Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  dicembre 14 Sabato calendario

TOMMASO GHIRARDI GIOVANE DENTRO


Dopodomani, lunedì 16, il Parma festeggia 100 anni di vita. Tommaso Ghirardi ne ha 38 e da quasi 7 è presidente del club. Tra i suoi colleghi di Serie A solo Andrea Agnelli della Juventus è più giovane (qualche mese, dicembre contro maggio). Due buoni motivi il compleanno della società e l’età del proprietario per chiedere a lui quale calcio ha trovato e se e in che modo vorrebbe vederlo cambiare. Dentro e fuori dal campo.
Partiamo da qui, dall’impatto col mondo nel quale è sbarcato nel 2007. Si è rivelato come si aspettava?
«Faccio calcio da quando avevo 21 anni, partito dal Carpenedolo, provincia di Brescia, che ho portato fino alla C prima di prendere il Parma. Penso a quei tempi con rimpianto perché il calcio vero, il calcio degli appassionati, si gioca in Prima categoria o in Eccellenza. Dopo, diventa soprattutto business. Più affari e meno sport. E questo non mi piace».
Cosa le piace, invece?
«Stare a bordo campo a gustarmi l’allenamento. Al Parma quasi ogni mercoledì sto in panchina a guardare Donadoni che lavora coi ragazzi».
In questo calcio, per un club come il Parma, 100 anni di storia sono un punto di partenza o di arrivo?
«Deve essere in ogni caso un punto di partenza. In economia abbiamo toccato il momento più basso degli ultimi 20 anni e la crisi, nel calcio, costringe a ripartire dallo sviluppo dei settori giovanili cominciando dal rafforzamento delle strutture sportive, come abbiamo fatto noi. Oggi i giocatori devi costruirteli in casa o pescarli nelle serie minori o in Paesi fuori dalle grandi rotte del mercato, ma purtroppo è una cosa che hanno capito anche le società italiane più ricche. Quando ho acquistato il Parma la battaglia per la sopravvivenza riguardava solo club medio-piccoli come il nostro. Oggi il deficit economico mondiale tocca soprattutto le grandi».
Ha in testa il modello Udinese?
«Dell’Udinese ho grande stima, ma noi preferiamo concentrarci sullo sviluppo del nostro settore giovanile, piuttosto che cercare all’estero. Quest’anno abbiamo vinto lo scudetto degli Allievi e uno scudetto della categoria è uno scudetto del Parma, è come se vincesse la prima squadra. Per questo mi dispiace che certi successi passino sotto silenzio».
Anche a Parma?
«Io ho la fortuna di non dover convincere i tifosi. È il resto della cittadinanza che sembra non aver chiaro cosa è successo, da dove siamo ripartiti e dove siamo arrivati. Il tifoso sa qual è la nostra dimensione e ha capito che io sono uno dei pochi a fare calcio per passione».
Sia sincero: per quello che diceva prima sul calcio come business, la diverte più vedere una partita degli Allievi o dei grandi?
Mi diverto a vedere la prima squadra. Finché avrò questa voglia e questa adrenalina, continuerò a far calcio. Devo stare attento a non disperdere questo patrimonio, perché costituisce la mia risorsa più importante».
E come riesce a non disperderlo?
Bella domanda... Bisogna avere l’affetto dell’ambiente che ti circonda. Non voglio essere retorico, ma tante volte una pacca sulla spalla conta più di una sponsorizzazione o un contributo economico. Io sono molto grato al nocciolo duro della nostra tifoseria, quei 10-12 mila sempre presenti, che quasi conosco uno a uno e che mi fanno sentire amato nonostante sia forestiero. Poi ci sono gli invidiosi, che non gradiscono la mia popolarità».
Cosa la inorgoglisce soprattutto, alla vigilia del centenario del club?
«Se penso alle macerie che ho trovato a gennaio 2007, con un club commissariato, un centro sportivo quasi abbandonato, una squadra agli ultimi posti della classifica, nessun giocatore di proprietà, non posso che essere contento di ciò che ho fatto: per i piazzamenti degli ultimi 4 anni, il Parma è la 98 squadra del campionato. Tutto questo mi è costato molto anche dal punto di vista umano».
Cioè?
«Non ho tempo libero. Sono diventato padre da 9 mesi e vedo mio figlio pochissimo. Tra le mie aziende e il calcio non ho respiro. Ho la domenica libera solo se abbiamo giocato il sabato».
E dove porta la famiglia in queste occasioni?
«Restiamo a casa. Infilo una tuta e via».
Quante volte Francesca, la sua compagna, le ha detto: Tommaso, ma chi te l’ha fatto fare?
«Me lo dice sempre (ride)».
È tifosa, almeno?
«Tifosissima, però ha dei valori più importanti del calcio che la portano a fare delle osservazioni sulle quali mi fermo a riflettere».
E lei quante volte si è detto: chi me lo ha fatto fare?
