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 2013  dicembre 16 Lunedì calendario

GAVIO: "SCOMMETTO SULL’ITALIA"


[Beniamino Gavio]

«Abbiamo messo 300 milioni per cassa, senza creare nuovo debito, in Tem e Te, le società che fanno capo a Intesa Sanpaolo e a noi e che realizzeranno e gestiranno la Tangenziale Esterna di Milano, dopo la loro privatizzazione. Puntiamo a creare un’unica società con Brebemi. Si tratta di due opere strategiche per l’Expo 2015 e per l’intero scacchiere del Nord e siamo contenti di realizzare l’operazione con una delle due più importanti banche del paese. In un periodo difficile per l’Italia noi vogliamo dare un contributo per far ripartire il nostro paese. E abbiamo ancora liquidità da spendere per oltre 200 milioni più risorse finanziarie aggiuntive se troveremo l’occasione per crescere nel settore delle costruzioni ». Beniamino e Marcello Gavio, a quattro anni dalle morti ravvicinate di Marcellino e di Pietro, i due fratelli che avevano fondato il gruppo, guidano una conglomerata di concessioni, trasporti-logistica, energia e costruzioni. Beniamino Gavio esce per la prima volta allo scoperto e spiega in dettaglio le strategie della famiglia, rivelando particolari inediti al tempo della guerra con Salini per Impregilo.

E parla del rinnovamento manageriale, culminato la scorsa estate con la clamorosa uscita di Bruno Binasco, per anni manager di punta del gruppo.
Dottor Gavio, con l’accordo di governance che avete firmato con Intesa Sanpaolo siete ormai i re delle autostrade del Nord Ovest. La rete da voi controllata va dal Piemonte alla Lombardia, dalla Liguria fino all’Emilia. Dove volete arrivare?
«Vogliamo solo rafforzare un gruppo che è radicato e vuole investire in questo paese, in cui crediamo nonostante le attuali difficoltà, dovute in parte a problemi dell’Italia stessa e in parte dell’Europa. I benefici per la Lombardia dalla Brebemi, e dalla Tangenziale Esterna, sono molteplici, ad esempio un tempo di percorrenza fra Brescia e Milano ridotto del 50 per cento rispetto alla A4 e un risparmio dei tempi di percorrenza pari a 20 milioni di ore all’anno».
A questo punto che quota avete delle autostrade italiane?
«Circa il 18 per cento, e con Brebemi e Te arriviamo alla soglia del 20 per cento, in una delle aree più ricche d’Italia. Su queste autostrade ci saranno1,850 miliardi di investimenti entro il 2017».
A vendere le quote di Tem e Te che voi avete rilevato è stato proprio Salini, che vi aveva soffiato Impregilo. Sembra che ci sia stata una vera spartizione: a lui le costruzioni, a voi le concessioni autostradali. Aveva dunque ragione Salini a voler dividere nettamente i due settori?
«Non credo proprio. Il nostro modello prevede la presenza e anche il rafforzamento della parte costruzioni, che ora vale il 23 per cento del totale, contro il 36 delle concessioni».
Vuol dire che, orfani di Impregilo, cercate un’altra società di costruzioni da incorporare?
«Una società o parti di aziende. Sì, vogliamo rafforzare le costruzioni e se ci capita qualcosa d’interessante da acquisire valuteremo. Stiamo lavorando al progetto di ristrutturazione e sviluppo delle nostre società, fondato sul modello costruzioni-concessioni che garantisce redditività superiore rispetto alla sole costruzioni ».
Ci spieghi questo progetto.
«Puntiamo ad acquisire una grande società nel settore costruzioni utilizzando la liquidità di Astm pari a oltre 200 milioni a cui potremmo aggiungere risorse finanziarie aggiuntive. In Astm potrebbero confluire le nostre società di costruzioni, con in testa Itinera insieme alle società di ingegneria/ progettazione (Sina e Sineco)».
