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 2013  dicembre 17 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LE CARCERI, IL DELITTO, IL PROVVEDIMENTO DI CLEMENZA


IL DELITTO (REPUBBLICA.IT)
Era convinto di aver subito un torto, ma si trattava di un tragico equivoco. Un errore terribile su presunte (ma ineesistenti) ingiustizie lavorative che ha armato la mano di un assistente capo di polizia penitenziaria all’interno del carcere "Lorusso e Cotugno" delle Vallette e lo ha spinto a uccidere a colpi di pistola un collega ispettore per poi spararsi, morendo un’ora dopo in ospedale dove era stato ricoverato in fin di vita.
L’omicida è Giuseppe Capitano, di 47 anni, sposato e padre di due figli, capo sentinella ovvero responsabile della sicurezza delle mura esterne del carcere (per questo motivo teneva il colpo in canna nella pistola d’ordinanza), la vittima è Giampaolo Melis, di 52, responsabile degli atti giudiziari, anche lui sposato. Diversi i proiettili esplosi. L’ispettore è morto subito, l’uccisore è stato portato d’urgenza al San Giovanni Bosco dove hanno tentato invano di salvarlo. Tra i due non ci sarebbero mai stati contrasti precedenti. Le ricostruzioni per ora più attendibili riferiscono della convinzione di Capitano che Melis avesse adottato nei suoi confronti iniziative disciplinari.
Secondo quanto si apprende, è accaduto poco dopo le 8.15 davanti al bar interno della casa circondariale, dove lo sparatore ha esploso due o tre proiettili contro il collega. Secondo una prima ricostruzione i due agenti si sono incontrati prima di iniziare il turno. Capitano avrebbe detto all’ispettore: "Cosa mi state combinando tu e il comandante?" e poi ha fatto fuoco. Il 52enne ha appena fatto in tempo a dire "Non è vero", poi è stato colpito all’addome e alla testa ed è morto sul colpo. L’assistente, invece, si è sparato sotto il mento trapassandosi il cranio. Tutto è successo sotto gli occhi di diversi colleghi, che hanno assistito alla scena senza poter intervenire perché la sequenza è stata rapidissima. In quel momento nel corridoio c’erano anche alcuni detenuti che sono subito stati riportati in cella.
Secondo Donato Capece, segretario del sindacato Sappe, la domanda pronunciata dall’omicida prima di sparare "potrebbe spiegarsi con il fatto che sospettasse l’attivazione di un provvedimento disciplinare o di una particolare indagine nei suoi confronti", anche se "non sappiamo se tali sospetti fossero fondati, se abbia commesso cose particolarmente gravi nell’esercizio del suo incarico". "Certo è - evidenzia Capece - che quanto accaduto dimostra lo stato di tensione che si vive in carcere e dello stress legato al carico di lavoro".
"Siamo tutti sconvolti. Questa tragedia per noi è familiare perché qui si passa gran parte della giornata" ha commentato il direttore del carcere delle Vallette Giuseppe Forte. "Erano due persone innamorate del loro lavoro - spiega il dirigente - due persone corrette. Tra loro ci deve essere stato un malinteso, un equivoco... Però avevano ruoli diversi e lavoravano in settori diversi". In seguito all’accaduto è stata annullata la festa di Natale in programma nel carcere minorile Ferrante Aporti.
"Il carcere oggi vive un momento problematico - ha aggiunto Forte - occorre diminuire la pressione del numero dei detenuti che sono troppi e alla polizia penitenziaria servono più risorse economiche ma anche più poliziotti".
I sindacati di polizia penitenziaria hanno subito proclamato lo stato di agitazione, chiedendo al direttore un incontro urgente, un cambio di rotta sulla mobilità interna e la revoca di alcuni ordini di servizio. Polemico il segretario generale dell’Osapp Leo Beneduci: "Sono mesi e mesi che come sindacato denunciamo le violenze, le precarie condizioni igieniche e le gravi tensioni tra il personale nella casa circondariale ’Lorusso Cutugno’ di Torino, ma tutto è stato inutile
fino alle morti odierne. Adesso diranno che certe cose accadono per fatti personali, ma non è così, perché la principale responsabilità del disastro penitenziario è di un’amministrazione del tutto inutile, gestita da un vertice altrettanto inutile che fa capo ad un ministro che, mentre i poliziotti penitenziari stavano protestando ieri a Milano, si è rifiutata di incontrarli sostenendo che i ’suoi’ sindacati li incontra a Roma".

