Corrado Stajano, Corriere della Sera 17/12/2013, 17 dicembre 2013
GIUSEPPE GRANELLI, VOCE DEGLI OPERAI
Aveva lasciato scritto che non desiderava un funerale pubblico, con bandiere rosse, canti, discorsi. È stata l’ultima ingenuità di un uomo onesto e fiero, Giuseppe Granelli, operaio per una vita alla Falck di Sesto San Giovanni. Erano in pochi all’obitorio, vecchi amici, vicini di casa. Perché avrebbe dovuto avere un funerale solenne un operaio sconosciuto ai più?
Perché ha rappresentato un pezzetto della storia del Novecento e almeno la Camera del lavoro di Milano avrebbe avuto il dovere di ricordarlo. Il nostro è proprio il paese della dimenticanza, la memoria è diventata nemica.
Granelli, morto novantenne il 2 dicembre, è sepolto ora nel silenzio del cimitero del paese dei suoi genitori, a Moio De’ Calvi, nella bergamasca. Negli anni Settanta del secolo scorso (1976) fu il protagonista di un libro pubblicato dall’editore Einaudi, Una vita operaia , di Giorgio Manzini, che suscitò discussioni e polemiche. Manzini, bravo giornalista di «Paese sera», quotidiano romano del pomeriggio, ascoltò a lungo Granelli, simbolo dell’aristocrazia operaia di allora che credeva nella dignità del lavoro ben fatto e sapeva difendere con rigore i suoi diritti.
Attraverso il ritratto di Granelli, Manzini seppe scrivere un libro singolare — saggio, inchiesta, romanzo vero — che ebbe successo, fu pubblicato anche in un’edizione per le scuole. Un libro di ampio respiro, un gesto d’onore reso a una generazione operaia che non si piegò anche nei momenti gravi, la guerra, la Resistenza, con gli scioperi del ‘43 e del ‘44 di cui parlò con ammirazione il mondo intero, libero dalla cappa nazifascista e poi gli anni Cinquanta, la repressione, la discriminazione in fabbrica con i reparti confino fino alla nuova liberazione venuta con l’autunno caldo del 1969.
La vita di Granelli. Il padre, Tone, aveva lavorato anche lui alla Falck Concordia per quarant’anni, manutentore al laminatoio. Giuseppe (detto Giuse, Tumìn, Pepino, Granel) cominciò a faticare, ragazzo di fabbrica, a 14 anni, 84 centesimi l’ora per portar l’olio, scopare i trucioli di ferro, allungare gli stracci ai compagni alla macchina.
Manzini seppe fare di Granelli il simbolo di milioni di uomini di un passato ora morto e sepolto. Il suo libro appartiene alla letteratura industriale (Carlo Bernari, Vasco Pratolini, Ottiero Ottieri, Paolo Volponi, Primo Levi, Luigi Davì, Vittorio Sereni). Il suo protagonista in carne e ossa passò attraverso i drammi e le speranze di tutta una generazione: marinaio silurista nella seconda guerra mondiale, internato militare in un lager nazista, operaio specializzato. Al ritorno in fabbrica, si iscrisse al Pci, fu nella Commissione interna, nel Comitato centrale del sindacato metallurgici. Nel portafogli conservava una fotografia di Stalin, per lui l’uomo della guerra patriottica, il vincitore delle armate naziste. Il XX Congresso è un trauma, la rivolta di Budapest un colpo al cuore. Granelli tiene sempre fede ai suoi principi di giustizia sociale. Quando toglie dal portafogli la fotografia di Stalin non ne rimette altre. Non è un uomo di partito, non è un uomo di marmo dalle certezze consolidate, non è un fanatico. Ama il dubbio. I cortei, le bandiere rosse sventolanti del ‘68 non lo entusiasmano, è critico nei confronti di quei ragazzi che non conoscono bene la storia. La virtù della politica è la pazienza; nel lavoro sindacale, nelle estenuanti assemblee è il rammendo. Ha un grande rispetto per il sapere, è curioso, frequenta a Milano la Casa della cultura di Rossana Rossanda, è attratto, tra l’altro dal fascino di Cesare Musatti, legge i grandi libri della storia e della letteratura.
Il libro di Manzini lo rende felice. Gli fa capire che una vita come la sua, simile a quella di infiniti altri, può e deve essere ricordata. Quando Angela Gandolfi, responsabile dell’Archivio della Fiom milanese, cura un libro di biografie di uomini e donne del sindacato dal 1945 al 1985, comprende di nuovo come la memoria è importante. Da pensionato può far qualcosa. Si mette d’impegno e negli antri dell’Archivio del lavoro di Sesto San Giovanni raccoglie le testimonianze — dischetti dalle 2 alle 4 ore ognuna — di 490 sindacalisti della Fiom, militanti, semplici operai che hanno speso la vita in fabbriche dal nome famoso, l’Alfa Romeo, la Falck, l’Innocenti, la Breda, la Pirelli, la Richard Ginori, la Magneti Marelli e altre.
Fabbriche che non esistono più o quasi. Al loro posto, nei capannoni che videro le fatiche di generazioni, ci sono ora lande desolate, paesaggi della luna, un ghiotto boccone per gli speculatori dell’edilizia.
Granelli ha passato gli ultimi anni della vita immalinconito. Cosciente però che quelle «sue vite» raccolte con la consueta pazienza, catalogate nell’Archivio del lavoro di Sesto, erano la sua eredità, le medaglie al valore che nessuno gli ha mai messo sul petto.