Carlo Petrini, la Repubblica 18/12/2013, 18 dicembre 2013
LASCIAMO CHE I CONTADINI SIANO I PADRONI DEI SEMI
OGGI a Bruxelles inizia la discussione sulla legge che l’Europa dovrà varare a proposito della circolazione delle sementi. È importante che ogni singolo cittadino sappia cosa c’è in gioco e che da questa discussione può uscire un’Europa che difende la biodiversità, i territori e le culture, oppure — ancora una volta — solo il profitto delle multinazionali.
LA PROPOSTA, figlia di un’incubazione di quasi cinque anni, non piace a tante associazioni che in Italia e in Europa si impegnano per la protezione dell’agricoltura tradizionale, di piccola scala, sostenibile: quella che qualcuno, con bella espressione, chiama “agricoltura contadina” per differenziarla dall’“agricoltura industriale”.
La biodiversità agricola e selvatica è una risorsa chiave per la sovranità alimentare sicura. Tutte le misure che concorrono a diminuirla minano la nostra capacità di rispondere ad avversità atmosferiche, malattie, parassiti: guardate cosa sta succedendo al kiwi italiano, un’unica gigantesca monocultura di (pressoché) un’unica cultivar, la varietà coltivata: ebbene, il kiwi italiano è in via di devastazione a causa di un batterio, lo pseudomonas syringae. Trent’anni di coltivazione e di colpo finisce tutto. La lezione è severa e chiarissima: l’uniformità dei sistemi produttivi che gli uomini allestiscono e rendono industriali non è adatta all’esistenza in natura. E se ne stanno accorgendo in tanti; se n’è accorta anche la Fao (che stima nel 75% la perdita di biodiversità agricola in soli 100 anni, a causa della diffusione globale di poche varietà vegetali), il cui direttore generale José Graziano Da Silva ha detto qualche giorno fa: «Il futuro si allontana dalla logica di poche commodities prodotte a livello globale, per andare nella direzione di molti mercati locali, resilienti, differenziati nelle produzioni che offrono. Andiamo dal fast food allo slow food: e questo non è il passato. È il futuro ».
Al di là del piacere che una citazione può fare a chi, come noi e tanti altri, in questi anni ha fatto di questa idea il centro del suo impegno, l’elemento chiave è che le produzioni diversificate, locali, sostenibili sono il futuro. L’atteggiamento, innanzitutto culturale, che deve accompagnare questo passaggio è il desiderio di fermare l’erosione della biodiversità. Non si può tollerare ulteriormente lo spreco di questa incalcolabile ricchezza che non ci appartiene, ma che abbiamo il dovere di custodire per garantire il sostentamento di chi verrà dopo di noi.
E torniamo alle sementi. Il 25 novembre scorso l’onorevole Sergio Silvestris, relatore italiano della proposta, avrebbe dovuto incontrare a Bruxelles i rappresentanti dell’industria sementiera europea. Molte associazioni gli hanno scritto, manifestandogli stupore e dissenso per questa iniziativa. Non si capiva, infatti, per quale regione l’onorevole Silvestris avesse calendarizzato solo quell’incontro e non si proponesse invece di ascoltare (nello stile inaugurato dal commissario Dacian Ciolos) anche le altre parti in causa: non solo, quindi, chi brevettando la vita ha interesse a ridurre costantemente gli spazi per la moltiplicazione, selezione e produzione di semi e piante, ma anche chi ha bisogno di sementi diverse per fare l’agricoltura che ritiene più giusta per sé, per il pianeta e per il mercato a cui si riferisce. Le associazioni di categoria servono a questo, e non è leale incontrarne solo una, perché l’onorevole Silvestris non è stato eletto solo dalle aziende sementiere né deve rendere conto solo a loro. E occorre ascoltare anche chi poi acquista e mangia i prodotti di quel che le agricolture producono: le associazioni della società civile servono a questo, e quelli che mangiano in parte coincidono con quelli che votano.
Grazie a queste sollecitazioni, l’incontro poi non c’è stato, e non so se si programmeranno altre riunioni. Provo quindi a dire quel che avrei detto all’onorevole Silvestris, e al suo presidente onorevole Paolo De Castro, se avessero convocato la società civile: non possiamo più perdere nemmeno una sola varietà, una sola razza animale, una sola cultivar. Non possiamo legare il nostro destino esclusivamente a un determinato tipo di “progresso” in agricoltura, alle scoperte di chi ricerca e ibrida per lucro, con interconnessioni fra industria sementiera, industria della chimica agraria e operatori del mercato del fresco e del trasformato che facilmente creano cartelli e mettono a repentaglio i valori legati al cibo, oltre all’approvvigionamento stesso!
Le varietà che la storia ci consegna si preservano in un processo — quello che sta a cuore all’agricoltura contadina — di continuo miglioramento e di continua selezione. Non importa se non sono «stabili» secondo protocolli studiati per rispecchiare le caratteristiche delle sementi “moderne”. Se il Pinot Noir fosse stata una varietà stabile, oggi non avremmo alcuni dei più grandi vini del mondo. E la conservazione non può assolutamente essere demandata a pochi centri «museo», a istituzioni che ci lavino la coscienza.
È necessaria la massima nettezza contro l’aumento di costi e di carichi burocratici che la proposta di legge sulle sementi prevede per piccoli moltiplicatori, contadini e vivaisti: se per vendere piante richieste, molto spesso, solo su mercati locali, si richiedono gli stessi adempimenti di una nuova cultivar di carote brevettata da un colosso olandese, è chiaro che non si ha considerazione adeguata delle differenze, e che non si decide con la necessaria equità, che deve temperare l’uguaglianza, affinché quest’ultima non diventi strumento di ingiustizia.
Il progresso dell’agricoltura che vogliamo non passa per la possibilità di conservare e riprodurre solo varietà «distinte, uniformi e stabili». Non possiamo ridurre la valutazione dell’importanza delle sementi a elementi quantitativi, dimenticando o ignorando che stiamo parlando di cibo, anche quando parliamo di foraggi. Le cultivar locali preservano sapori che sono ad un tempo identità di chi vive i territori, preziosa scoperta per chi li visita e giacimento per chi ne trae ispirazione. Non “fa lo stesso” cosa mangiamo, non è carburante. Noi, come gli animali, viviamo meglio se mangiamo meglio, e soprattutto se quel che mangiamo lo possiamo scegliere in base ai nostri gusti, alla nostra cultura e alla nostra identità. E per mantenere il nostro diritto alla scelta, occorre che il ventaglio delle possibilità smetta di restringersi.
Per questo, bisognerebbe chiedere espressamente agli onorevoli Silvestris e De Castro, che certamente hanno i loro “cibi del cuore” che devono la loro specialità ad ingredienti irripetibili: perché mettere a repentaglio il patrimonio di gusto, di sicurezza alimentare, di potenziale gastronomico in una volta sola? Forse che l’agricoltura contadina, che ha preservato e selezionato semi per millenni, ha impedito la nascita e la crescita dell’industria sementiera? Forse che sono stati i contadini di Bordeaux a portare in Europa la fillossera o quelli di Cuneo a importare dieci anni fa il parassita del castagno che mina lo storico pane delle nostre montagne?
Non facciamo confusione! Implementate i controlli dei grandi trader internazionali e non permettete che chi brevetta la vita, e la considera meramente in un’ottica di profitto, prevalga, anche nei diritti, sui contadini che vogliono solo custodire, migliorare e selezionare le sementi della propria agricoltura. E lo fanno, da sempre, a beneficio di tutti, anche di chi oggi fa business.