C’è però un passaggio che andrebbe spiegato. Voi avete già un’impresa di costruzioni, Itinera. Perché ne volete una più grande quale sarebbe stata, appunto, Impregilo?
«Il modello che abbiamo in testa è lo stesso che hanno i francesi di Vinci ed Eiffage e gli spagnoli di Ohl e Abertis, dove si affianca il general contractor al concessionario. Il general contractor consente di valutare un’opera ed entra nella concessione con quote minoritarie, realizza l’opera e poi esce, fa cassa mentre poi rimane il gestore insieme ad altri partner finanziari (banche, fondi d’investimento), che cercano un rendimento elevato e garantito nel lungo termine».
Un peccato, dunque, non aver tenuto Impregilo. Ma perché non lanciaste voi l’Opa?
«Avevamo in precedenza salvato Impregilo attraverso un importante aumento di capitale insieme ad altri soci. Quando vidi che Salini aveva cominciato a comprare azioni, tra fine 2011 ed inizio 2012, facemmo un accordo con Fonsai ed offrimmo in prelazione le quote al gruppo Benetton. Solo dopo rilevammo anche il loro pacchetto. Io a quel punto cercai altri soci, per lanciare un’Opa su Impregilo. Ricevetti pressioni per unire i due gruppi ma avevamo visioni strategiche troppo diverse».
Ma qual era il vostro piano?
«Prima dell’Opa avavamo anche pensato di fare un buy back di azioni per 200 milioni per superare il 30 per cento. Poi pensammo di lanciare l’Opa quando il titolo era a 3,2-3,5 euro. Occorrevano 300 milioni di capitale: 100 milioni eravamo pronti a metterli noi ma avevamo bisogno di altri soci che mettessero gli altri 200 milioni ed il resto sarebbe stato finanziato dalle banche. Ma non trovammo i soci, anche perché molti ci risposero che si era creata una situazione societaria in Impregilo molto complessa».
Perché allora non procedeste da soli?
«Non ce la sentimmo di lanciare l’Opa da soli perché secondo noi il debito che si sarebbe creato in Impregilo sarebbe stato troppo elevato. Infatti anche cedendo solo parte delle quote in Ecorodovias, il perimetro del gruppo si sarebbe ridotto notevolmente e avremmo avuto difficoltà ad accedere ai bid bond ed ai performance bond per partecipare alle gare. Decidemmo quindi di uscire sapendo comunque che Impregilo avrebbe incassato i soldi dalla vendita di Ecorodovias».
Però uscendo avete perso la grande occasione di valorizzare al meglio il vostro modello di business, visto che ora cercate un’alternativa proprio a Impregilo.
«È così ma credo che non mancheranno di certo le occasioni».
Come vi sareste riorganizzati se le cose fossero andate diversamente?
«Avremmo fuso Igli (che controllava Impregilo, Ndr) con Astm e Impregilo, mentre Itinera si sarebbe fusa con la stessa Impregilo ».
A proposito, vi siete pentiti di aver venduto anche la quota residua del 2 per cento di azioni Impregilo rimaste in vostro possesso dopo l’Opa? Ha visto che brillante rally hanno fatto?
«No. Vediamo cosa succederà in futuro. Noi non ce la siamo sentiti di lanciare l’Opa da soli a 3,23,5 euro, loro l’hanno fatto a 4 euro. Ma mancano ancora gli elementi per giudicare».
Acqua passata, ormai. Parliamo invece del management. Voi avete sorprendentemente fatto uscire quello che per moltissimi anni è stato un punto di riferimento nel vostro gruppo, l’ad Bruno Binasco. Ci sono stati contrasti?
