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 2013  dicembre 18 Mercoledì calendario

RENATO POZZETTO TORNO A SORRIDERE GRAZIE A LORO


MILANO – DICEMBRE
Nei suoi racconti scorrono quarant’anni di storia dello spettacolo, di commedie brillanti e tormentoni, di canzoni intelligenti e monumenti come Enzo Jannacci, Dario Fo, Adriano Celentano. Renato Pozzetto fa parte di un’avanguardia di artisti scapigliati, che hanno ridisegnato i confini della comicità, offrendo una chiave di lettura ironica alla realtà e ai nodi dell’esistenza. Da qualche anno ha iniziato a scrivere e interpretare storie per la tv prodotte dai suoi figli, Francesca e Giacomo. La prima, appena trasmessa su Raiuno, Casa e bottega, ha affrontato il tema della crisi nei suoi risvolti più drammatici, raccontando di un imprenditore prossimo al fallimento, che rinasce grazie agli affetti e alla capacità di non perdere il sorriso.
«Film che ho fatto in passato come Un povero ricco o Ricky e Barabba erano pensati per divertire, qui ho voluto alzare il tiro», spiega Renato, «anche perché l’ironia della mia generazione ha sempre avuto risvolti “impegnati”».
Domanda. Quando siamo tristi guardiamo un film di Pozzetto, lei che cosa guarda?
Risposta. «Raramente sono triste, la vita mi ha riservato sorprese negative, ma resto un uomo allegro, ottimista. In tv guardo un po’ di tutto, il piccolo schermo offre molte sfumature. Ho visto persino la finale di X Factor e mi ha incuriosito l’energia di questi ragazzi».
D. I suoi figli sempre con lei, abitate anche nello stesso palazzo, com’è lavorare con loro?
R. «Andiamo molto d’accordo. Giacomo è simpaticissimo, forse poteva fare il mio mestiere, ma non ho voluto che legasse la propria vita all’incertezza dell’attore. Francesca è appassionata ed è un’ottima organizzatrice. Quindi: io faccio l’artista perché so fare solo quello (ride, ndr), al resto ci pensano loro».
D. Ha cinque nipoti: Allegra, Stella, Olivia, Emma e Tobia.
R. «Riempiono la casa di gioia. La più grande, Allegra, è una sportiva. Emma, invece, è molto brava a disegnare. Gli altri sono piccoli e hanno la fantasia curiosa dei bambini, ognuno con il proprio carattere. L’altro giorno le due gemelle. Stella e Olivia, hanno portato all’ asilo le mie canzoni: c’erano alcuni bambini che le sapevano a memoria!».
D. Lei e Cochi tornerete a teatro a marzo con Quelli del cabaret (dall’l aprile saranno al Nazionale di Milano). Avete inventato un linguaggio comico, vedete in giro vostri eredi?
R. «Cochi e io eravamo originali, avevamo qualcosa di innato che ci rendeva differenti. Lavorando con maestri come Enzo Jannacci e Dario Fo, poi, abbiamo imparato a essere esigenti, a non fare le cose facili, a far pensare. Nella moltitudine di offerta che c’è oggi in tv vedi raramente comici che ti stupiscano. Poi ci sono quelli più gratuiti, che usano vecchi trucchi come chiamare la risata ridendo, quelli sono degli assassini (ride, ndr)».
D. Sapeva che i ragazzi avrebbero imparato a memoria le battute di film come Il ragazzo di campagna e Lui è peggio di me, con Adriano Celentano?
R. «Quando sei sul set ti accorgi se c’è del buon materiale, ma non così tanto. La mia ricerca è stata sempre quella di non ripetermi, di non essere seriale».
D. Si narra che lei, viste anche le sue origini svizzere, impazzisse per i ritardi di Celentano.
R. «Adriano era più distratto, aveva altri impegni con la musica, e stavo ore ad aspettarlo. Ma, proprio il giorno che avevo deciso di lamentarmi con lui, mi anticipò. Mi corse incontro, mi abbracciò e, ridendo, mi chiese scusa. Non ho potuto nemmeno rompergli le palle: è simpaticissimo, lui è peggio di me (ride, ndr)!».
D. Già che siamo in vena di aneddoti: è vero che, durante le riprese dei suoi film, venivano tutti in camper a mangiare da lei?
R. «Sono un grande appassionato di cibo e, ai tempi, presi solo per me questa roulotte con annessa la cucina. Preparavo il sugo e, quando sentivo che si avvicinava la pausa, buttavo la pasta. Si sparse la voce e, alla fine, raccoglievo le prenotazioni come al ristorante: dal regista ai colleghi, venivano tutti nel mio “locale”».
D. Alla fine ha aperto davvero un ristorante a Laveno-Mombello, la Locanda Montecristo.
R. «Avevo una proprietà con mio fratello, una cascina in una posizione da perdere la testa. Era lì da anni e, quando abbiamo dovuto rifare il tetto, ci siamo fatti coraggio e abbiamo costruito una locanda con vista sul lago».
D. Nel 2009 ha perso la sua amata moglie, Brunella. Quando morì Jannacci scrisse un memorabile ricordo sul Corriere. Come ha affrontato questi duri colpi?
R. «Quando è mancata mia moglie facevo teatro e sono andato avanti. Questo mi ha aiutato anche perché non sono cose che spariscono, il tempo medica e aiuta, ma le disgrazie rimangono e le occasioni dei ricordi sono tantissime. Non c’è una ricetta, istintivamente ho deciso di continuare a lavorare, di stare con i giovani, con i miei nipoti, di lenire il dolore per un affetto che mi è mancato con altri affetti».
D. Politicamente l’hanno spesso avvicinata alla Lega.
R. «È nata dalle mie parti. Bossi prese casa vicino ai miei genitori a Gemonio, conobbi lui e Bobo Maroni. Mi incuriosiva un partito che dal niente veniva su così, condiviso da lavoratori, operai, contadini. Hanno avuto qualche problema, spero che riaggiustino il tiro».
D. Dario Fo è salito sul palco di Grillo a Genova.
R. «Ho sentito Beppe tempo fa e mi disse che avrebbe fatto diventare tutti matti. Poi non l’ho più chiamato, ho visto che era impegnato, mentre io ho voglia di scherzare su cose che sono diventate troppo serie».
D. C’è un suo tormentone che la rappresenta?
R. «“Taaac!”. Era il soprannone di un amico del Derby, Mario Valera. Sono arrivato io e, “taaac”, l’ho lanciato».