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 2013  dicembre 18 Mercoledì calendario

L’ANTICA ROMA CON LE OSSA ROTTE


LO STUDIO
Avevano l’artrosi. Lenivano il dolore con qualche balsamo, un po’ di riposo e continuando a lavorare da mattina a sera. Con pesi sulle spalle anche se faceva male la spalla o la schiena, in ginocchio per terra anche se la rotula era gonfia e la coscia non si muoveva. Avevano le nostre stesse ossa i romani nell’età imperiale. Stessa composizione, compattezza e robustezza. Si fratturavano nei nostri identici punti critici, femore, arti inferiori, polso, braccio e omero. E venivano attaccate da artrosi, degenerazioni, tumori e metastasi. Proprio come accade adesso.
Parliamo di uomini e donne che, 18 secoli fa, avevano un’aspettativa di vita che oscillava dai 27 ai 49 anni e soffrivano per la perdita importante di bambini prima dei 6 anni. Donne non più alte di un metro e 56 cm, uomini che non superavano il metro e 67.
Misure, difetti ossei di nascita, fratture, danni da superlavoro, macchie di metastasi, erosioni da tumore, femori deformati dei romani nell’età imperiale sono stati esaminati, studiati e catalogati da un gruppo di studio variamente composto, da antropologi, ortopedici e paleontologi. Il materiale, passato al microscopio, analizzato, radiografato e sottoposto alla Tac, è quello di 6 sepolcreti rinvenuti in scavi alla, allora, periferia di Roma capitale dell’Impero: Prenestina Polense, la necropoli Collatina (tra via della Serenissima e via Basiliana), Casal Bertone, Osteria del Curato, il sepolcreto di Via Padre Semeria (una traversa di via Cristoforo Colombo vicino le Mura Aureliane) e la necropoli di Castel Malnome.
L’ESPOSIZIONE
E tutto il materiale, con la spiegazione medico-storica di ogni pezzo, sarà da oggi in mostra fino al 30 aprile al Museo della Via Ostiense, nelle Mura Aureliane (via Raffaele Persichetti 3 da martedì alla domenica dalle 9 alle 13). Il titolo: «Scritto nelle ossa- Vivere ammalarsi e curarsi a Roma in età imperiale».
Piccole e grandi storie raccontate, appunto, dagli scheletri di uomini, donne e bambini che regalano spaccati di vita (dura perché erano quasi tutti operai e contadini, altro che romani sfaticati), attraversata da malattie (lebbra, sifilide, tbc). A lavorare la Soprintendenza ai beni archeologici di Roma (divisione di Paleopatologia), il dipartimento di Ricerca traslazionale e delle nuove tecnologie in medicina dell’ateneo di Pisa, la Società italiana di ortopedia, la sezione di Storia della medicina molecolare a La Sapienza di Roma e Biologia a Tor Vergata.
«Il percorso della visita - spiega l’antropologa Paola Catalano tra i curatori della mostra - riesce a spiegare bene l’importanza dello studio dello scheletro. Che è capace di svelare, oltre al sesso e all’età, le abitudini alimentari e gli indizi degli stress occupazionali. Le rotule levigate rinvenute nel sepolcreto di Casal Bertone sono quelle di persone che hanno trascorso accovacciate gran parte della giornata lavorativa. Facevano parte di una comunità dedita a lavori usuranti, in tintoria o lavanderia. Le rimodellazioni delle clavicole, dovute a carichi di lavoro, suggerisce l’impiego di gran parte degli inumati a Castel Malnome come manodopera nelle saline».
IL PROGETTO
La Società italiana di ortopedia ha costruito un progetto, coordinato dal segretario dottor Andrea Piccioli, per analizzare “visitare” e confrontare con l’oggi i reperti delle necropoli. «Ho lavorato sulle ossa di 1800 persone - spiega Maria Silvia Spinelli ortopedica - e ho riscontrato patologie identiche a quelle di oggi. Ma, allora, per una frattura, per esempio, ancora non si interveniva con la chirurgia, solo trazioni. Che rimettevano le cose in sesto in un modo non sempre corretto. Eppure, lavoravano duro lo stesso. Oggi con ossa delle gambe risistemate in quel modo nessuno camminerebbe. Una soglia del dolore molto alta, sotto il peso dei mattoni e dei sacchi di sale».
Carla Massi