Emanuele Santi, Left 14/12/2013, 14 dicembre 2013
GIOVANNI PORTIERE PER CASO
Quando aveva dodici anni, giocava a centrocampo nella squadretta del suo quartiere, a Pisa. Alla prima di campionato, l’imprevisto che può cambiare una vita: il portiere titolare non si presenta. Fu il suo babbo a suggerirgli: «Prova ad andarci tu in porta». Giovanni Galli prosegue con un’ombra di sorriso sul volto, inquadrato dalla luce che attraversa il buio della sala: «E, così, giocai la prima, giocai la seconda, giocai la terza finché non uscii più da quella porta». E poi conclude: «E se potessi tornare indietro, nella mia vita, sceglierei comunque di fare il portiere». Ho conosciuto l’ex numero uno della Nazionale a fine novembre, al Caffè letterario Le Murate, nel cortile recuperato del vecchio carcere di Firenze in occasione di un interessante incontro su letteratura e pallone nell’ambito delle celebrazioni per il centenario della nascita di Albert Camus, incontro al quale ho partecipato grazie al mio libro sull’adolescenza calcistica dello scrittore algerino. C’era il giornalista Franco Morabito, il professor Felice Accame (docente di teoria della comunicazione a Coverciano) e Massimo Cervelli dell’assessorato per la Cultura della Regione Toscana. E c’era anche tanta gente ad assistere al dibattito arricchito dalla voce di Lorenzo Degl’Innocenti, attore pronto a far rivivere brani di Osvaldo Soriano, di Eduardo Galeano e addirittura del mio II portiere e lo straniero. A fine serata, i saluti. Galli mi ha stretto la mano e mi ha rinnovato i complimenti per il libro. Era proprio la mano del portiere che, prima di arrendersi a due sinistri di Bruno Conti, avevo visto parare un rigore a Roberto Pruzzo in un novembre altrettanto freddo quando ero stato io ad avere avuto dodici anni. Ed era lo stesso portiere che nell’autunno precedente, quello dell’81, aveva allargato le braccia sconsolato davanti a un colpo di testa del solito Pruzzo servito al volo dal tallone invulnerabile di Paulo Roberto Falcao. E adesso se ne stava lì, in formissima, col suo metro e novanta scarso e le sue quasi 500 presenze in serie A. È stato il terzo portiere azzurro ai mondiali dell’82, il titolare a quelli dell’86, vincitore dello scudetto col Milan di Sacchi, di due coppe dei Campioni e di una coppa Intercontinentale. È stato bello sentirlo parlare del linciaggio mediatico per quel gol (nemmeno determinante) subito da Maradona ai mondiali del Messico: un colpo di genio secondo gli amanti del pibe de oro, una papera del portiere secondo i detrattori del campione argentino. E pensare che il suo futuro compagno di squadra (perché Galli nel ‘90 andrà a giocare a Napoli) gliene aveva segnato uno molto simile sotto la neve di Firenze nel gennaio dell’85.
Quella sera, però, a Firenze la neve non c’era, ma faceva ugualmente freddo per colpa del vento. Era lunedì e, dopo un bicchiere di Chianti insieme agli amici del Caffè letterario, mi sono incamminato lungo la via Ghibellina per raggiungere la stazione e il penultimo treno per Roma. E non riuscivo a capire come mai una persona piena di qualità positive come Giovanni Galli, quattro anni prima, avesse potuto accettare la candidatura a sindaco di Firenze per il centrodestra. Poi, però, mi è venuto subito in mente colui il quale lo aveva sconfitto al ballottaggio guidando la coalizione di centrosinistra. Il vento freddo è aumentato all’improvviso e io, allora, ho allungato il passo.