Gianfranco Morra, ItaliaOggi 18/12/2013, 18 dicembre 2013
CHI AIUTA I POVERI E I MALATI PUÒ DETRARRE FISCALMENTE IL 19% DEL SUO OBOLO PER CHI FINANZA UN PARTITO LA DETRAZIONE INVECE È DEL 37%
Due truffe vergognose. Nel 1974 Flaminio Piccoli introdusse il finanziamento pubblico dei partiti (raddoppiato nel 1981). I quali, nei decenni successivi, furono quasi tutti travolti da scandali e ruberie. Sino a Tangentopoli. Una vergogna, tanto che un referendum popolare cancellò il finanziamento nel 1993 con il 90,3 % dei voti. Pochi mesi dopo ci pensarono il parlamento e il governo Ciampi, che aggirarono il voto e lo ristabilirono sotto altro nome: nessun finanziamento, solo un rimborso elettorale (di tanto più cospicuo).
Avremo una terza truffa? L’annuncio roboante di Letta: «Basta con il finanziamento pubblico dei partiti», è una delle solite «panzane di propaganda» o è la via giusta, forse lunga e tortuosa, per mettere fine ad un abuso? Era naturale che i tempi lunghi da lui scelti (attendere il 2017) scatenassero commenti caustici. Ma si tratta di una decisione che, per non pochi motivi, va applicata gradualmente.
Occorrerebbe affrontare il problema fuori delle polemiche tra i partiti. I quali sono associazioni private, appena ricordati nell’art. 49 della Costituzione. Hanno la loro funzione: «Concorrere a determinare la politica nazionale», ma i proventi dovrebbero venire, se non soltanto almeno soprattutto, dal tesseramento e dalle donazioni dei privati, non dallo Stato.
É il mondo anglosassone il più contrario alle sovvenzioni. Negli Usa i privati non sovvenzionano i partiti, ma i candidati (anche se in piccola parte paga anche lo Stato);
in Gran Bretagna il contributo statale, assai scarso, va soprattutto alle opposizioni. Le altre grandi democrazie (Francia, Germania, Spagna, Giappone) ammettono invece il rimborso elettorale. Solo la Svizzera, in ciò «al di sopra di ogni sospetto», fa eccezione: neanche un soldo ai partiti
La soluzione del problema non è facile. Le sovvenzioni statali, così rilevanti e calcolate sul numero degli elettori, non dei votanti, sono un sopruso, oggi ancor più inammissibile in un momento di grave crisi economica. Ma è anche vero che delegare la scelta ai cittadini, autorizzati a dare il 2 per mille del reddito, come propone Letta, otterrà scarsi risultati: già nel 1997 fu proposta la donazione libera del 4 per mille, ma ben pochi la danno. Oggi, poi, con la quasi totale sfiducia nella politica _.
Ma, soprattutto, le sovvenzioni private possono configurare il trionfo delle lobby e dei grandi gruppi finanziari (come spesso avviene negli Stati Uniti). Esse dovranno dunque essere contenute: Letta ha proposto il limite di 300 mila euro. Facilmente aggirabile, dato che non solo ogni cittadino, ma anche ogni impresa potrà farlo. E spesso un cittadino ricco possiede più imprese. E quel 2 per mille sul reddito favorirà i partiti che hanno un elettorato benestante. Come hanno capito alcuni paesi europei, a partire dalla Germania: i sussidi statali non possono superare la somma totale delle donazioni, chi riceve da una parte perde dall’altra.
Forse una via media sarebbe stata più fertile: mantenere, fortemente limitato, il rimborso e sottoporlo a rigorosi controlli; e risparmiare su altri privilegi. Tanti altri interventi andrebbero compiuti: la trasformazione del Senato in organo federale con membri privi di retribuzione, la riduzione del numero dei parlamentari e dei loro eccessivi emolumenti (anche nelle regioni), la fine di spese ingiuste e incomprensibili come le sovvenzioni ai gruppi parlamentari (scandalosi quelli delle regioni!), alle scuole e ai giornali di partito, per non dire delle franchigie postali e dell’uso gratuito dei media.
E ancora: i privilegi a vita delle alte cariche dello Stato, lo sperpero di milioni per affittare sedi per i parlamentari, il costo delle province, la concessione ai politici trombati di presidenze pagatissime negli enti di Stato, gli abusi delle auto blu e dei viaggi aerei, le inutili e costose consulenze. In una stagione di vacche magre come la nostra, non solo i partiti, ma anche i politici dovrebbero stringere un po’ la cinghia.
Come è possibile che il cittadino possa detrarre dalle tasse il 19 % di quanto destina ai poveri e ai malati, mentre se dà soldi ai partiti potrà dedurre il 37 %? E che ancora le retribuzioni dei politici (Stato, regioni, province, comuni) siano in Italia le più alte di tutti i paesi democratici? E che la Presidenza della Repubblica costi tanto di più della Reggia di Elisabetta d’Inghilterra? I rimborsi ai partiti sono soltanto la punta di un iceberg di «appropriazioni», perpetrate da un «casta» diffamata e spudorata, che in mille modi mette le mani sulla ricchezza di tutti. Letta ha fatto bene a porre il problema. Ma la sua soluzione non può limitarsi ai rimborsi elettorali. Richiede molto di più.