PEZZO DEL CORRIERE DI STAMATTINA
ROMA — Si estende la possibilità di accesso all’affidamento in prova al servizio sociale, sia ordinario che terapeutico. Si amplia a 75 giorni per ciascun semestre la riduzione della pena per buona condotta, aggiungendo uno «sconto» massimo di sei mesi rispetto alle misure già in vigore. Si ampliano le ipotesi di utilizzo del braccialetto elettronico: oggi si può dare solo a chi sta ai domiciliari. La novità è l’applicazione esterna: affidamento in prova, permessi, lavoro esterno.
Sono tre delle misure principali del decreto carceri che il governo, oltre ad un disegno di legge di semplificazione in materia di giustizia civile, approverà oggi. Lo ha chiesto a gran voce, e più volte, ancora ieri, il presidente della Repubblica. È un tema sul quale Letta ha riscosso per ben tre volte la fiducia del Parlamento e sul quale il governo è stato più volte ripreso dalle istituzioni europee.
Secondo le stime dovrebbero uscire dal carcere, nelle prossime settimane, sino a 3000 detenuti. Saliranno a 7000 se si includono coloro che sono già usciti in base a misure già emanate. Le norme incideranno sia sui flussi di ingresso in carcere che su quelli in uscita. Si rafforzano anche gli strumenti di tutela dei diritti delle persone detenute con la previsione di un nuovo procedimento giurisdizionale davanti al magistrato ed attraverso l’istituzione della figura del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute.
Non si tratta di un’amnistia o di un indulto: sarà tutto devoluto alla cognizione della magistratura di sorveglianza. Le nuove misure premiali non comporteranno alcun automatismo nell’applicazione dei benefici; sarà dunque escluso — rimarcano a Palazzo Chigi — «qualsiasi effetto di tipo clemenziale», mentre resterà l’automatismo fra inosservanza delle prescrizioni imposte con la concessione della misura premiale e la revoca del beneficio.
Saranno inoltre previsti benefici e sgravi fiscali in favore dei datori di lavoro che impieghino detenuti, nella consapevolezza che si tratta di «misure essenziali per garantire il percorso di rieducazione e di progressivo reinserimento sociale», si legge nella relazione che accompagna il decreto.
Fra gli interventi diretti a ridurre l’accesso al carcere si crea un nuovo reato relativo alla produzione o allo spaccio di stupefacenti nei casi di lieve entità delle sostanze (prima era solo una circostanza attenuante). Nei casi di allarme sociale contenuto (per esempio «il piccolo spaccio di strada, che, in base all’esperienza giudiziaria, molto spesso è praticato dagli stessi consumatori», si legge nel decreto), si crea un’ulteriore e autonoma fattispecie penale, anche questa svincolata da circostanze aggravanti come la recidiva, e punita con una pena che va da uno a cinque anni di reclusione e da 3.000 a 26.000 euro di multa. L’effetto sarà una significativa riduzione delle pene irrogate, fermo restando l’arresto in flagranza.
Oggi su 23 mila soggetti imputati, oltre 8 mila sono dentro per violazione della legge stupefacenti; mentre su oltre 40 mila detenuti condannati, quasi 15 mila stanno scontando pene inflitte per lo stesso tipo di reati.
Si elimina anche il divieto di reiterare l’affidamento terapeutico, «divieto che appare non appropriato in ragione delle peculiarità della condizione di tali soggetti». Altra modifica: si eleva a quattro anni di detenzione il limite di pena per la concessione della misura dell’affidamento in prova ordinario, in tutti i casi in cui sia valutata positivamente la condotta del condannato nell’ultimo anno.
Di grande effetto ma di scarso impatto pratico infine la previsione di incentivare una norma già inserita nella Bossi-Fini, ma poco applicata, che prevede l’espulsione immediata in alternativa agli ultimi due anni di pena, per alcuni reati minori. La platea potenziale è molto alta, sino a 4-5 mila persone, ma il dato si riduce di molto calato nel concreto.
Marco Galluzzo

