Maria Latella, il Messaggero 17/12/2013, 17 dicembre 2013
ANGELICA MUSY: «HO BISOGNO DI VERITÀ»
IL PERSONAGGIO
«Potrei dire: “È tutto uno schifo, basta con tutto”. Ma non voglio». Per Angelica Musy D’Auvare e le sue figlie, Isabella, Maria Luisa, Bianca ed Eleonora, in scala da 13 a 3 anni, questo sarà il primo Natale senza il loro padre e marito, Alberto Musy, docente universitario e consigliere comunale Udc, morto a Torino il 23 ottobre scorso dopo essere rimasto in coma per diciannove mesi. Per la sua tragica fine è in carcere l’affarista Francesco Furchì, accusato di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e da motivi abbietti e futili. Quali? «Dobbiamo ancora capire bene. Ho bisogno di verità, ma anche di andare avanti». Per andare avanti Angelica ha fondato l’Opera Alberto e Angelica Musy, un’associazione che assieme all’ufficio Pio della Compagnia di San Paolo si propone di aiutare le famiglie in situazione d’emergenza. «Vorrei che questa iniziativa somigliasse a quei diagrammi di elettorcardiogrammi che, sullo schermo, danno l’idea della vitalità di un corpo. Per un po’ la curva si ferma, poi ricomincia. Ecco, è un po’ quel che è successo a me. La sofferenza può essere un modo di accorgersi dell’esistenza di una comunità. E la comunità è tutto. Stamattina ho consegnato all’arcivescovo Nosiglia i primi cinquantamila euro che abbiamo raccolto».
UNA PICCOLA COSA
Angelica Musy una donna minuta e bella, dietro la struttura sottile si intuisce una grande forza. «Il fondo che abbiamo costituito con il San Paolo è una piccola cosa, ma consente di aiutare subito: ci sono pochi intermediari tra noi e chi riceve il denaro. L’arcivescovo di Torino, monsignor Nosiglia, mi ha raccontato le storie di chi ha perso il lavoro e riesce comunque a sopravvivere con dignità. Ma il primo imprevisto può essere fatale. Basta una bolletta, un lutto, e l’equilibrio tanto faticosamente raggiunto va in pezzi. Io so come si sta. Un imprevisto ha sconvolto la nostra vita».
L’UOMO CON IL CASCO
Da quel mattino del 21 marzo 2012 quando un uomo col viso coperto da un casco sparò a suo marito nel cortile di casa, Angelica Musy ha avuto tempo per riflettere sugli umani e sulla loro natura: «Ho ricevuto lettere di sostegno, ci sono state le amiche sempre vicine ma ho anche scoperto che la politica torinese non sapeva di mio marito in rianimazione da mesi. Pensavano che “si stesse curando”. E infatti nessuno dalla politica chiamava. L’unico è stato Casini, mi telefonava per tenersi al corrente di come stava Alberto, di come procedevano le indagini. Si erano conosciuti da poco, e tra lui e mio marito c’era stima reciproca. Gli altri, niente. Mi dicevo: forse la politica si informa per canali suoi. In realtà, tutto è cosi frenetico, la gente non ha tempo per pensare».
Lei invece il tempo per pensare se l’è preso. Diciannove lunghi mesi, tanto è durato il coma di Alberto Musy, una transizione dolorosa in cui uno rivede i passaggi di una vita, si fa tante domande, si chiede, come ha fatto Isabella, la più grande delle quattro figlie: «Perché succede sempre ai buoni?».
LA POLITICA
«Alberto era speciale, e speciale era l’unione tra noi. Cosa mi sta indicando il buon Dio? Me lo chiedevo quando Alberto c’era e me lo chiedo ancora di più oggi. La politica era entrata nella vita di Alberto da poco, solo nel 2011 quando si candidò all’ultimo momento per le elezioni comunali. Lui e degli amici avevano costituito un piccolo gruppo per Torino e qualcuno suggerì a mio marito di candidarsi. Alberto aveva carisma, un ottimismo di ferro, grande capacità di parlare a qualsiasi ceto. Molti prevedevano per lui una bella carriera politica. Ha suscitato invidie? Può darsi. Prima che le indagini arrivassero a Forchì, quando chi aveva sparato a mio marito era ancora senza nome, c’erano amici che mi dicevano: “La verità passeggia per le strade della città”. Poi alcuni di loro e due consiglieri comunali di Sel e del Pd hanno organizzato una manifestazione per chiedere la verità su Alberto. E da lì le cose hanno cominciato a muoversi».
LE BAMBINE
A Natale certi dolori diventano più acuti. Ci sono bambine ancora piccole che non potranno più festeggiarlo col padre.
«Alberto aveva con le figlie una grande tenerezza, un carisma speciale. Era grande, ben piantato, trasmetteva sicurezza. Anche sciando: lo sci in famiglia era delegato a lui e di solito a Natale andavamo in montagna. Ora non so ancora cosa faremo, una delle bambine ha preso la scarlattina. Ma troveremo la quadra».
L’altro giorno la figlia più piccola, Eleonora, che ha tre anni e non ha ancora capito bene quel che è successo, le ha detto: «Stiamo tra noi femmine, mamma, poi andiamo a trovare papà».
«Il ricordo sbiadisce ma le cose le mie figlie le sanno. Su Internet, tempo fa, la più piccola ha visto scorrere le foto del papà. Ce n’era anche una con Forchì. Mi ha detto: “Guarda, c’è il cattivo”».
L’IPOCRISIA
Ci sono tanti modi di affrontare un imprevisto che ti cambia in peggio la vita. Angelica Musy lo sta facendo non chiudendosi tra le quattro mura di casa: «Non mi sento un cliché, quello della vedova e brava mamma. Penso che la morte di mio marito sia una cosa che deve avere un senso. La persona che l’ha ucciso ha scelto di compiere il male. Io ho fiducia totale nella polizia, ma chissà se verrà ancora fuori qualcosa di più sul movente. Gli inquirenti me l’hanno detto: “In questa vicenda c’è stata anche dell’ipocrisia”. Se non avessi un po’ di verità non potrei andare avanti. Quanto a me, ho avuto la vita che volevo, me l’ha data Alberto. Volevo una vita in cui le difficoltà si potevano affrontare e la casa poteva essere un rifugio, non un posto da cui andar via volentieri. Un posto dove ci fosse lealtà. Alle mie figlie lo spiego: l’unione fa la forza. Tante cose che pensiamo siano la libertà, in realtà sono solo desideri».
Maria Latella