Silvia Bombino, Vanity Fair 18/12/2013, 18 dicembre 2013
HO UN PIANO IN TESTA
[Piero Angela]
PIERO ANGELA HA DUE LATI E UNA BASE. Il primo è quello pubblico, che conosciamo da sessant’anni, da quando è nata la Rai, di giornalista e divulgatore scientifico. Il secondo è quello privato, di cui si sa poco o niente, di marito, padre, nonno. La base è l’origine colta e posata, una misura di famiglia che lo caratterizza.
Entrando nel suo attico romano, già all’ingresso, si percepisce questa triangolazione. Lato uno: i libri e le pubblicazioni scientifiche sul cassettone. Lato due: il foglio con gli orari delle attività pomeridiane dei tre nipoti Riccardo, Edoardo, Alessandro, figli di Alberto («sa, vado a prendere il più piccolo, che fa breakdance... Anche se sono scientificamente contrario, perché quando roteano in verticale, il collo... Ma che vuole, è un peperino»). Base: «Meglio tacere e sembrare stupidi che aprire bocca e togliere ogni dubbio», il motto, stampato a chiare lettere di Oscar Wilde. Poco incoraggiante per uno che deve fare un’intervista. «L’ha messa all’ingresso mia moglie», mi dice Angela, facendomi capire anche così che Margherita, la donna che mi ha accolta all’inizio, ed è subito “evaporata”, la pensa esattamente come lui. La seconda cosa che mi dice, appena ci sediamo sul divano, è: «Ci possiamo dare del tu?». Dico di sì, ma nessuno di noi due ci riuscirà.
Sta per tornare in Tv con tre speciali di Superquark dedicati al cervello. Parlerà anche di «ginnastica cerebrale»: che cosa fa lei per allenarsi, ora che sta per compiere 85 anni?
«Mi alleno tutti i giorni col lavoro, scrivo libri, articoli, vado a conferenze».
Non ha voglia di riposarsi?
«Per carità, se mi riposo dopo tre giorni non ne posso più. Va bene un momento di relax, ma è bello avere cose da fare».
Usa la tecnologia: cellulari, tablet...?
«No. L’unica tastiera su cui navigo è il pianoforte, il computer mi annoia. In casa ne ho uno ma lo usa solo mia moglie, per prenotare i treni e gli aerei, o fare shopping online. Non uso né Twitter né Facebook».
Pensa alla sua morte?
«Da quando ho 50 anni sì, ci penso».
Perché proprio 50?
«Uno fino a 50 anni si ritiene immortale, poi no».
Che cosa crede che ci sia dopo la morte?
«Non credo che ci sia molta roba dopo. Il peggio però è che non ci sarò io».
Lei ha fondato il Cicap, Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale: non crede a nulla?
«Mi occupo della conoscenza, non del credere. Il Cicap è nato in seguito la mia Indagine sulla Parapsicologia, programma del 1978: allora si dava per scontato che
esistesse la telepatia, la chiaroveggenza, nessuno si era mai preso la briga di andare a controllare. Ho girato il mondo per un anno incontrando sia gli scettici sia chi cercava di provare questi fenomeni. Nessuno ci è riuscito. C’è una somma di un milione di euro per chi riesce a spostare col pensiero anche uno spillo di un millimetro...».
Lei ha iniziato a lavorare in Rai dalla sua nascita: qual è il ricordo che la emoziona di più della sua carriera?
«Negli anni ’60 ero in America e ho assistito a moltissimi decolli verso la Luna. A metà del viaggio tra la Terra e la Luna gli astronauti dell’Apollo 8, che avevano una telecamera a bordo, hanno mostrato il nostro pianeta dallo spazio, per la prima volta. Io ero in diretta e questa cosa mi fece quasi piangere: la Terra era una pallina da ping pong nel nero dello spazio... Mi sono sentito piccolissimo».
Come ha iniziato a lavorare in Rai?
«Venni a sapere di un provino per la radio, lo feci e mi presero. Ma volevo fare il musicista, solo che non si pagava l’affitto».
Spesso, anche in Tv, ha suonato il piano: quando ha iniziato?
