Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  dicembre 17 Martedì calendario

ZOEGGELER, L’UOMO DI GHIACCIO

Non esiste un campione come Armin Zoeg­geler nella storia degli sport invernali. In 21 anni di Coppa del Mondo nello slittino, ne ha conquistate 10, con 56 vittorie e 101 po­di. Sabato a Park City (Utah, Usa) si è impo­sto ancora, con due manches perfette.

Armin, il 4 gennaio lei compirà 40 anni. Poi parteciperà alla sesta Olimpiade in carriera: è presumi­bile che sia l’ultima?

«Non è detto che mi ritiri, valuterò a fine stagione. Certa­mente però non arriverò ai Giochi di Pyeongchang 2018, in Corea del Sud».

Domani a Roma riceverà dal presidente della Repubbli­ca Napolitano la bandiera da sventolare il 7 febbraio, nel­la cerimonia di apertura...

«Rappresentare l’Italia è una responsabilità e un grande o­nore. Prima di me era toccato solo a due slittinisti: Paul Hildgartner, a Sarajevo 1984 e a Calgary ’88, e a Gerda Weis­sensteiner a Nagano, nel 1998».

Lei ai Giochi vanta due ori, un argento e due bronzi.

«Terzo a Lillehammer ’94, poi secondo in Giappone. Vinsi a Salt Lake City 2002 e a Torino 2006: il Piemonte ospitava il maggiore evento sportivo del millennio per il nostro Pae­se, avvertivo la pressione di tifosi, tecnici e giornalisti, la pre­parazione comunque fu adeguata e non ho deluso».

Nel 2010 è stato bronzo, ora insegue la sesta medaglia o­limpica di fila. Come soloValentinaVezzali nella scherma, se reggerà sino a Rio 2016.

«La forma è buona, devo mantenerla per questi 50 giorni. Alla mia età non è facile...».

A Wistler Mountain durante una discesa lei toccò i 151 km. orari. Ha mai timore, quando si posiziona allo start?

«Paura è una parola sbagliata, se si affaccia conviene smet­tere. Ho rispetto per il mio esercizio e alla partenza sono sempre concentratissimo: la gara dura 50-55 secondi, nei quali penso solo a guidare, all’entrata in curva e all’uscita, non c’è tempo per divagazioni. Né per avere paura».

A Vancouver il georgiano Nodar Kumaritashvili si ribaltò e perse la vita a 22 anni.

«Finì contro un palo della pista a 144 km orari, il suo ricordo resta indelebile nel nostro ambiente».

Com’è nata la passione che l’ha portata anche ai 6 titoli mondiali?

«Da bambino e quasi per forza. Abito in un maso a Foia­na, neanche mille abitanti in provincia di Bolzano. Siamo a quota 850 metri, nel comune di Lana, all’imbocco della Val d’Ultimo. D’inverno nevicava talmente tanto che il tra­gitto fra casa e la scuola era impraticabile, pertanto l’uni­co mezzo utile era lo slittino».

Un predestinato? Lei debuttò a 7 anni sui tornanti della via Joch, passando presto alle piste artificiali.

«A 14 vinsi la Coppa del mondo juniores. E a 18 anni sono entrato in Nazionale».

Quante volte è caduto in pista?

«Ho perso il conto, fortunatamente però non ho mai su­bito infortuni gravi, al massimo sbucciature diffuse».

Quante volte le hanno detto: «Sei vecchio, ritirati»?

«Mai. Fronteggio i giovani con grande rispetto, e finora reg­go bene il confronto».

Zoeggeler è un uomo di ghiaccio?

«In un certo senso. Amo i silenzi e la montagna, le piccole cose e la quotidianità. Con la pista ho un rapporto di tota­le simbiosi: nelle traiettorie inseguo la precisione assolu­ta, la slitta è sempre più tecnologica e per guidarla serve u­na grande forza mentale».

Lo spieghi a noi comuni mortali: scendere sdraiati su u­na slitta in un budello di ghiaccio è come infilarsi in un tunnel a occhi chiusi?

«Esattamente. Nelle prime esperienze si alza un po’ la te­sta per provare a vedere qualcosa, ma per sfrecciare velo­ci occorre sfruttare al massimo l’aerodinamica: si deve sen­tire il ghiaccio sotto i pattini, muovendoli con gambe, ma­ni e spalle».

Senza il freddo sarebbe perduto?

«Apprezzo anche il mare e il sole, d’inverno però mi piace

la neve. E non ho mai accusato crisi di rigetto».

Solo 8 regioni italiane hanno piste da slittino. Nel singolo la sua dittatura è legata pure alla scarsità di praticanti?

«Da noi si concentrano in Alto Adige, ma questa discipli­na è molto diffusa in Nord America, Austria e Germania, ha tradizione anche in Slovacchia e Repubblica Ceca, in Russia, Polonia e Romania. Contano sacrificio e allena­mento, non la concorrenza più o meno qualificata».

Lei ha quasi doppiato i 34 successi in Coppa del tedesco Hackl e i 33 dell’austriaco Prock che sembravano inavvi­cinabili...

«In effetti i miei numeri fanno rabbrividire, entrambi i miei vecchi rivali ora hanno lasciato ma erano più popolari di me perché lo slittino nei loro Paesi è davvero considerato».

Si diventa ricchi a vincere tutto su uno slittino?

«Con i 130mila euro dell’ultimo oro olimpico ho termina­to di pagare il mutuo della casa. Abbiamo i premi e gli spon­sor, lo slittino però resta povero. Per fortuna sono nel grup­po sportivo dei carabinieri, senza l’Arma non potrei vive­re di sport. Nel 2011 mi hanno promosso maresciallo».

Con lei in squadra c’è anche Dominik Fischnaller, 20 an­ni, vincitore della prima gara di Coppa a Lillehammer.

«Sul piano anagrafico potrebbe essere mio figlio. È un vin­cente, crescerà e in Italia si parlerà tanto di lui».

Quali sono le persone più importanti della sua vita?

«Mia moglie Monika, e i miei figli: Nina che ne ha 12 e Tho­mas, che a 8 anni va già a sciare. E, poi, lo staff che mi se­gue: l’allenatore Kurt Brugger, ex slittinista, i collaboratori Pirhofer, Haselrieder e Damian; il manager Pircher».

Le resta un po’ di tempo libero?

«Per andare a caccia: di caprioli, camosci e cervi. Amo i ca­valli avelignesi, è una razza chiara bolzanina. Poi vado in bici in mezzo alla natura».

Nel 2009 ricevette il premio fairplay riservato alle leggende olimpiche. Si sente un esempio?

«Mi auguro di esserlo per i giovani. L’importante è che pra­tichino sport, utilizzando al meglio il tempo e magari tro­vando spazio pure in politica. Da noi genitori dovrebbero ricevere messaggi educativi: poi crescere tocca a loro...».

Zoeggeler ha un idolo sportivo?

«Il mio corregionale Reinhold Messner che ha scalato per primo tutte le vette oltre gli 8mila metri. Lui sa veramente quel che vuole dalla vita».