ALTRO PEZZO DEL CORRIERE DI STAMATTINA
ROMA — «Ci vuole rispetto per la dignità delle vittime dei reati, che diventano vittime un’altra volta perché i responsabili dei delitti non pagano nulla. E rispetto per i detenuti, come invoca il presidente Napolitano». Felice Romano, segretario generale del Siulp, uno dei principali sindacati dei poliziotti, non ha dubbi.
Il pacchetto Giustizia che prevede la scarcerazione complessiva di 7 mila detenuti potrebbe rivelarsi solo «un provvedimento tampone». «I poliziotti lanciano l’allarme — spiega Romano —: ancora una volta ci sarà un sovraccarico di lavoro che finirà per distogliere dalle strade i pochi agenti rimasti per il controllo del territorio. Il provvedimento rischia di fare la fine di quelli varati negli anni scorsi se non sarà accompagnato da una riforma strutturale sui problemi della giustizia. L’esperienza ci insegna che in 11 mesi — nell’ultimo caso in soli otto — l’85% dei detenuti tornati in libertà è poi rientrato in carcere».
Uno spettro che preoccupa non soltanto i cittadini ma migliaia di operatori delle forze dell’ordine, ogni giorno alle prese sia con la malavita organizzata sia con la microcriminalità, i cosiddetti «reati predatori»: furti, rapine, scippi, borseggi. Gli investigatori criticano in particolare il fatto che i benefici che porteranno alla scarcerazione anticipata potrebbero avere valore retroattivo dal gennaio 2010: «Usciranno a migliaia e come la volta scorsa ce li ritroveremo tutti per strada a rifare quello che hanno sempre fatto», si lamenta chi indossa la divisa. La ricetta del Siulp invece è «smetterla di spendere soldi per i militari in città, che costano 60 milioni di euro all’anno. Con quei fondi si potrebbero assumere 2 mila agenti penitenziari e aprire i 10 istituti di pena, costati un patrimonio ai contribuenti, e ora chiusi, addirittura già in deterioramento, proprio per mancanza di personale».
Per Romano «un altro problema fondamentale riguarda la carcerazione preventiva: si va in cella troppo facilmente e ci si rimane troppo poco dopo la condanna. Abbiamo il 40% dei detenuti in attesa di giudizio. In un paese civile e democratico, fatte salve le esigenze cautelari per le indagini preliminari — che dovrebbero essere comunque brevi —, in cella si finisce con condanna definitiva».
E servono «misure alternative per alcuni reati che rispondano con immediatezza e certezza della pena, come avviene nel Nord Europa, dove c’è una larga applicazione di lavori socialmente utili e affidamento al lavoro. Solo allora — conclude Romano — l’indulto e la grazia avranno un senso. Altrimenti il rischio è quello di far aumentare in modo esponenziale la percezione di insicurezza dei cittadini a prescindere dall’efficienza delle forze dell’ordine».
Rinaldo Frignani

