Adriano Prosperi, la Repubblica 16/12/2013, 16 dicembre 2013
IN ITALIA I ROGHI DI LIBRI SI FANNO SENZA FIAMME
Si bruciano libri a Budapest. Ricordate l’aforisma di Heine? Dove si bruciano libri si finisce col bruciare uomini. Altri tempi: oggi gli uomini si danno fuoco da soli. Sulla piazza dell’Università di Heidelberguna pietra colorata del selciato ricorda il rogo di libri del 1933 con le parole di Lessing: «Un libro una volta stampato appartiene al mondo intero per tutta la durata dei tempi: nessuno ha il diritto di distruggerlo».
Quella lezione la Germania l’ha imparata. La biblioteca di Heidelberg conta circa sei milioni di libri e dentro vi circolano liberamente ogni giorno lettori e studiosi d’ogni parte del mondo, anche non pochi italiani. Quella università si gloria di premi Nobel autentici, cioè cresciuti lì, non in altri paesi come accade da noi. In Italia intanto ai roghi di libri abbiamo sostituito sistemi meno vistosi ma più efficaci: mettere ladri alla direzione di antiche biblioteche, privatizzarle, delocalizzarle, farle morire di morte lenta, per mancanza di personale, di soldi, di spazi. Quello che fa gola è il guscio vuoto: in Italia c’è una tradizione illustre di edifici di nobilissima architettura. Siamo pur sempre il paese che ha inventato la biblioteca pubblica ai tempi del Rinascimento. Oggi la realtà è deprimente. Vediamo due casi esemplari, Pisa e Modena.
A Pisa, città universitaria per definizione, né più né meno di Heidelberg sua quasi coetanea, la grande biblioteca della Sapienza è sotto sfratto. Si dice che l’edificio sia stato colpito dal terremoto dell’Emilia Romagna, anche se resta oscuro come sia avvenuta questa deviazione selettiva del percorso del sisma. Per ora, i libri sono da un anno e mezzo prigionieri di un carcere che per una singolare astuzia della ragione si chiama la Sapienza: è il cuore dell’Università e il monumento pisano più noto nel mondo, Torre pendente a parte. Fu sede nel 1839 del primo congresso degli scienziati italiani, memorabile auspicio dell’unità d’Italia. Oggi è desiderato per altri usi. E i libri? Non li vuole nessuno. Incombe la minaccia di un deposito remoto e anonimo, fuori città, mentre autorità cittadine, professori e studenti assistono distratti al disastro.
Prendiamo l’altro caso, quello della Biblioteca Estense di Modena. Nata nel Palazzo Ducale insieme alla Galleria Estense, ha sede da 130 anni nel Palazzo dei Musei, già «Grande Albergo delle Arti»: una scelta esemplare da parte del Comune di tutela del patrimonio culturale e di apertura all’uso pubblico del sapere. Vi aleggia lo spirito di bibliotecari come Ludovico Antonio Muratori e Girolamo Tiraboschi, numi tutelari dello studio della storia e della letteratura italiana trovarono un luogo di elezione. Oggi quel luogo è sotto la minaccia di un radicale mutamento. Tutto comincia quando, il 13 novembre 2007, viene firmato un protocollo d’intesa tra il ministro dei Beni e le attività culturali Francesco Rutelli, il sindaco di Modena e la Fondazione Cassa di risparmio di Modena. In nome della «valorizzazione », si decise lo spostamento della Biblioteca nell’ex ospedale settecentesco di Sant’Agostino, diventato proprietà della Fondazione bancaria. Al Palazzo dei Musei svuotato dai libri restava il compito di «valorizzare » le collezioni d’arte. La sezione modenese dell’associazione Italia Nostra non attese la firma del protocollo per protestare e appellarsi al ministero. Ma sono passati sei anni e la minaccia è rimasta pendente, anzi si è aggravata. Vi si sono aggiunte non solo le volgarità di cui è capace il provincialismo italico, come l’idea di definire “Beaubourg modenese” il nuovo «polo culturale », ma anche ben più gravi volgarità architettoniche. Un’autorizzazione ministeriale (ministro Ornaghi) ha consentito la libera ristrutturazione del settecentesco ex Ospedale S. Agostino con l’aggiunta di due torri librarie svettanti nel panorama urbano: un attentato alla Ghirlandina, una clamorosa violazione dei principi del restauro architettonico e delle norme del piano regolatore.
Per Pisa, per Modena, ma non solo per loro si attende ora un’inversione di rotta. È tornato a sollecitarla il presidente della sezione modenese di Italia nostra, l’avvocato Giovanni Losavio, con un appello al ministro dei Beni culturali. La aspettano tutte le biblioteche pubbliche italiane. Senza libri, senza biblioteche pubbliche non c’è cultura che tenga. Un paese civile non può restare impiccato alla televisione.