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 2013  dicembre 17 Martedì calendario

MORTE DI UN FOTOGRAFO PER LE LUCI DI NATALE


Architetto, designer, attivista Pd, direttore responsabile di riviste d’arredamento, fondatore di un’associazione culturale...Paolo Pedrizzetti è stato molto più di questo ma soprattutto è stato l’autore di quella fotografia: il ragazzo con il passamontagna in mezzo a via De Amicis, a Milano, gambe piegate, braccia tese e pistola stretta fra le mani mentre spara ad altezza d’uomo. Era il 14 maggio del 1977 ed erano gli ultimi istanti di vita del vicebrigadiere Antonio Custra.
Ieri pomeriggio l’uomo che fissò sulla pellicola l’immagine diventata simbolo degli anni di piombo, è morto dopo un volo di oltre venti metri dal balcone del suo appartamento al settimo piano, ad Arona. E sua moglie Raffaella è morta assieme a lui nel tentativo di salvarlo. Avevano tutti e due 66 anni e stavano addobbando il balcone con le luminarie di Natale, lui in cima a una scaletta, lei più in basso a dargli una mano. Nessun appiglio di sicurezza e nessun altro in casa. I vicini li hanno sentiti urlare mentre precipitavano nel cortile interno del condominio, senza scampo.
Una vita dai mille impegni, quella dell’architetto Pedrizzetti e di sua moglie che nel 1988 avevano aperto assieme uno studio di product designer (passione di lui fin dai tempi dell’università) e che in questi ultimi anni, ad Arona, partecipavano agli appuntamenti della politica e della cultura cittadina. Non a caso nel sito del suo studio associato (dal 2005 ne fa parte anche il figlio Davide), l’architetto specifica che è «tra i soci fondatori dell’Associazione Culturale ABC Incontri sul Progetto» e che «dal Dicembre 2005 al Dicembre 2008 è stato membro della Sezione Decentrata di Novara della Commissione per la Tutela e la Valorizzazione dei Beni Culturali ed Ambientali della Regione Piemonte, su nomina dal Presidente della Provincia».
Del design Paolo Pedrizzetti diceva «Ci sono molti modi per interpretarlo. Tutti legittimi ma non tutti condivisibili. L’interpretazione che più mi piace è quella che definisce il designer come il mediatore tra i sogni e i bisogni della gente: l’obiettivo del designer deve essere quello di rendere più appetibili i prodotti, mettere cioè a disposizione del consumatore oggetti che, possibilmente a parità di prezzo, abbiano più fascino».
L’architetto era nel direttivo del coordinamento provinciale per il partito democratico e si vedeva spesso fra i banchi del pubblico in consiglio comunale, qualche volta anche accanto a Raffaella, con la quale condivideva lunghissime passeggiate lungo il lago. L’ultima è stata domenica, fra le bancarelle del mercatino di Natale. I regali per la nipotina, gli addobbi e le luci da montare. Il sole di ieri pomeriggio era perfetto per lavorare sul balcone. Forse lui è scivolato, forse si è sporto troppo o magari si è sentito male, di sicuro ha perduto l’equilibrio. E lei deve aver provato ad afferrarlo seguendo la sua stessa sorte.
Tanti anni fa, quel 14 maggio in via De Amicis, Pedrizzetti aveva rischiato la vita per il solo fatto di essere in quell’angolo della città durante gli scontri autonomi-polizia. Giuseppe Memeo (il ragazzo della fotografia) piegò le gambe e prese la mira. L’architetto era lì a un passo e scattò un rullino intero di fotografie che nei giorni successivi furono pubblicate da tutti i giornali facendo diventare quell’immagine un’icona di quei tempi. Nel corso del processo, molti anni dopo, si accertò che non fu il proiettile sparato dall’autonomo incappucciato della fotografia a uccidere il vicebrigadiere Custra, 25 anni. A trapassargli la visiera del casco fu un colpo sparato con la Beretta 7,65 di Mario Ferrandi, uno degli altri ragazzi armati che fronteggiavano gli agenti del Terzo reparto celere di Milano. Anche lui fu immortalato (con la pistola in mano riparato dietro un’auto) ma da un altro fotografo. In quei giorni, in quel clima avvelenato, con il giovanissimo Custra assassinato e con la tensione che diventava guerra a ogni corteo, la foto del manifestante armato mentre sparava verso la polizia creò una gigantesca ondata di indignazione e Paolo Pedrizzetti fu minacciato più di una volta. Mai, però, si pentì di aver consegnato alla stampa il rullino e di aver legato il suo nome a quello scatto. Per sempre.
Giusi Fasano

(ha collaborato Marco Bardesono)