Roberta Castellarin e Paola Valentini, Milano Finanza 14/12/2013, 14 dicembre 2013
YELLEN, LADY 2014
La prima donna alla guida della Federal Reserve statunitense è un evento di portata storica. E rimuovere almeno parte della montagna di soldi rovesciata sull’economia è più difficile che immetterla. Non a caso è Janet Yellen, futuro presidente della banca centrale americana, il personaggio che gli uomini di mercato hanno eletto protagonista nel 2014.
Risulta proprio Yellen la più votata da analisti, gestori e operatori di finanza italiani e internazionali come figura chiave per il 2014. Perché, come si sa, i mercati archiviano in fretta il passato e sono sempre pronti ad anticipare gli eventi futuri (o almeno ci provano). Alla Yellen, che a fine gennaio prenderà il testimone da Ben Bernanke alla guida del potente istituto centrale statunitense, toccherà il ruolo delicato di moderare la politica monetaria ultraespansiva varata cinque anni fa per far uscire il Paese da una crisi, quella del fallimento Lehman e del default dei titoli immobiliari, dagli esiti imprevedibili. E al banchiere Yellen si affida i Wall Street, che finora grazie alla politica di Bernanke ha goduto di cinque anni di mercato toro. A conti fatti l’ultimo è stato un lustro d’oro per le azioni, grazie al rally della borsa americana. Dai minimi toccati nel marzo del 2009, lo S&P 500 si è rivalutato del 162% toccando i massimi storici. Tutto ebbe inizio il 25 novembre 2008, quando la Fed annunciò che avrebbe avviato un programma di acquisto di obbligazioni emesse dalle agenzie sponsorizzate dal governo operanti sul mercato immobiliare, cioè Fannie Mae e Freddie Mac. «Con questa frase stringata è cominciato quello che da allora tutti noi abbiamo imparato a conoscere come allentamento quantitativo, o QE (Quantitative easing, ndr)», spiega Alexander Friedman, responsabile globale degli investimenti di Ubs Wealth Management.
Oggi «a cinque anni di distanza, il Quantitative easing è diventata una procedura di routine nel panorama economico globale. Altri Paesi sviluppati lo hanno emulato lanciando programmi analoghi, che hanno tutti avuto l’effetto di contribuire a ridurre i costi di finanziamento e sostenere i prezzi delle attività finanziarie», aggiunge Friedman.
Lo ha fatto soprattutto il governo del primo ministro del Giappone, Shinzo Abe, che all’inizio di quest’anno hanno voluto cimentarsi in una strategia azionaria fissando un obiettivo di rendimento a due mesi del 17% per il Nikkei 225. Una mossa inattesa che è coincisa con l’arrivo del nuovo governatore della banca centrale giapponese Haruhiko Kuroda che ha varato una politica monetaria ultra espansiva per far ripartire l’economia del Paese che da anni ha un andamento piatto. Una cura da cavallo che ha fatto da detonatore al mercato azionario: il Nikkei da inizio registra un rialzo del 48%. Proprio la coppia Abe-Kuroda è stata scelta come protagonista dell’anno 2013 dal panel di gestori e analisti. Che adesso guardano con attenzione alle loro nuove mosse per sostenere ancora l’economia.
Abe ha infatti approvato una manovra aggiuntiva di 5.460 miliardi di yen, pari a 53,3 miliardi dollari, per l’anno fiscale in corso per finanziare le misure di stimolo annunciate nei giorni scorsi. La spesa pubblica del Giappone resta espansiva e per Abe nasce la necessità di trovare un equilibrio tra rilancio della crescita economica a breve termine e contenimento dell’enorme debito pubblico.Dal canto suo nei giorni scorsi Kuroda ha ribadito che manterrà la propria politica monetaria fortemente espansiva fino a quando l’inflazione non si stabilizzerà al 2%.