PEZZO DI REPUBBLICA DI STAMATTINA
LIANA MILELLA
CON il merito di erodere la legge Fini-Giovanardi sulla droga (nasce il “piccolo spaccio”) e la Bossi-Fini sull’immigrazione. In consiglio dei ministri oggi arriva anche una corposa legge delega per il processo civile, che potrebbe passare alla storia come quella della “sentenza breve”, mentre è destinata al rinvio un’altra legge delega, questa davvero rilevantissima, frutto del lavoro della commissione presieduta da Giovanni Canzio, il presidente della Corte di appello di Milano, che riduce i tempi del processo penale. Niente “processo breve” come voleva Berlusconi, ma interventi sulle impugnazioni e sui ricorsi in appello e in Cassazione. Non sarà una passeggiata convertire il decreto e neppure spuntare le due deleghe in Parlamento, perché basta scorrere la materia scottante per prevedere le contestazioni.
CHI ESCE DAL CARCERE
Cominciamo dall’istituto di cui si è parlato moltissimo, da agosto in avanti, per via della condanna di Berlusconi, i famosi 4 anni per Mediaset. L’affidamento in prova ai servizi sociali. Fino a oggi è possibile per tutte le pene effettive che non superano i tre anni. Col decreto Cancellieri invece il limite passa a 4 anni. La stima della Direzione delle carceri è che possano uscire tra i mille e i 1.500 detenuti. Non è misura da poco. Berlusconi l’ha ottenuta perché ha usufruito dell’indulto, e quindi la sua pena si è ridotta a un anno. Con questa nuova legge, anche a pena integra, l’ex premier avrebbe potuto evitare il carcere. Viene aggiunta anche un’ulteriore facilitazione per il detenuto. Se subisce
una seconda condanna mentre è in affidamento oggi torna in carcere magari per uscire di nuovo. Col decreto, invece, il giudice di sorveglianza valuta se concedergli «la prosecuzione della misura in
corso».
CINQUE MESI IN MENO
È la misura che, fino all’ultimo momento, è stata ballerina. Si chiama «liberazione anticipata speciale». Modifica la famosa legge Gozzini del 1975. È una misura a tempo, «dura due anni». Recita il decreto che «per ogni semestre di pena scontata la detrazione di pena concessa
è di 75 giorni». Era di 45 fino a oggi. Trenta giorni in più, un mese, non sono bruscolini. Significa che nell’arco di un anno un detenuto — ma solo un vero carcerato, non uno che ha una misura alternativa — si guadagna, se si comporta bene e il giudice è d’accordo, ben 5 mesi di sconto. Sempre secondo il Dap potrebbe «liberare» altre 1.500 persone.
I DOMICILIARI OBBLIGATORI
Finora è stata una misura a tempo. Prima proposta dall’ex Guardasigilli Angelino Alfano (12 mesi) e poi da Paola Severino (18). Adesso entra definitivamente
nel codice. Se un detenuto è condannato, o deve ancora scontare, 18 mesi di carcere deve passare subito ai domiciliari. Naturalmente spetta al giudice valutare la sua
pericolosità.
DANNAZIONE DEL BRACCIALETTO
Repubblica
l’aveva anticipato già sabato. Il braccialetto elettronico torna in grande stile. Articolo 1 del decreto. Il contestato strumento di controllo, gestito da Telecom, e finora costato all’erario 81 milioni di euro, diventa obbligatorio per chiunque sconti la pena fuori dal carcere. Domiciliari,
servizi sociali, lavoro esterno. Il giudice, qualora decida di esentare il condannato dal braccialetto, deve assumersene la responsabilità e mettere per iscritto la ragione. Anche questa misura è stata in dubbio fino all’ultimo momento, perché il ministero dell’Interno ha sollevato dubbi su questo obbligo, che comporterà ovviamente un enorme quantità di controlli, perché spesso il braccialetto fa cilecca e segnala “false evasioni”.
Il PICCOLO SPACCIO ED ESPULSIONI
Anche questa potrebbe essere
una svolta rispetto alla Fini- Giovanardi e all’equiparazione tra spacciatori di qualsiasi sostanza. Ora, è scritto nel decreto, «se per la qualità e quantità delle sostanze», lo stupefacente è «di lieve entità», è prevista una pena da 1 a 5 anni e una multa da 3 a 26mila euro. Fuori dal carcere anche gli immigrati clandestini grazie a una procedura di espulsione
modificata.
DETENUTI AL LAVORO
È stata l’ultima aggiunta al decreto Cancellieri, giusto quando il ministro è tornato dal carcere di Bollate. Per le im-
prese che «decideranno di assumere » dei carcerati sono previsti «agevolazioni e sgravi fiscali già per l’anno in corso».
Il PROCESSO CIVILE «BREVE»
Non sarà ovviamente un decreto quello che mette mano al disastro del processo civile italiano, quello che dura 2.866 giorni, pari a ben 8 anni. Sarà una legge delega per il governo. Con dei punti rilevanti. Eccoli. Innanzitutto la «sentenza breve », cioè una motivazione delle sentenze «succinta» e che diventerà «estesa» solo se saranno le parti a richiederlo. Una stretta sui ricorsi. Ma soprattutto la possibilità di ampliare la ricerca dei mezzi di prova. Nuovi poteri all’ufficiale giudiziario, il quale potrà consultare ogni tipo di banca dati per ricercare beni e crediti da pignorare.
IL PENALE IN ATTESA
Bisognerà aspettare dopo Natale per due misure rilevanti per il processo penale. Anche questa una legge delega al governo. Ricorsi in Cassazione possibili, in caso di sentenze omogenee in primo e secondo grado, solo per violazione della legge. Non per altri motivi. Un’inversione di tendenza per il patteggiamento, finora limitato al primo grado. Sarà possibile anche in appello. Una misura che non piacerà affatto agli avvocati. Se in un processo cambia il giudice, si prosegue normalmente, e non sarà necessario ricominciare daccapo.

