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 2013  dicembre 18 Mercoledì calendario

A TAVOLA CALA IL SILENZIO


NEW YORK NICHOLAS NAUMAN, 28, AMERICANO-TEDESCO DI BROOKLYN, NON NE POTEVA PIÙ DI QUELLA PECULIARITÀ DELLA NATURA AMERICANA, E DI NEW YORK IN Particolare il rumore. Il gene tedesco si fa sentire nel bisogno di silenzio, e calma. Due condizioni che a Brooklyn, in pausa pranzo, equivalgono a un sogno. L’idea gli è venuta sull’onda della rinascita del quartiere al di là di Manhattan. La dolce vita newyorkese, anche gastronomica, oggi, risboccia a Brooklyn. L’idea sembrava divertente, e folle. E invece si sta rivelando un successo straordinario. Nauman ha inaugurato il primo «ristorante del silenzio» al mondo. Tre giorni a settimana vale il divieto di parola. Si mangia, si gusta, si beve, e non si parla. Con liste di attesa che arrivano a una media di due settimane. Il locale lo ha scoperto immediatamente il New York Times, che oltre a identificarlo come «l’idea più originale vista a New York quest’anno», ne suggerisce la cucina, cui attribuisce ben quattro stelle. La qualità oltre l’idea. Una bistecca al sangue (e biologica), mangiata senza che voli una mosca, è più buona? Per Nicholas Naumann non ci sono dubbi: «Assolutamente sì. Il principio della concentrazione sul gusto è già stato testato, con successo, neo blind restaurant in giro per il mondo dove si mangia al buio». In Italia di ristoranti «al buio», dove si replica l’esperienza dei non vedenti, ce ne sono già tre o quattro. Ma Naumann è andato ben oltre.
L’obiettivo di «Eat», questo il nome del locate, non è filare sui titoli dei giornali. «Se avessi voluto spingere sull’acceleratore per guadagnare l’attenzione mediatica avrei aperto un ristorante col divieto dei vestiti», dice il proprietario. E quindi qual è il senso? Secondo lo staff di «Eat» si deve riportare l’attenzione su un aspetto decisivo della qualità di vita: lasciare tempo e spazio alla consapevolezza. Senza sforzi, ma con consuetudine. Le buone abitudini, d’altra parte, bisogna esercitarle prima che diventino parte di sé. E allora Nauman parla di«mindfulness eating», nutrirsi con consapevolezza.
UNA QUESTIONE DI CONSAPEVOLEZZA
«Per mangiare con consapevolezza, è necessario farlo in silenzio. Per recuperare il significato profondo dell’atto del nutrirsi». Osserva Nauman che «in monasteri, o centri terapeutici, il silenzio durante i pasti è una pratica quotidiana e parte integrante di programmi di ri-educazione, anche alimentare». Ma è stato facile convincere la clientela a osservare un pasto in silenzio, nel mezzo della giornata di lavoro, o per un appuntamento a lume di candela? In realtà, conferma Nauman, sembrava che i newyorkesi non aspettassero altro. «Abbiamo iniziato con una giornata di silenzio. Ora siamo passati a tre volte a settimana. La lista d’attesa per il giorno del silenzio era diventata troppo lunga, fino a due mesi». La velocità della vita contemporanea, l’incredibile densità dell’ agenda quotidiana di chiunque abbia una giornata lavorativa «normale», oggi, determinano un allontanamento progressivo, vera e propria estraniazione, rispetto all’atto del mangiare.
«Eat» nasce per fermare le lancette dell’orologio, almeno a tavola. «Chi si concentra sul cibo, la sua consistenza in bocca, il masticare, l’ingioiare, ritrova sé stesso», così Nauman. Ma l’antica formula per un pasto memorabile non era: buon cibo, buona compagnia, buona conversazione? Il giovane imprenditore non nega l’importanza della parola accompagnata alle pietanze. Né disconosce l’aspetto sociale del cibo. Ma evidenzia l’unicità del suo concept restaurant, come banco di prova per chi, anche a tavola, voglia mettersi in discussione. «Chi viene a mangiare da noi, vede l’idea alla base del locale come un esperimento. Sicuramente vuole sperimentare qualcosa di inusuale».
L’esperienza dei ristoranti al buio in giro per il mondo è «illuminante». All’inizio anche quella sembrava un’idea per una stagione. E invece sono sempre più i blind restaurant che aprono. Anche lì si «spegne»un senso per sensibilizzare gli altri. La cosa funziona. Nauman porta un esempio. Non c’è bisogno di assaggiare pietanze elaborate per testare la prova del silenzio. «Anche servendo dei tè alla menta fresca in silenzio si scoprono aromi e nuances che passerebbero assolutamente inosservate se gustati nel caos». Ma come è venuta al coraggioso Nicholas l’idea di «Eat»?
Ricorda come a vent’anni abbia trascorso un lungo periodo in un monastero tibetano in India. Tra le regole della comunità c’era il silenzio durante là colazione. «Da allora ho imparato il valore del silenzio a tavola». Ma il pubblico frequenta il ristorante rispetta davvero le regole? «Nei giorni del silenzio c’è un cartello attaccato fuori che informa. Inoltre ho messo alcune panchine all’ingresso del locale, così, chi ha voglia di raccontare qualcosa, può farlo fuori. Naturalmente non sto lì a controllare gli ospiti come un maestro con la bacchetta!». Un episodio divertente che ricorre? «Quelli che proprio non ce la fanno a stare in silenzio si mettono a scrivere bigliettini». E infine, come si fa a chiedere il conto? «Abbiamo menu fissi a 40 dollari. Le bevande si scelgono prima dell’inizio del silenzio e per un secondo bicchiere basta un cenno».