quale ogni estate passa tuttora le ferie, entra in seminario quattordicenne. Dopo la maturità classica e gli studi in filosofia e teologia, passa due anni da viceparroco a Schio prima di andare a Roma a studiare Diritto canonico alla Gregoriana. Nell’83, a 28 anni, entra nella pontificia Accademia ecclesiastica. Nell’86 comincia il suo servizio diplomatico, in Nigeria fino all’89, in Messico fino al ’92, prima di tornare a Roma ed entrare in Segreteria di Stato. Da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI, si è occupato di innumerevoli dossier. Soprattutto è esperto di Medio Oriente e del continente asiatico in generale. Quando Ratzinger lo ha ordinato vescovo, nel 2009, ha scelto come motto le parole della lettera di San Paolo ai Romani: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo?».

Il 19 settembre “Civilità Cattolica” ha pubblicato una lunga intervista a papa Francesco. Dice il pontefice: la Chiesa è «la casa di tutti, non una piccola cappella che può contenere solo un gruppetto di persone selezionate»: «Non dobbiamo ridurre il seno della Chiesa universale a un nido protettore della nostra mediocrità». E quando padre Spadaro gli chiede dei «cristiani che vivono in situazioni non regolari per la Chiesa o complesse» e parla di divorziati risposati e coppie gay, spiega: «A Buenos Aires ricevevo lettere di persone omosessuali, che sono “feriti sociali” perché mi dicono che sentono come la Chiesa li abbia sempre condannati. Ma la Chiesa non vuole fare questo». E ancora: «La religione ha il diritto di esprimere la propria opinione a servizio della gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile. Una volta una persona, in maniera provocatoria, mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora le risposi con un’altra domanda: “Dimmi: Dio, quando guarda a una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola?”. Bisogna sempre considerare la persona. Qui entriamo nel mistero dell’uomo. Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Accompagnare con misericordia». Importanti le parole sull’atteggiamento della Chiesa: «Invece di essere solo una Chiesa che accoglie, cerchiamo pure di essere una Chiesa che trova nuove strade, che è capace di uscire da se stessa e andare verso chi non la frequenta, chi se n’è andato o è indifferente. Chi se n’è andato, a volte lo ha fatto per ragioni che, se ben comprese, possono portare a un ritorno». Per chiarire il concetto ha preso come esempio un tema molto dibattuto, l’aborto: «Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore?». Infine sui temi etici: «Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna farlo in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione».

Il 12 ottobre, tramite l’elemosiniere del Vaticano, l’arcivescovo Konrad Krajewski, Papa Francesco ha inviato un assegno di 200 euro a un’anziana signora di Marghera. Era stata derubata del portafogli, dove aveva 54 euro che le erano stati prestati. Si è anche saputo che il pontefice, che segue con attenzione la sorte dei superstiti al naufragio del 3 ottobre nelle acque di Lampedusa, ha acquistato delle schede telefoniche internazionali per distribuirle e consentire loro di mettersi in contatto con i familiari.

Il 14 novembre Giorgio Napolitano ha accolto al Quirinale papa Francesco. Il pontefice ha attraversato la città con la Ford Focus blu targata «SCV00919». Niente scorta d’onore dei corazzieri né staffette o cortei, solo una protezione ridotta all’essenziale con un paio di moto della stradale, due auto della polizia e una della gendarmeria vaticana. Francesco è arrivato con 11 minuti di anticipo e ha trovato Napolitano ad attenderlo nel cortile. Dopo un incontro privato, hanno letto i loro discorsi. Il presidente ha parlato dell’Italia «stravolta da esasperazioni di parte in un clima avvelenato e destabilizzante» e ha lanciato un invito all’intera «classe dirigente italiana» perché «è tempo di levare più in alto lo sguardo, di riguadagnare lungimiranza e di portarci al livello delle sfide decisive che dall’oggi già si proiettano sul domani». Il pontefice ha sottolineato «gli effetti più dolorosi della crisi economica», come la disoccupazione, e chiesto una «moltiplicazione degli sforzi» mirata in particolare alla famiglia, «luogo primario in cui si forma e cresce l’essere umano, in cui si apprendono i valori e gli esempi che li rendono credibili».

Il 19 novembre Papa Francesco elimina dalla Congregazione dei vescovi Angelo Bagnasco, il presidente della Cei. A sostituirlo è uno dei tre vicepresidenti della Conferenza Episcopale Italiana, l’arcivescovo di Perugia Gualtiero Bassetti.