Marco Bucciantini, l’Unità 17/12/2013, 17 dicembre 2013
FACCIO DA SOLA –[LE DONNE E LE PILLOLE ABORTIVE]
Il feto aveva sedici settimane e le acque si erano rotte. Nell’Irlanda occidentale, sulla baia di Galway, una dentista indiana di 31 anni, Savita Halappanavar, capì in fretta che non sarebbe diventata madre. Un feto così piccolo non può sopravvivere. Chiese ai dottori di praticare l’aborto terapeutico per scongiurare rischi alla propria salute. Le risposero che nel feto batteva il cuore: la legge irlandese proibisce l’intervento. La richiesta diventò una supplica. Niente. L’indomani il feto muore, ma Savita non lo sa: ha già perso conoscenza, con la setticemia nelle vene. Non riuscirà più a parlare con il marito Praveen. Morirà tre giorni dopo il feto.
In Italia l’aborto è legale: tutti lo sanno. Anche le organizzazioni che inviano a domicilio l’Ru486. Sono molte, esistono, crescono, in America, in Francia, in Inghilterra (dove si spostano circa 6mila irlandesi l’anno, e dove Savita non poté andare per la salute compromessa). Un sito olandese (womenonwaves.org) fa da distributore automatico di mifepristone (con il misoprostolo uno dei principi che provoca l’interruzione di gravidanza). Se nel domicilio del richiedente viene scritto «Italia», appare una schermata perentoria: «Nel tuo paese l’aborto è legale. Un aborto legale è sempre meglio di un aborto clandestino».
Questi sono posti dove ci “porta” Lisa Canitano, presidentessa dell’associazione Vita di Donna, onlus per la tutela della salute femminile. Lei è la “guida” di questa pagina che poteva cominciare anche in modo strano, con una preghiera che si trova su Internet nella pagina di benvenuto del sito dei farmacisti cattolici. «Dio mio. Tu sei l’unica fonte della vita, della luce e della verità! (...) Fai che noi farmacisti cristiani, istituiti a servizio della Vita, non dimentichiamo mai che possediamo la vita eterna soltanto se viviamo in Te, ma che la estinguiamo se abbandoniamo Te e la Tua legge». Il presidente di questo gruppo molto influente è Piero Uroda, che è il paladino di chi rifiuta di vendere farmaci contraccettivi d’emergenza (questo è un punto fondamentale: la pillola e la spirale del giorno dopo non sono farmaci abortivi ma contraccettivi d’emergenza, tra l’altro con una efficacia superiore al 99%). Davanti al paradosso di una farmacia di soli obiettori, Uroda reagisce così: «Perché dovrei lavorare con colleghi che non condividano il rispetto della vita?», situazione che impedisce al cliente di godere di un diritto dello Stato, ma anche questo non tormenta Uroda, che anzi si accende: «Il nostro diritto di non vendere questi farmaci è superiore a quello di chi richiede il prodotto». Superiore: una gerarchia che non esiste nella legge, ma alligna in quella preghiera.
Fra la penosa storia di Savita e questo spostamento nel trascendentale la strada è lunga solo in geografia (da via della Conciliazione fino a Galway). Fra queste posizioni limite e lo “spaccio” internet (o al mercato sotto casa, come si legge nell’intervista a fianco) la distanza è invece troppa, ma la verità non sta nel mezzo. C’è un diritto intestato dalla legge, c’è una difficoltà oggettiva a disporne. Non solo in Italia: questo dato «sovranazionale» è decisivo per capire la tendenza netta e irreversibile dell’aborto fai-da-te, tramite farmaci reperiti lontano dalle farmacie, e interventi praticati lontano dalle strutture. In America – dove i rigurgiti antiabortisti affiorano ciclicamente e ammorbano anche i legislatori dei vari Stati – l’Istituto di salute pubblica è arrivato a teorizzare la pratica individuale. Fornendo dati, e premettendo (la premessa è fondamentale), che le «donne abortiscono da tempo immemore, ma la criminalizzazione dell’aborto è invece un fenomeno più recente, grossomodo datato al XIX secolo, supportato da norme sociali patriarcali connesse al ruolo domestico femminile, oltre che da un desiderio di controllo della sessualità delle donne». E poiché il misoprostolo (si usa per indurre contrazioni) «è sicuro ed efficace», l’uso del farmaco ha significativamente aumentato l’accesso a un aborto sicuro per migliaia di donne, specialmente povere, giovani, cronicamente poco assistite. Proprio da questo spaccato (le immigrate dal Sudamerica) è emerso l’uso “improprio” del Cytomec, nome commerciale del misoprostolo, farmaco da banco venduto per curare la gastrite, con la controindicazione che poteva indurre l’aborto. Il passaparola ne ha esteso l’uso. Se assunto in associazione al mifepristone, l’efficacia nell’indurre l’aborto completo arriva al 98%. Forti di questi dati, le donne negli Stati Uniti stanno prendendo in mano la questione. In Francia (womenonweb.org/fr) e in Inghilterra (bpas.org/bpaswoman) la questione dell’autodeterminazione è dibattuta e la pratica della pillola assai radicata (in Francia la metà degli aborti si fanno con la Ru486). Nell’Italia dell’obiezione di coscienza che riguarda quasi l’80% dei medici (c’è anche chi si rifiuta di operare le gravidanze extrauterine, che è condizione mortale nella donna), nell’Italia dell’obbligo dei tre giorni di ricovero (e dell’assenza di posti letto, con i tempi d’attesa che diventano “pericolosi”), dei consultori chiusi di sabato e domenica (giorni “caldi”, quando per rimediare a un preservativo rotto potrebbe bastare la contraccezione d’emergenza), questo mercato alternativo è giocoforza destinato a crescere, anche perché l’assistenza di esperti è garantita. Qualcuno, come Lisa Canitano, lo spera. Altri preferirebbero un percorso comunque ospedaliero.
Intanto le donne s’informano, si rivolgono dove trovano accesso e possibilità, per le strade di un mercato, rivolgendosi alle associazioni femminili, comprando online, appoggiandosi ai dottori fuori confine (Svizzera, Grecia), che dietro un consenso informato somministrano la Ru486 e il Cytotec (per 600 euro). Semplicemente, anche le donne italiane si appropriano di un loro diritto, come possono, dove possono.