«No, con Binasco siamo in ottimi rapporti, ma il tempo passa per tutti e noi volevamo ringiovanire il gruppo. Abbiamo in testa un modello un po’ diverso con un nuovo assetto manageriale dove non ci siano ‘imbuti’ ma ampia condivisione e confronto sulle strategie e gli sviluppi delle aziende. Se hai dei giovani hai il dovere di farli crescere responsabilizzandoli. In Argo, la nostra finanziaria di secondo livello che sta sotto Aurelia, ci siamo noi quattro della famiglia più i manager: Sacchi, ad di Astm; Pierantoni, ad di Sias; poi sono entrati Alberto Rubegni, ex ad di Impregilo che abbiamo voluto con noi, e Stefano Viviano, il direttore finanziario del gruppo».
Lei parla di ricambio generazionale. Sarà contento, quindi, che nel panorama politico si stia verificando lo stesso cambiamento, con Matteo Renzi diventato segretario del Pd. Pensa che Renzi potrà far bene?
«Me lo auguro davvero. Ma intanto penso che in questo momento non possiamo permetterci di far cadere il governo Letta».
Parliamo della sua famiglia, cioè di lei stesso, di sua sorella Daniela, e dei suoi cugini Marcello e Raffaella, figli di suo zio. Rappresentate il passaggio (sempre difficile) dalla prima alla seconda generazione. Quando avete deciso di accettare la sfida?
«Subito: appena morti mio padre e mio zio, nel 2010, il gruppo Abertis ci chiese di acquistare Sias. Ci riunimmo e decidemmo di continuare come avevano fatto i nostri genitori nel rispetto dei posti di lavoro e delle famiglie, accettando la sfida imprenditoriale ».
Qual è l’assetto nella cassaforte di famiglia, l’Aurelia?
«Abbiamo quattro quote. Abbiamo anche sistemato le prelazioni, che avverrebbero a livello di nuclei familiari. Se mia cugina volesse vendere la sua quota il primo a decidere se rilevarla sarebbe mio cugino. Poi subentreremmo noi e viceversa. Ma non credo che succederà mai. Mio zio, in punto di morte, mi disse: “Non vendete, e se volete farlo vendete tutti assieme e state uniti comunque”. Ma noi andiamo avanti».
Il vostro gruppo è difficilmente leggibile dall’esterno. È una conglomerata da 2,23 miliardi di fatturato con 5.500 dipendenti diretti dove c’è posto non soltanto per autostrade e costruzioni ma anche per energia, trasporti-logistica, tecnologia, engineering. E persino cantieri navali con la Baglietto. Serve una semplificazione?
«Oltre alle autostrade e alle costruzioni, gli altri altri settori importanti sono soltanto due: quello dei trasporti-logistica, che vale il 15 per cento del fatturato globale, e quello dell’energia, che vale il 19 per cento. Il resto sono affari minori. Ma non bisogna dimenticare che il nostro gruppo nasce con il business dei trasporti a partire dalla fine degli anni 50. Oggi in questo settore abbiamo 1.200 tir di proprietà e 400 milioni di fatturato. Anche nell’energia facciamo la nostra parte, con 524 milioni di ricavi nel 2012. Da circa 20 mesi sono entrati nel gruppo anche Baglietto, brand storico della nautica italiana che stiamo sviluppando con i cantieri a La Spezia, e Cerri con i cantieri a Carrara. Il nostro gruppo sta crescendo e ha bisogno solo di qualche semplificazione che stiamo mettendo in atto. Quella più grande è già stata fatta e riguarda la struttura manageriale ».
Cosa servirebbe all’Italia per recupare il gap accumulato nei settori dei trasporti e della logistica?
«Il Paese ha bisogno di un grande piano nazionale per interconnettere ferrovie, autostrade, porti, interporti ed aeroporti. Il mancato sviluppo delle infrastrutture e della loro integrazione ci ha fatto perdere 142 miliardi di Pil rispetto alla Germania negli ultimi dieci anni, che equivalgono a diverse Leggi di Stabilità. A questo grande piano di modernizzazione siamo certi di poter dare il nostro contributo».