ALTRO PEZZO DELLA MILELLA DI STAMATTINA
ROMA
— La svolta della giornata si chiama Napolitano. Il Guardasigilli Annamaria Cancellieri, dal carcere di Bollate, annuncia i suoi interventi sulla giustizia, ma soprattutto sul carcere, sin dalla mattina. Ma a palazzo Chigi i dubbi si affastellano. Innanzitutto perché la Ragioneria generale ha grossi dubbi di copertura sul decreto legge. Mentre non convince del tutto il ddl sul penale. Le bocce sono ferme. Ancora intorno alle 16 i boatos dal palazzo del governo dicono che il decreto potrebbe slittare ancora. Sarebbe, ormai, la terza o quarta volta. Troppo per Cancellieri che invece, soprattutto dopo il calvario del caso Ligresti, ci tiene a dimostrare che davvero i detenuti sono una sua preoccupazione vera e seria. Che quella famosa telefonata dopo gli arresti della famiglia dell’imprenditore s’inquadravano in un suo patema generale per chi finisce in galera e magari rischia pure di restarci. Ma tutto sembra perso finché,
poco dopo le 17, Napolitano riceve al Quirinale le alte cariche per gli auguri di rito e parla di carcere. Pochissime, ma sentite parole, come s’usa dire. «Le condizioni disumane che si vivono in celle sovraffollate e degradate sono un problema che non possiamo trascurare nemmeno un giorno di più». Ad ascoltare il presidente ci sono gli alti funzionari che contano nei ministeri, quelli di palazzo Chigi compresi. Passa mezz’ora, e i dubbi sul decreto
spariscono.
Interviene il premier Enrico Letta per dire che le parole di Napolitano «avranno un seguito». L’unico possibile è approvare subito il decreto. Neanche un’ora dopo in via Arenula tirano un sospiro di sollievo e il dl compare nell’ordine del giorno ufficiale del consiglio dei ministri. È fatta, Cancellieri può confessare che «aspettava con ansia che il testo arrivasse in consiglio». Può parlare del lavoro dei detenuti, della
possibilità che «dialoghino direttamente con i datori di lavoro », come di un fatto concreto.
Soprattutto il Guardasigilli può guardare con meno preoccupazione all’appuntamento con l’Europa, quando dovrà recarsi di nuovo a Strasburgo, alla Corte dei diritti umani che ha già condannato l’Italia per via del sovraffollamento, e spiegare che il suo piano deflattivo funziona. Certo, è ancora presto per dirlo. Il dl dovrebbe produrre 3mla detenuti in meno. Molti di più — circa 20mila — ce ne sarebbero se il Parlamento decidesse di varare un indulto seguito da un’amnistia. Lei è favorevole, non ne ha mai fatto mistero. Giovedì ne spiegherà le ragioni alla commissione Giustizia del Senato. Per ora deve incassare la critica del leghista Nicola Molteni che vede nel decreto «un nuovo indulto mascherato».
(l. mi.)

