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 2013  dicembre 17 Martedì calendario

COME PERDERE TELECOM NELL’APATIA GENERALE


Prepariamoci a recriminare, a rimpiangere quanto non fatto, a lamentare assenze e mancate scelte: quanto sta accadendo a Telecom Italia ha tutte le caratteristiche per essere un’altra storia nazionale di superficiale disinteresse.
Colpevole indifferenza per quelle telecomunicazioni considerate ovunque nel mondo uno dei fattori maggiori di competitività per un Paese.

È difficile non essere sconcertati di fronte a quanto sta accadendo nel gruppo che conserva e possiede la rete di base della telefonia italiana. L’ultimo evento è l’incremento della partecipazione di Blackrock nella società. Il fondo americano, maggiore casa di investimento al mondo che gestisce un patrimonio di quasi 2500 miliardi di euro (il debito italiano è pari a meno di 2100 miliardi), ha annunciato a sorpresa alla Sec, l’organismo che vigila su Wall Street, di aver superato la quota del 10% in Telecom Italia. Poi ieri la correzione alla Consob: la quota è al 9,97%. Il 22% del gruppo è controllato da Telco, la scatola finanziaria che diventerà il veicolo attraverso il quale gli spagnoli di Telefonica vogliono controllare l’azienda italiana.
Il 13 dicembre scorso Cesar Alierta e Julio Linares, il primo presidente il secondo rappresentante di Telefonica, si sono dovuti dimettere dal consiglio di amministrazione di Telecom Italia su richiesta dell’Antitrust brasiliano. Sotto accusa il possibile conflitto di interesse dei due manager: gli spagnoli controllano in Brasile il gestore di telefonia mobile Vivo. Telecom a sua volta è presente nello stesso settore con Tim Brasile. È evidente il possibile danno alla concorrenza e limitazione quindi dello sviluppo del gruppo.
E così, il prossimo 20 dicembre, su richiesta di un altro azionista del gruppo, Marco Fossati (ha il 5% circa), l’assemblea dei soci dovrà decidere la revoca del consiglio d’amministrazione di Telecom. In queste ore sapremo con chi si schiererà Blackrock e conosceremo il destino del vertice aziendale.
È dallo scorso settembre che è stato avviato il riassetto all’interno della scatola Telco e quindi di Telecom Italia. Solo ieri, l’istituto che vigila sulla Borsa italiana, la Consob, avrebbe fatto partire l’informativa verso la Procura di Roma per verificare se ci sono state delle anomalie nella vita della società negli ultimi mesi.
Ancora una volta ci si affida alla magistratura per chiarire eventuali aspetti legali della vicenda. Ma non può essere sempre il potere giudiziario l’ultima istanza in questo Paese. Possibile che tutti gli altri, autorità e istituti di controllo, sinora non abbiano avuto nulla da dire rispetto a quanto avvenuto su Telecom Italia?
L’Antitrust, l’istituto posto a garanzia della concorrenza e dei consumatori, l’Agcom, l’organismo che presidia le Comunicazioni, la Consob, avranno avuto mille e uno motivi (e saranno prontissimi a spiegarceli compiutamente ...) per non intervenire o per intervenire strettamente nei limiti delle loro prerogative. Ma mai che in questo Paese si faccia per amor di verità un passettino in più rispetto a quanto strettamente previsto da leggi e regolamenti. Nel rispettare norme per salvaguardare noi stessi siamo maestri.
Il governo, trattandosi di una società privata, ha preferito osservare da lontano. Si è mosso il Parlamento che vede una proposta giacente su un tetto minimo all’Offerta pubblica d’acquisto, anche se il progetto rischia di ingessare di più il mercato. La Cassa depositi e prestiti, come ha ammesso superando il riserbo tipico dei banchieri, il suo amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini, ha provato a interloquire con Telecom Italia ma non c’è riuscito.
Di imprese e imprenditori, associazioni e sindacati si ricorda qualche dichiarazione. I soci maggiori di Telecom Italia e Telco, sono sembrati volersi solo togliere in fretta dall’impiccio. Il risultato finale è che il nostro Paese in questa vicenda non ha toccato palla. E, di solito, quando si inizia a recriminare è ormai già troppo tardi.
Daniele Manca

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