Arnaldo D’Amico, La Repubblica 15/12/2013, 15 dicembre 2013
ADDIO PLASTICA IL MONDO SARA’ DI SETA
BOSTON «I am italian and I cannot KEEP CALM», sono italiano, non posso mantenere la calma. La scritta sulla porta dello studio accoglie il visitatore come un monito inquietante. «Non è un invito brutale a chi bussa a non farmi perdere tempo. Ricorda simpaticamente ai miei colleghi che incarno lo stereotipo che gli americani hanno di noi, e che non si meraviglino quindi se sono irrequieto, vago per l’istituto, apro porte e mi metto a chiacchierare, anche a voce alta». E proprio così, vagando e chiacchierando con gli altri scienziati, che Fiorenzo Omenetto, partito dall’Università di Pavia vent’anni fa e approdato alla Tufts University confinante con il Mit qui a Boston, ha fatto la scoperta che Science, top delle riviste scientifiche, ha messo ora in copertina. Presentandola come ciò che può modificare non solo il modo di costruire ma persino «di pensare e progettare l’alta tecnologia, i nuovi materiali, la medicina e la sanità mondiale». Ripercorrendo a ritroso la via della seta, che non è una sola in realtà ma apre un ventaglio di possibilità infinite.
Sette anni fa Omenetto, appena arrivato qui dai laboratori di Los Alamos, quelli dell’atomica, conosce David Kaplan. Kaplan cercava un materiale da impiantare al posto di una cornea diventata opaca. Scopo: creare un supporto biocompatibile, trasparente e riassorbibile per sostenere le staminali mentre rigenerano la cornea. Omenetto allora lavorava nella fotonica: le applicazioni tecnologiche, soprattutto informatiche, della luce. «Kaplan mi mise in mano un foglio trasparente, morbido, sottilissimo. E mi chiese: perché non provi coi tuoi laser e mi dici se riesci a bucarlo o inciderlo? ». Ma il raggio scompariva attraversando quel foglio, come se fosse aria. «Il che voleva dire — racconta oggi lo scienziato — che la luce laser non incontrava sulla superficie del foglio alcuna impurità o imperfezione, anche ultramicroscopica, che assorbisse o riflettesse il raggio. Chiesi sorpreso: cos’è? Seta, fu la risposta».
E così i due si avventurarono per questa nuova via della seta. Dal bozzolo il filo, come per fare i tessuti, ma dal filo tornano alle proteine che lo compongono, dalle proteine ai loro componenti base, principalmente, segmenti di appena tre aminoacidi, sempre gli stessi, di una semplicità disarmante, ma che hanno la miracolosa proprietà di auto-assemblarsi senza limiti. Infine li rimettono nell’acqua, come è in origine nella ghiandola del baco, che impedisce ai segmenti di legarsi tra loro. La miscela è pronta: se ne prende la quantità necessaria, si mette nello stampo con dimensione, forma e caratteristiche desiderate. Il tempo che l’acqua evapori ed ecco l’oggetto che si voleva.
In questi sette anni, modificando la dinamica dell’auto-assemblaggio, Omenetto e Kaplan sono riusciti a fare di tutto (alcuni esempi li trovate in queste pagine) e a registrare diverse decine di brevetti per altrettanti materiali in seta con usi o funzioni diverse. «Siamo solo all’inizio — dice Omenetto — la plastica, e il mondo com’era e com’è diventato dalla fine degli anni ’50 in poi, quando la inventò Giulio Natta, premio Nobel nel 1963, può dare un’idea della rivoluzione. Inoltre la seta, oltre a essere molto più versatile, ha un altro vantaggio sulla plastica: in quanto proteina naturale è digeribile e l’acqua la dissolve in un tempo che si può programmare da immediatamente sino a quasi mai». E poi se la plastica oggi presenta il conto per il suo smaltimento e per i danni che procura all’ambiente e alla salute, la seta si dissolve in acqua anche fredda, liberando nell’ambiente gli stessi aminoacidi che usa la vita. Oppure diventa mangime. «Èanche sostenibile — aggiunge Omenetto —: da un ettaro di terreno otteniamo circa mezza tonnellata l’anno di seta. Inoltre, usiamo gli scarti del tessile, perché va benissimo anche quella di qualità non eccelsa. E risolvendo alcuni problemi connessi ai coloranti artificiali, potremmo anche riciclare per alcuni scopi quella dei vestiti usati. Infine, il vantaggio maggiore: per “smontarla” basta un po’ di calore per la bollitura. Poi, per arrivare al prodotto, serve pochissima energia».
Omenetto apre i cassetti della scrivania e vi dispone sopra a mo’ di presepe una vite, un bullone, ingranaggi, la replica di un osso umano, tubi sino a diametri di un capillare, fibre ottiche, lenti, chip, circuiti integrati, antenne, sensori. Hanno tutti due cose in comune: sono di seta e si dissolvono dopo un tempo programmato. Lo scienziato mostra anche alcune pellicole trasparenti apparentemente identiche. Invece, a seconda di come è stata strutturata la superficie su cui la seta si è assemblata, riflettono un solo colore della luce che li colpisce («per colorare senza coloranti chimici come è negli opali e in alcune farfalle» spiega), riflettono un colore diverso a seconda del liquido che ci si mette sopra («per sistemi di analisi chimiche istantanee») e, attraversati da un laser, proiettano sulla parete immagini di tutti i tipi, codici a barre e qualunque altro simbolo contenga informazioni ridotti a dimensioni microscopiche.
Infine, ci sono le applicazioni mediche. La seta intrappola, conserva a temperatura ambiente e libera, quando riassorbita dal corpo, moltissime molecole biologiche come vaccini e farmaci. Sostanze che per essere conservate e distribuite richiedono una catena del freddo tanto costosa da restringere il loro uso ai paesi avanzati. «Per produrre questo supporto abbiamo fondato una start up che sta avviando le procedure di registrazione farmaceutica. Saranno lunghe, perché servono anni per verificare che un nuovo dispositivo medico sia efficace e non dannoso. Ma sarà la prima applicazione pratica, medica, a vedere la luce. Per le altre ci vorrà ancora più tempo» conclude Omenetto. «Per produzioni di oggetti semplici di largo consumo invece bisogna aspettare la standardizzazione del processo produttivo. Prendiamo questo bicchiere in seta biodegradabile e commestibile: è vero che costa ben quindici dollari, ma sul costo finale la seta incide poco. È il nostro lavoro, e il farne uno per uno, che richiede spese ingenti».
Prima di lasciarci un’ultima curiosità: che ne è stato della cornea di seta con cui l’avventura cominciò? Omenetto sorride soddisfatto: «È arrivata già alla fase di sperimentazione animale».