LA STAMPA
Braccialetto elettronico per chi è ai domiciliari, introduzione della fattispecie di «piccolo spaccio di stupefacenti», ampliamento a 75 giorni, dagli attuali 45, di liberazione anticipata ogni 6 mesi. Queste alcune delle misure contenute nel decreto sulle carceri approvato in Cdm, che tiene conto delle sollecitazioni provenienti dal presidente della Repubblica, dalla Corte costituzionale e dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo.
“E’ una prima risposta a una terribile emergenza senza che ci sia nessun modo elementi di pericolosità per i cittadini”, ha detto Enrico Letta.
Il ministro della Giustizia Cancellieri ha poi spiegato che nei prossimi mesi ci sarà un’uscita di 1.700 detenuti. “Un’uscita - ha sottolineato il Guardasigilli - che sarà scaglionata nel tempo”.
Il primo intervento del decreto riguarda la legge Fini-Giovanardi in materia di stupefacenti: viene prevista l’ipotesi di “piccolo spaccio”. La norma non impedisce l’arresto e l’applicazione di misure cautelari e prevede la riduzione, nel massimo della pena, da sei a cinque anni. Per i reati più gravi è richiesta una motivazione rafforzata per giustificare la riduzione. La misura (già preannunciata ed approvata dal Comitato dei Ministri di Strasburgo nell’incontro del 5 novembre) è indispensabile per adeguarsi alla sentenza Torreggiani della Corte Europea dei diritti dell’uomo che impone l’adozione di misure compensative interne per il sovraffollamento. Per tale ragione il termine decorre dal 1 gennaio 2010, data in cui si è determinata la situazione di emergenza detentiva.
Con il decreto viene poi istituita la figura del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o comunque private della libertà personale (intervento, quest’ultimo, senza alcun onere per la finanza pubblica) e previsto un nuovo procedimento giurisdizionale davanti al magistrato di sorveglianza (caratterizzato da meccanismi diretti a garantire l’effettività delle decisioni giudiziarie, nella prassi troppo spesso inevase). Si interviene poi sulla disciplina della espulsione per detenuti non appartenenti all’Ue attraverso un ampliamento della platea dei potenziali destinatari della misura e mediante un più efficace coordinamento dei vari organi coinvolti nell’iter procedurale (secondo statistiche del Ministero della giustizia al 30 luglio 2013 su 22.812 detenuti stranieri circa 18.000 erano non Ue). Anche in questi casi il presupposto sarà la valutazione del giudice.
Restano ferme le misure di rigore nei confronti delle forme più aggressive di criminalità organizzata, mentre gli istituti di favore introdotti non impediscono, in caso di successive condotte negative da parte dei beneficiari, di attivare efficaci meccanismi reattivi, impedendo ogni successivo accesso a soluzioni di tipo premiale. Le modifiche introdotte incidono anche sulla procedura di identificazione dei detenuti immigrati: l’anticipazione delle procedure di identificazione è funzionale anche ad evitare il frequente transito dal carcere ai Cie. L’avvio delle procedure fin dal momento dell’arresto potrà ridurre i tempi di permanenza presso i Cie in caso di anticipata scarcerazione con una evidente riduzione del rischio di non identificazione nei 18 mesi. Per altro verso la corretta applicazione della norma produrrà un numero minore di detenuti con effetti positivi sul sovraffollamento. Infine, il dl prevede l’ampliamento delle possibilità di utilizzo del braccialetto elettronico nel luogo di dimora e per la detenzione domiciliare: una «sicura garanzia», afferma via Arenula, per mantenere «adeguati standard di controllo istituzionale sugli autori di reato».
Il Cdm ha anche approvato il disegno di legge sul processo civile che contiene misure per accelerare i tempi dei processi e ridurre l’arretrato.

SECOLO XIX
Genova - Via libera del Consiglio dei ministri al decreto sulle carceri. Via libera anche al disegno di legge sul processo civile che ha come obiettivo procedure più snelle per abbattere i tempi lunghi dei processi. Lo ha detto il ministro per gli Affari Regionali Graziano Delrio lasciando palazzo Chigi.

Il premier Letta in conferenza stampa ha subito rassicurato: «Dalle misure sulle carceri non ci sono in nessun modo elementi di pericolosità per i cittadini». Il decreto sulla situazione carceraria è una prima importante risposta alla lettera appello del capo dello Stato al Parlamento che prevedeva un ventaglio di possibili interventi per calmare situazione esplosiva delle nostre carceri ed evitare anche interventi sanzionatori da parte di organismi sovranazionali» ha aggiunto il premier.

Era «importante evitare che l’Italia non fosse additata fra i Paesi che non rispettano i diritti in carcere», ha aggiunto. Il decreto carceri si istituisce il «garante nazionale dei diritti dei detenuti e dei soggetti sottoposti a misure restrittive».

Il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri è attesa giovedì in Commissione giustizia al Senato giovedì per comunicazioni su amnistia e indulto, temi che ha sempre indicato come appannaggio del Parlamento.

Intanto in conferenza stampa ha spiegato: «L’uso del braccialetto elettronico sarà facilitato ma usato solo nei casi di detenzione domiciliare. E per i piccoli spacciatori di droga l’istituzione del reato di spaccio lieve consente il recupero e la cura dei tossicodipendenti. In carcere il tossicodipendente non riceve le stesse cure che può ricevere nelle comunità».

Nella scarcerazione anticipata, che viene incentivata, «non si introduce nessun automatismo, ma resta ferma la decisione del giudice» ha detto il ministro. «È inutile parlare di indulto o indultini perché non c’è nulla di automatico» e «tutto viene affidato al giudice il quale prevede, se lo ritiene, l’uscita agevolata».

Poi sul ddl sulla giustizia civile conferma che «tocca passaggi che renderanno più veloci le procedure. In alcune cause semplici che possono essere decise con procedimento sommario, se di facile comprensione e conclusione, il giudice potrà passare a una formula semplificata che consentirà una riduzione del processo da tre anni a un anno».