«Mai. Non so cosa succederà il giorno in cui me lo domanderò».
Com’è in tribuna il tifoso Ghirardi?
«Il tifoso Ghirardi non sta più in tribuna perché lì, con le telecamere addosso, bisogna stare seduti composti e io non ce la faccio. Così, da un paio d’anni mi sono ritirato in un box dove sono libero di muovermi, sfogarmi... Ma adesso le televisioni sono venute a beccarmi pure là, perciò dovrò darmi una regolata».
Cassano è il colpo della sua vita?
«È il più forte che abbia mai preso. E sono stufo di rispondere a chi mi chiede se si comporta bene. Si comporta come tutti gli altri».
Cosa gli ha detto la prima volta?
«“Mi raccomando, ho fatto un grosso sacrificio per prenderti, fammi divertire”. Sta mantenendo la parola. Si impegna, è calato di peso, ci tiene. Anche perché ha in testa il Mondiale».
Gli ha chiesto consigli sulla dieta?
(ride) «Oggi a pranzo ho visto che si era messo nel piatto una fetta di crostata che il medico gli ha dimezzato. Ho avuto la conferma che vale sempre la vecchia regola secondo la quale devi mangiare la metà di quello che ti senti».
A quale giocatore è legato?
«A quelli che ho acquistato per primi e sono ancora qui: Alessandro Lucarelli, Pavarini... E a Cristiano Lucarelli, che ci ha regalato il titolo Allievi e che da giocatore scelse il Parma quando poteva andare in club molto più importanti. Come lui, oggi. Gobbi e Amauri hanno lasciato Fiorentina e Juve per sposare il nostro progetto».
Quanti invece l’hanno delusa?
«Ho avuto delusioni da dirigenti e procuratori, mai dai giocatori. Forse anche perché grazie all’amministratore delegato Leonardi abbiamo scelto degli uomini, prima dei calciatori».
A proposito: se Leonardi le chiedesse 50 milioni di buonuscita come Galliani ha fatto con Berlusconi?
«Lo butto in piscina» (ride).
Andrea Agnelli auspica a capo della Lega un uomo diverso da quello attuale, Maurizio Beretta, estraneo a questo mondo.
«Io credo invece che Beretta può fare molto bene: è uomo di mediazione, e saper mediare è qualità fondamentale in un organismo come la Lega. Grazie anche a lui, per esempio, la trattativa per il rinnovo dei diritti televisivi con Infront è portata avanti da Andrea Agnelli e Claudio Lotito, due che spesso si sono trovati su posizioni contrapposte».
Lei è d’accordo nel proseguire questa trattativa, mentre c’è chi tra i suoi colleghi vorrebbe intavolarne una con una diversa controparte?
«Sì. A parte il contratto che ci lega a Infront ancora per un anno, mi pare che dall’accordo finora abbiamo ricavato buoni introiti».
Ma è possibile che i club siano tanto legati ai ricavi televisivi?
«Non si può uscire da questa situazione finché lo Stato non ci aiuterà a combattere la contraffazione che affossa il merchandising ufficiale o a costruire stadi all’altezza di quelli europei. Perfino in Polonia e in Bulgaria ho visto impianti migliori. Noi abbiamo uno stadio in centro città che renderebbe il triplo se diventasse un polo di attrazione 7 giorni su 7. Anche gli istituti bancari sono un problema: la loro policy aziendale non prevede finanziamenti nel calcio, perché hanno l’immagine di un mondo inquinato e in crisi».
Cosa invidia a Juve, Inter e Milan?
«I soldi che guadagnano coi diritti tv.
Andrebbero distribuiti in base ai risultati sportivi e non solo per il bacino d’utenza di riferimento».
Un episodio memorabile delle infinite assemblee di Lega?
«Quella volta che Lotito parlava da un telefono fisso con un politico romano davanti a tutta l’assemblea e Cellino gli staccò la spina dalla presa. Claudio non se ne accorse e andò avanti a parlare».
Chiuda gli occhi: chi prenderebbe tra Messi e Cristiano?
«Messi. È un giocoliere come Cassano».
Bale vale davvero 100 milioni?
«È un’operazione di marketing. Torniamo al calcio come business di cui si parlava prima».
L’errore più grosso finora?
«Lo dirò quando sarò vecchio».
Il rimpianto?
«Giuseppe Rossi. Offrii al Manchester 7 milioni, il Villarreal lo comprò per 9 e mezzo. Avrei dovuto sforzarmi di più».
La scelta di cui va più orgoglioso?
«Due: aver preso Claudio Panieri come allenatore e scelto Leonardi come dirigente».
Meglio giocarsi la finale di Champions col Barca o lo scudetto con la Juve all’ultima giornata?
«Lo scudetto con la Juve».
Ma se invitasse a cena Cassano, cosa gli farebbe mangiare?
«Non so, di sicuro staremmo leggeri».