«Mia madre, che teneva a che i suoi figli fossero avviati a uno strumento, come in tutte le buone famiglie, ci faceva prendere lezioni, ma io e mia sorella ci nascondevamo in bagno: sa, il solfeggio, le scale, l’arpeggio... Ma il piano era stato comprato. Ho ripreso quando è arrivato il jazz in Italia, dando gli esami fino all’ottavo anno di pianoforte».
Suo padre invece che cosa diceva?
«Era psichiatra (Carlo Angela, antifascista, salvò molti ebrei facendoli passare per matti, ndr), nato nel 1875, in pratica un contemporaneo di Garibaldi. Era severo. Mi ha trasmesso la razionalità, non la creatività».
Suona ancora?
«Da solo sì. Non faccio serenate».
Troppa razionalità non le ha mai provocato problemi con le donne?
«Sono riservato, non un pezzo di ghiaccio. È che sono torinese, e Torino, lo dico sempre, è a nord della Svezia. In dialetto piemontese non si dice “ti amo” ma at voeui bin. E non c’è “bacio”, ma basin, bacino».
Nel suo libro Amore, di qualche anno fa, emergeva il suo concetto di coppia...
«Basato sul rispetto, sul litigare bene, quindi non superando mai certi limiti, e soprattutto sull’evitare le parole “sempre” e “mai”: “tu fai sempre così” o “non fai mai così”, veleno puro».
Una volta ha detto: «Nella mia vita ho fatto pochi e piccoli peccati». Quali?
«Vizi innocenti, vado pazzo per i gianduiotti. Ma non bevo, sono astemio, non ho mai fatto uso di droghe, non sono vanitoso. In video vado come sono, uso i miei abiti. Ho perso i capelli a poco a poco, ma non ne ho fatto un dramma. Al Tg, leggendo le notizie, chinavo la testa e si vedeva la pelata e il ciuffetto davanti. Uno mi scrisse: perché si mette la parrucca solo davanti? La metta anche dietro!».
Fumo?
«Ho smesso di fumare nel ’69: stavo facendo un documentario sui tumori, in un grande centro fuori Washington. Tutti i medici lì avevano smesso. Ricordo decine di portaceneri bianchi, intonsi, che sporcavo con le mie cicche. Mi sentivo un po’ a disagio».
Ha mai più ripreso?
«Mai. Visto che dopo il caffè fumavo sempre, ed era il momento più critico, ho smesso di bere anche il caffè. Sempre dal ’69».
Come ha fatto a educare i suoi figli sul fumo? La spiegazione medico-scientifica di solito sugli adolescenti non fa molta presa...
«Quando Alberto aveva 14 anni gli ho fatto un discorso: avrai dei compagni e delle compagne che fumeranno e ti diranno perché non fumi? E ti sentirai un po’ come un bambino nei loro confronti, mentre loro sono già degli adulti. Invece tu devi dire: voi siete ancora dei bambini, perché cadete in questa trappola del fumo. Io sono più avanti di voi, ho già smesso. Lui ha accettato questo tipo di ragionamento e non ha mai fumato. Sono stato un padre fortunato».
Come festeggerà il suo compleanno il 22 dicembre?
«Un brindisi in famiglia, nulla di che. Dico sempre che la mia macchina ha più di 80mila chilometri ma il guidatore ha sempre 40 anni, insomma: il motore funziona ancora».
Si sente felice?
«Sto bene, ho realizzato molto. Ho solo uno sfizio che vorrei togliermi: fare un disco. Il pianoforte rimane, tutto il resto sparisce. La prima volta che feci un programma di scienza, in dieci puntate, vidi una “pizza”, al montaggio. Chiesi cosa fosse e mi dissero che era la puntata precedente, che veniva archiviata. Lì ho capito che tutto quello che facevo poi sarebbe finito in un magazzino, invece volevo che qualcosa restasse nel tempo. Così ho iniziato a scrivere dei libri, ne ho fatti 36. Ma per esprimere davvero me stesso ci vorrebbe un disco».
FINE DELL’INTERVISTA. Piero Angela, gentile, mi offre un bonbon. Ci perdiamo in una discussione sull’Italia che non «guizza più», deconcentrata sulle vicende di Berlusconi, l’orologio a cucù e quella Nutella personalizzata con scritto «Piero» (ma anche «Angela»), che avrebbe tanto gradito, e non ha trovato.