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 2013  dicembre 18 Mercoledì calendario

ALBERTO TOMBA LA MIA VITA SENZA SCI


BOLOGNA DICEMBRE
Pizzeria di Milano, poco prima di mezzanotte. Il forno è spento, i camerieri si sono già levati la divisa, la cassa è chiusa. Si affaccia un ragazzone con un viso familiare. «State chiudendo?». Il proprietario si gira verso lo staff e fa un cenno d’intesa. Il forno viene riacceso, i camerieri si rimettono il grembiule. «Prego Alberto, entra, siamo aperti!».
Sono passati quindici anni da quando Alberto Tomba si è ritirato, dopo una gloriosa carriera in cui ha vinto oltre 50 gare di Coppa del mondo, ha conquistato cinque ori olimpici ed è stato, fra il 1986 e il 1998, l’atleta più famoso del pianeta. Ma, per i tifosi, il tempo si è fermato. Dopo di lui, nessuno. «Bolognese, estroverso, vincente, è difficile che nasca un altro come me», sorride, orgoglioso. Tomba. Da anni non fa interviste, è stato ospite al massimo tre volte in tv e ha rifiutato cifre stratosferiche pur di non partecipare ai reality. Sotto la lente deformante dello show business c’è già stato quando gareggiava: se litigava con un fotografo, prendeva una multa in auto o si fidanzava con Miss Italia, il giorno dopo era su tutti i giornali.
Domanda. Qui sopra mostriamo le sue vittorie ai lettori che non seguivano le sue imprese. Ma, per chi c’era, ci racconta che fine ha fatto dopo quel 15 marzo 1998, quando salutò tutti a CransMontana vincendo il suo ultimo slalom speciale?
Risposta. «Sono rimasto legato al mondo della neve e dello sport in generale. Ho collaborato con i Comitati olimpici e sosterrò la candidatura di Cortina per i Mondiali di sci 2019. Ho promosso lo sci fra i più giovani e i ragazzi in difficoltà grazie alla Laureus Academy & Sport for Good Foundation (www.laureus.com), un’associazione benefica che raccoglie i migliori atleti del mondo. È stato proprio Nelson Mandela, che ho avuto la fortuna di conoscere nel 2000, a darci la sua benedizione. “Lo sport può cambiare il mondo”, disse. Aveva ragione».
D. Le manca lo sci?
R. «Forse mi sono fermato troppo presto, ma ero molto stanco, demoralizzato. Mi hanno detto: “Riposati, fai quello che vuoi, poi fra due anni torni solo in slalom”. Ma sapevo che riprendere sarebbe stato complicato. Volevo chiudere in bellezza ai Giochi olimpici invernali di Torino 2006, ma in quella occasione ho avuto la soddisfazione di portare la torcia dentro lo stadio, va bene così».
D. Lei, sappiamo, sogna spesso le sue gare di sci. Lo fa con angoscia o nostalgia?
R. «Fino a qualche anno fa il ricordo era talmente vivo che mi svegliavo di scatto, dicendo: “Ecco, sono pronto, andiamo!”. Oggi non mi capita più: sto sveglio fino a tardi a rispondere ai fan, frequento gli amici o mi metto a vedere documentari».
D. Pensare che, quando correva, la dipingevano come un latin lover nottambulo.
R. «Lo so, dicevano che la sera prima delle gare stavo con le donne fino all’alba, ma non era così, magari succedeva due o tre sere prima (ride, ndr). Perché, se prendi quel vizio, non vinci più. Se ho vinto è perché mi sono saputo gestire anche le serate».
D. Come ha fatto a non perdere la testa quando era eroe nazionale?
R. «Perché ero me stesso. Mi descrivevano come “sbruffone, guascone”, aggettivi che ho sempre detestato, ma sono rimasto me stesso, non mi sono mai vantato di un successo perché ho sempre saputo che il difficile non era vincere, ma rivincere. A volte i media sono massacranti, c’erano giornalisti che seguivano le gare e si erano affezionati a me e altri, magari invidiosi, che da un ufficio si inventavano titoli assurdi».
D. La sua storia potrebbe servire da esempio ai campioni di oggi. Sembrava che ogni giorno ne combinasse una, ma poi, dopo che ha smesso, è diventato di colpo irreprensibile.
R. «Non le sembra strano? Da un lato è ovvio che sono più adulto ed esperto, dall’altro è vero che, quando sei il personaggio del momento, molti ne approfittano per farsi notare attaccandoti, litigando con te, come succede a volte a Balotelli. La verità è che non avevo vizi o punti deboli. Però metti insieme il latin lover di Bologna, le Olimpiadi, la Ferrari, Miss Italia. È ovvio che a qualcuno gli giravano (ride, ndr)».
D. Dopo parliamo della Colombari, ma nella sua autobiografia del 2009, Alberto Tomba. Prima e seconda manche, spende parole molto romantiche per la sua prima fidanzata. La vide una sera, la andò a trovare in negozio, passaste insieme cinque anni. Non poteva formare una famiglia con una ragazza così?
R. «Allora ero troppo giovane ed ero all’inizio della mia camera. È ovvio che in famiglia si aspettano un erede da me, ma oggi è oggettivamente più difficile impegnarsi per tutta la vita. Innamorarsi è bello, ma è il dopo che diventa complicato. Certe storie non avrei voluto nemmeno iniziarle per non far soffrire nessuno, potevano essere belle amicizie».
D. Il suo legame con Martina Colombari fece sognare. Ancora oggi, nelle interviste, la sua ex parla di lei con affetto. R. «Sì, mi fa piacere. La nostra’è stata una storia che ha fatto epoca e, dopo tanti anni, si continua a citarla. Lei adesso ha una bella famiglia ed è felice, siamo cresciuti entrambi e siamo rimasti in amicizia».
D. È rimasto scottato da quella storia mediatica?
R. «No, so che certi mix scatenano la fantasia e l’attenzione del pubblico e del gossip, sarebbe successo anche con Deborah Compagnoni o Federica Pellegrini, per fare un esempio».
D. Il 19 è il suo compleanno, che bilancio fa della sua vita?
R. «Rifarei tutto quello che ho fatto, forse sono stato troppo disponibile o troppo buono con chi non meritava. Mio padre me lo disse a 20 anni: “Devi saper dire di no”».
D. Senza campioni come lei e la Compagnoni lo sci ha perso appeal, ora farà il commentatore a Sky per le prossime Olimpiadi invernali, Sochi 2014.
R. «Più che altro opinionista, non sono uno che commenta. Le gare mi piace viverle, se possibile, dalla pista. Vengo da Bologna e le montagne mi hanno sempre incantato: a 3.000-4.000 metri vedi cose che non ci sono da nessun’altra parte».