Intanto anche la Bce non sta con le mani in mano, anche se ha meno armi a disposizione rispetto alla Fed e alla banca centrale del Giappone. «La determinazione del presidente della Bce Mario Draghi a “fare tutto quanto necessario” nell’Eurozona garantisce implicitamente rendimenti positivi sulle obbligazioni dei governi periferici a breve scadenza», aggiunge Friedman. Grazie a questo maxi-sostegno combinato delle banche centrali «di fatto, in questo quinquennio, le azioni globali hanno reso più del 15% su base annualizzata, i Treasury quasi il 5% e i titoli creditizi ad alto rendimento statunitensi più del 20%», aggiunge Friedman. E il tutto è accaduto senza che si scatenasse l’inflazione. «Malgrado i ripetuti allarmi sul fatto che un ricorso così intenso alla macchina da stampa avrebbe prodotto inflazione, i prezzi sono rimasti abbondantemente sotto controllo», sottolinea ancora il gestore di Ubs.
Certo Draghi ha ancora molto lavoro da fare, come ricorda Chris Iggo, cio fixed income di Axa Investment Managers: «Nella conferenza stampa dopo l’incontro di dicembre della Bce Draghi sembrava orientato verso una nuova Ltro nel caso in cui la Bce lo ritenesse necessario. L’intervento potrebbe basarsi sul piano di finanziamento agevolato Funding For Lending Scheme adottato nel Regno Unito», dice Iggo. Quindi la liquidità verrebbe immessa a condizione che venga però utilizzata per erogare credito all’economia reale. «Per quanto concerne le tempistiche, il piano potrebbe avere successo solo se le banche saranno solide e quindi non avrà efficacia finché non saranno stati portati a termine la Review del settore bancario e gli stress test previsti per il 2014», conclude Iggo. Aggiunge Nicola Esposito, capo degli investimenti di Tendercapital: «Draghi sarà l’uomo dell’anno per il 2014 perché grazie alla sua politica monetaria espansiva, ma soprattutto grazie alla sua forward guidance riuscirà a far ritrovare all’Europa la crescita economica». A questo punto molti iniziano a chiedersi se questa politica monetaria così aggressiva non abbia creato nel mercato azionario una bolla speculativa dato che in questi anni l’economia globale non ha avuto un andamento altrettanto positivo. Se lo chiede anche Friedman. «In ultima istanza, ciò che agli investitori di lungo termine dovrebbe genuinamente stare a cuore è se tale clima di fiducia abbia o meno sospinto le valutazioni oltre i livelli accettabili. A tale proposito, quasi tutti i parametri indicano che non ci troviamo in territorio da bolla», spiega Friedman. «Oggi, le valutazioni azionarie vanno da livelli equi a leggermente elevati. Ciò significa che la crescita degli utili potrebbe promuovere l’apprezzamento dei corsi azionari, ma gli investitori non devono aspettarsi un altro anno di rendimenti annualizzati di oltre il 15% come accaduto nell’ultimo quinquennio. Rendimenti annui nell’ordine del 7-8% sono più probabili». Allo stesso modo, è estremamente improbabile, secondo Friedman, «che i titoli ad alto rendimento continuino a generare rendimenti percentuali a due cifre. Il rendimento degli utili offerto dalle azioni, pari al 5,4% corretto su base ciclica, regge bene il confronto con i rendimenti reali delle obbligazioni governative». La Yellen ha un’impostazione espansiva come Bernanke e per questo i mercati sperano che le borse continueranno a essere sostenute dalla sua politica. Anche perché, come ricorda Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos, insieme a lei ci sarà «Stanley Fisher, che rassicurerà i mercati con la sua formidabile esperienza». Infatti, secondo indiscrezioni, all’ex governatore della banca centrale di Israele è stato chiesto di prendere la vice presidenza della Fed non appena la stessa Yellen, a gennaio, prenderà il posto di Bernanke. Fischer, 70 anni, si è dimesso a giugno da governatore della Banca di Israele e ha doppia nazionalità, americana e israeliana; è considerato uno dei più autorevoli esperti di economia monetaria al mondo e ha ricoperto incarichi di rilievo al Fmi e alla Banca mondiale. Rappresenta un segnale di continuità con l’attuale linea di politica monetaria. Il mercato dà quindi piena fiducia alla Yellen con la speranza che la nuova banchiera centrale non si riveli alla fine una delusione dal momento che il prossimo anno sarà complicato per gli Usa alle prese con le elezioni di medio termine della presidenza Obama e soprattutto con cinque anni di un poderoso rally per Wall Street.