Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  dicembre 15 Domenica calendario

IL CRICKET HA LA MAGLIA AZZURRA


IL FENOMENO
Alfonso Jayarajah l’aveva detto agli amici inglesi, scettici: «Gli italiani sono troppo impazienti per il cricket? Vedrete, impareranno a giocarlo e ad amarlo». Lui, insieme al presidente della Federcricket Simone Gambino, è il pioniere nel nostro Paese di uno sport elitario diventato cosmopolita. Il gioco affonda le radici nei valori del puritanesimo dell’Inghilterra vittoriana, appassionando oggi tre miliardi di esseri umani. E continua a diffondersi nel villaggio globale, attraverso le rotte dell’emigrazione. L’essenza del gioco ha contagiato anche il Belpaese. Un piccolo boom denso di storie, raccolte nel libro “Italian cricket club” (Add editore, 183 pagine, 14 euro), che fotografano la complessità dei fenomeni migratori, e parlano al presente e al futuro dell’Italia. Gli azzurri e le azzurre con la pelle scura sono campioni d’Europa.
Nella penisola il cricket arrivò a fine Ottocento. E rinacque nel secondo dopoguerra nello spazio verde della romana Villa Doria Pamphilj, dove si incontrarono ambasciatori, cardinali, nobiluomini e immigrati delle ex colonie britanniche amanti del cricket; tra i quali Jayarajah. Nel 1968, ventunenne, aspirante ingegnere, approdò con una borsa di studio all’Università La Sapienza. Pensava di tornare in Sri Lanka; Roma, invece, non l’ha più lasciata. Ha costruito una famiglia con Franca. Ha lavorato come consulente finanziario per i progetti della Fao.
LABORATORIO SOCIALE
Non ha mai tradito la passione per il pitch: «Dall’inizio ci siamo posti una sfida culturale: trovare la via italiana al cricket - spiega Jayarajah - Questa disciplina è un laboratorio sociale. Dal 1978, quando fondammo all’ippodromo il Capannelle Club, ci siamo sempre rifiutati di assemblare formazioni monoetniche. Nella squadra convivono tante lingue e culture, creando una comunità complessa. La diffusione non dipende semplicemente dall’immigrazione o dall’importazione selettiva di talenti. Lavoriamo sul territorio, coinvolgendo migranti e ragazzi di seconda generazione».
Roma rappresenta tuttora un epicentro di questa crescita illuminata: il Capannelle Club è campione d’Italia e conta sessanta tesserati; un numero che sale costantemente. L’avviamento e il reclutamento parte dalle scuole. All’attività della massima serie si affianca quella spontanea di base. Nei parchi il nostro sguardo curioso si posa sempre più spesso su pitch improvvisati, dove si affrontano indiani, pachistani, srilankesi e italiani. E quella nuova generazione di italiani che attende di essere accolta.
L’APPRODO A SCUOLA
A Piazza Vittorio, nel cuore multietnico della Capitale, è nato un esperimento, che funziona e attrae ragazzi di molti quartieri: dall’Eur a Torpignattara. «Dal 2007 siamo aumentati esponenzialmente, aprendo la sezione cricket nel circuito Uisp - racconta Edoardo Gallo, uno dei due allenatori del Piazza Vittorio Cricket Club - Questo sport abbatte le barriere; propizia il dialogo. L’abbiamo insegnato a scuola: un’esperienza meravigliosa alla Pisacane, a Torpignattara, dove il 90% dei bambini è di origine straniera».
Il diciottenne Fernando Cittadini, studente del liceo Machiavelli, è cresciuto nella piazza disegnata da Gaetano Koch. «Prima mi ha incuriosito vedere molti compagni di classe cimentarsi per strada con uno sport estraneo alla nostra tradizione. Poi mi sono appassionato, e sono entrato a far parte di un gruppo speciale. Il cricket ha un linguaggio universale. È rigido, complesso e spettacolare».
La struttura classica richiede tempi lunghissimi: cinque giorni per una partita; tanto impensabili per lo show-business, quanto accattivanti per i risvolti psicologici della competizione. Il formato, che rivoluziona i dettami tecnici della disciplina e ha creato un sistema mondiale, televisivamente commercializzabile, si esaurisce in tre ore.
ARBITRO INTOCCABILE
La pallina da battere viaggia anche a centosessanta chilometri orari: il gioco diventa esplosivo, aggressivo, consumabile, producendo ricchi guadagni. Il codice di comportamento non ha smarrito lo spirito puritano originario di compostezza e sportività. L’arbitro è intoccabile: a fine contesa si celebra il rito rugbistico del terzo tempo.
Il cricket compie il miracolo dell’apertura mentale al diverso: alla conversazione nel senso di coesistenza. Pone la sfida del cosmopolitismo: sentirsi legati alle proprie radici, senza dimenticare di appartenere a una comunità più ampia: l’umanità.