Luca Fornovo, La Stampa 17/12/2013, 17 dicembre 2013
LA RIVINCITA DEL MADE IN ITALY PRONTE PER LA BORSA 50 AZIENDE
Analisti guastafeste e cassandre della finanza preferiscono stare cauti e mettere in guardia dai guadagni facili e dai rischi di una bolla del lusso. Ma negli ultimi anni le aziende della moda hanno regalato guadagni sostanziosi agli investitori di Piazza Affari che ora reclamano la quotazione di altri gioielli del made in Italy, dopo l’exploit di Moncler (+46,7% in Borsa). Secondo la società di consulenza Pambianco sarebbero almeno 50 le aziende della moda, con testa i giganti Armani, Dolce e Gabbana e Zegna, che potrebbero sbarcare a Piazza Affari nei prossimi 3-5 anni.
Al di là del boom di Moncler, guardando indietro, alla moda tricolore negli ultimi anni è andata molto bene sul listino milanese: +457,2% per il gruppo di moda online Yoox dal debutto di inizio febbraio 2010 a oggi, +164,3% per Ferragamo dall’esordio di fine giugno 2011, +122,2% per Brunello Cucinelli (in Borsa dal giugno 2012) e +20% per Italia Independent (da giugno 2013). Certo non vanno dimenticati gli esempi negativi come dimostrano i fallimenti di Fin-Part, It-Holding e Mariella Burani. «Ma ora il mercato è diventato molto più selettivo - spiega Luca Peyrano, responsabile per l’Europa dei mercati azionari del London Stock Exchange Group - le società che arrivano hanno bilanci e marchi molto più solidi, e gli investitori sono attenti a fare selezione».
Allora quali saranno le prossime matricole del lusso? Raffaele Jerusalmi, amministratore delegato di Borsa Italiana, è ottimista e ritiene che quattro o cinque aziende del settore potrebbero seguire nei prossimi mesi il debutto di Moncler. Armani avrebbe tutte le carte in regola per un debutto in Piazza Affari ma il patron Giorgio, anche in polemica con Prada, in passato ha osteggiato le aziende che hanno fatto ricorso alla Borsa. Si vedrà se l’euforia in Borsa convincerà invece Zegna, Dolce&Gabbana o le società del design Kartell, Flos e B&B Italia. Ma è probabile che sul listino milanese arrivino società medio piccole, che hanno già aperto il capitale ai fondi di private equity. Tra queste c’è Harmont & Blaine, che ha partecipato anche al programma Elite di Borsa italiana per far crescere le società del made in Italy. L’ad della società, nota per il marchio del Bassotto, Domenico Menniti, aprirà il capitale a nuovi soci nei primi tre mesi del 2014 e intende sbarcare in Borsa più avanti. Poi ci sono Pianoforte Holding, Twin-Set Simona Barbieri, Elisabetta Franchi e Stroili Oro che potrebbero fare un primo passo verso Piazza Affari, alleandosi con un fondo di private equity. Ma anche Versace, che sta trattando la vendita di parte del capitale a un fondo, mentre Furla ha valutato una quotazione a Hong Kong. Anche la griffe fiorentina di Stefano Ricci e Only The Brave, la società di Renzo Rosso, che vanta una percentuale di esportazione pari all’89%, potrebbero essere pronte per il grande salto.
Di sicuro il made in Italy in Borsa con le sue quotazioni da capogiro che ricordano (fatte le giuste proporzioni) i guadagni record di colossi Internet come Google, Facebook e Twitter, può essere un traino alla ripresa in Italia. «Se tutte le aziende della moda e del lusso si quotassero - conclude Carlo Pambianco - raggiungerebbero un valore in Borsa di 26,1 miliardi», raddoppiando il valore attuale che è di 29,7 miliardi.