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 2013  dicembre 14 Sabato calendario

S&P CONFERMA IL RATING «BBB» ALL’ITALIA– La buona notizia è che il rating dell’Italia non ha subito un downgrade, al contrario di recenti indiscrezioni

S&P CONFERMA IL RATING «BBB» ALL’ITALIA– La buona notizia è che il rating dell’Italia non ha subito un downgrade, al contrario di recenti indiscrezioni. Quella cattiva è che l’outlook resta negativo. Almeno secondo l’agenzia di rating statunitense Standard and Poor’s, che ha confermato il rating del Paese nel lungo periodo (giudizio sulla capacità di onorare il debito pubblico che a ottobre ha raggiunto la soglia record di 2.085 miliardi di euro) a «BBB», due gradini sopra la soglia «non investment grade», considerata d’allarme dato che potrebbe far scattare vendite automatiche di bond governativi da parte di alcuni investitori istituzionali. L’Italia, quindi, può respirare dato che la soglia critica resta lontana. Ma c’è un neo e riguarda lo scenario, «negativo» (per l’agenzia c’è una possibilità su tre che il rating possa essere abbassato nei prossimi 12 mesi). E questo giudizio di merito pesa ancor di più se si considera che a fine novembre proprio S&Poor’s ha promosso l’outlook della Spagna da «negativo» a «stabile» (anche se il giudizio su Madrid è «BBB-», un gradino sotto quello italiano, a un solo "notch" alla soglia «non investment grade»). Tuttavia non pesa per i mercati dato che ieri l’Italia ha risorpassato la Spagna nella classifica di spread e tassi (BTp a 10 anni al 4,09% contro Bonos al 4,1%). Ma come mai ci sono ancora nubi? Il rating resta condizionato - si legge nella nota dell’agenzia - da prospettive di crescita sempre deboli, mentre il debito pubblico continua ad essere fra i più elevati degli Stati che sono oggetto della valutazione. A pesare c’è anche un meccanismo di trasmissione monetaria malfunzionante che ha condotto a condizioni di credito molto rigide per il settore privato e il rischio di un marcato deterioramento del finanziamento esterno derivante dal peggioramento delle condizioni del settore finanziario. Per queste ragioni per il 2014 e il 2015 l’agenzia prevede solo una debole ripresa del Pil reale, dello 0,4% e dello 0,9%, mentre in termini nominali prevede una crescita media appena superiore all’1% nel 2014 (contro un’attesa del 3% da parte del Governo) e inferiore al 2% nel 2015 e nel 2016. Una tendenza che «potrebbe impedire al Governo di invertire il trend di crescita dell’indebitamento pubblico». Tra i temi dolenti per l’agenzia, la riforma del lavoro, che invece la Spagna ha varato (dal picco raggiunto nel 2008 il costo del lavoro a Madrid è crollato del 14% mentre quello italiano, così come in Francia e casi unici nell’Eurozona dal 2000, ha tenuto). Infatti visti «i diversi livelli di convinzione da parte delle forze politiche in Italia sull’urgenza delle riforme del lavoro - come dei settori dei servizi, dell’energia e delle normative fiscali - l’agenzia si dice incerta sulla possibilità che queste vengano realizzate nel corso del prossimi due anni». Mentre è «costruttiva» la riduzione del cuneo fiscale prevista dalla legge di stabilità anche se «gli effetti saranno relativamente limitati, allo 0,2% del Pil». Inoltre, le previsioni non coincidono con quelle del governo. Il deficit pubblico è stimato al 3% del Pil nel 2013 e a un livello simile l’anno prossimo contro il 2,5% stimato dal Governo. «Non commentiamo le valutazioni delle agenzie di rating - ha replicato il portavoce del ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni -. Ci limitiamo ad osservare che si smentiscono voci circolate in alcuni ambienti di ulteriori downgrade e che gli estensori di questo rapporto sull’Italia, nonostante la conferma dell’outlook negativo, prevedono che il nostro Paese sia fuori dalla recessione e registri nel 2014 un Pil in crescita. Certo, la loro stima è inferiore alla nostra, ma sappiamo che tutti gli istituti di previsione sottostimano l’effetto delle misure prese nel corso di questi mesi, dagli ecobonus agli investimenti pubblici su opere immediatamente cantierabili, fino al rimborso di 16 miliardi di debiti pregressi in soli sei mesi, oltre a quelli in corso di erogazione in queste ultime settimane. Prendiamo atto comunque che viene apprezzata la direzione in cui vanno le misure prese dal governo, a partire dalla riduzione delle imposte su lavoro e imprese».