Sergio Romano, Corriere della Sera 16/12/2013, 16 dicembre 2013
SORTE DELLE BANCHE CENTRALI DOPO L’UNIONE MONETARIA
Con l’entrata nell’Euro, la Banca d’Italia ha perso la funzione di batter moneta, e conseguentemente il potere di indirizzo dell’economia, attraverso la leva monetaria. Con i recenti accordi nel merito, la funzione di controllo sulle banche nazionali, passerà a breve alla Bce; allora ha ancora senso avere un’Istituzione strutturata come non fosse cambiato nulla, quando invece è stata spogliata delle sue funzioni primarie? Leggo in questi giorni che la Banca ha accantonamenti pari ad oltre 130 miliardi di euro, ed una riserva aurea di oltre 2.500 tonn. pari a circa 100 miliardi di euro. Cosa servono se non battiamo moneta e non ci sono più i presupposti che giustificavano tali coperture? Non sarebbe il caso di utilizzarne una parte per ridurre il debito e scongelare capitali atti a produrre investimenti?
Romolo Rubini
romrub@alice.it
Caro Rubini,
Una precisazione, anzitutto. Gli accordi che si stanno negoziando in questi giorni per la creazione di una Unione bancaria non prevedono che tutti gli istituti di credito dell’Eurozona vengano affidati alla vigilanza della Banca centrale europea. La Germania vuole che Francoforte eserciti questa funzione soltanto per le banche (circa 150) che hanno dimensioni internazionali e ha ottenuto che le altre (parecchie centinaia) siano soggette in prima battuta ai controlli delle autorità nazionali. Il problema segnalato nella sua lettera, comunque, esiste ed è comune a tutti i Paesi dell’euro. Quale è il futuro di una banca centrale che non batte moneta, non fissa i tassi d’interesse e non è in grado di fare una politica monetaria?
Qualche anno fa il primo presidente della Banca centrale europea, Wim Duisenberg, suggerì che le banche nazionali cercassero di dare a se stesse nuove competenze in settori come quello della vigilanza creditizia, dei sistemi di pagamento, dei sistemi bancari e della gestione delle riserve. Tutte avrebbero dovuto fare una cura dimagrante e qualche banca centrale (quella tedesca, per esempio) è stata più rigorosa di altre. Ma anche la Banca d’Italia si è adeguata chiudendo parecchie filiali provinciali. Può darsi che vi siano ancora resistenze corporative. Ma la soluzione più radicale (chiudere tutte le banche centrali nazionali nel giro di un paio d’anni) sarebbe stata assurda. Non si butta via una vecchia istituzione, collaudata dal tempo, prima d’essere certi che il nuovo sistema sia in grado di funzionare. Non si disperde un capitale di esperienze e competenze che può ancora essere utile al Paese.
Resta il problema delle riserve valutarie. Anche Tommaso Padoa Schioppa, quando era ministro dell’Economia del secondo governo Prodi, cercò di convincere la Banca d’Italia che quelle riserve potevano essere utilizzate per risanare i conti pubblici. I banchieri centrali rispondono generalmente, non soltanto in Italia, che le riserve valutarie e l’oro sono un‘ultima ratio, da conservare per l’eventualità di una emergenza, fra cui la guerra. Ma un po’ di fantasia, in questo campo, non guasterebbe. A una condizione, tuttavia: che l’uso delle riserve non sia tale da suscitare l’impressione di una imminente insolvenza. Se questa fosse la percezione dei mercati, il divario fra i tassi d’interesse delle nostre obbligazioni e di quelle tedesche andrebbe immediatamente alle stelle. E le riserve scomparirebbero in poche settimane.