Nicola Imberti, Il Tempo 17/12/2013, 17 dicembre 2013
RENZI NON TASSA GLI AMERICANI ECCO TUTTI I SUOI AMICI YANKEE
Voci che si rincorrono. Nomi forse gettati lì, un po’ alla rinfusa, ma una cosa è certa, a Matteo Renzi piace l’America. E l’America, o almeno una parte di essa, non disdegna l’ascesa del sindaco di Firenze verso Palazzo Chigi.
Così, quando domenica Renzi ha bocciato platealmente la web tax introdotta nella legge di Stabilità in discussione alla Camera, qualche malizioso ha subito pensato: non sarà che dagli States qualcuno ha fatto recapitare un messaggio al neosegretario del Pd?
I più cattivi hanno addirittura ipotizzato un taglio dei «fondi». Ma di politici finanziati dagli Usa, magari dalla Cia, è piena la storia d’Italia (per non parlare di quelli che godevano delle ricche donazioni in rubli provenienti da Mosca). Al di là delle teorie complottiste, il legame c’è. E Matteo non ha alcuna intenzione di interromperlo. Anche se forse sarebbe meglio dire Marco Carrai. È lui, il più fedele consigliere del sindaco, oggi presidente di Aeroporto di Firenze SpA, l’uomo da tenere d’occhio.
Nel giro dei renziani doc c’è chi lo definisce il «ministro degli Esteri». Fu lui, ad esempio, ad organizzare il tour che quest’estate doveva portare il sindaco, dopo l’incontro a Berlino con Angela Merkel, a Londra, Parigi e Washington (con una puntatina a New York).
Non se ne fece nulla perché, dopo la prima tappa, Renzi finì sotto accusa per il suo eccessivo protagonismo, ma il piano c’era. E si fondava sugli ottimi rapporti che Carrai intrattiene Oltreoceano. Il nome più citato è quello di John Podesta, già capo di gabinetto della Casa Bianca tra il 1998 e il 2001 ai tempi della presidenza di Bill Clinton, attualmente presidente del Center for American Progress, un think-tank liberal con sede a Washington.
Il vero contatto, in realtà, sarebbe un altro clintoniano: Stan Greenberg storico sondaggista e consigliere dell’ex presidente. Non a caso, complice anche la partecipazione ad un evento organizzato dalla Technogym di Nerio Alessandri (altro renziano doc) fu ad un passo dall’incontrare Bill durante la campagna per le primarie che lo vedeva contrapposto a Pier Luigi Bersani. Anche in quel caso, però, il troppo clamore fece saltare tutto.
Proseguendo nella lista degli «amici americani» di Matteo è impossibile non citare Kerry Kennedy, figlia di Bob, che lo scorso maggio visitò Firenze per inaugurare la sede europea del Robert F. Kennedy center. E, poi, ovviamente, Madeleine Albright, segretario di Stato durante il secondo mandato presidenziale di Clinton, che oggi guida il National Democratic Institute. Fu lei, nel 2012, ad invitare il sindaco a Charlotte per l’International Leaders Forum. Renzi non si fece pregare.
All’elenco c’è anche chi aggiunge l’intramontabile Michael Leeden che nella vulgata viene descritto come un «super falco conservatore» ma di cui Matteo non disdegnerebbe i consigli. Si chiude con Nancy Pelosi e, ovviamente, con l’attuale ambasciatore americano a Roma John R. Phillips. Si racconta che, ai tempi della nomina, Carrai si aggirasse con un eloquente sorriso stampato sul volto.
Si ritorna così al punto di partenza. Tutto ruota intorno a Marco. Per capirlo basta scorrere il curriculum che lo stesso ha postato sul sito di Aeroporto di Firenze Spa. Con alcuni rappresentanti dell’Institute for Advanced Studies di Lucca ha fondato a Boston la Imt Foundation. È membro dell’Advisory Board dell’associazione Partners di Palazzo Strozzi che conta, tra i soci fondatori Bank of America Merrill Lynch e che nella Fondazione, come presidente, annovera Lorenzo Bini Smaghi (un altro cui non mancano amici negli Usa).
Da segnalare anche la presidenza del Cda di Cambridge Management Consulting labs. Società che ha sedi a Milano, Roma, Firenze e Tel Aviv. Ma questa è un’altra storia.
Nicola Imberti