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 2013  dicembre 14 Sabato calendario

LA FIERA DEL FAIR PLAY


All’indomani della conclusione della prima fase di Champions League, i club europei si trovano davanti una tagliola forse più insidiosa rispetto alle capacità tecniche degli avversari: dalla prossima stagione entrerà in vigore il cosiddetto fair play finanziario, la norma secondo cui solo le società che mostrano un equilibrio tra ricavi e costi potranno partecipare nel 2013-14 alla Champions League.

Il fair play finanziario, insomma, tanto ventilato nelle parole dei presidenti come limite alle capacità di spesa dei club, inizierà a far sentire il suo peso consentendo la partecipazione alle competizioni europee della stagione 2014/15 solo a quei club che nei due bilanci precedenti (2011/12 e 2012/13) non abbiano registrato una perdita cumulata superiore ai 45 milioni. Negli anni seguenti, poi, questo tetto si abbasserà ulteriormente (come mostra la tabella in pagina): per partecipare nel 2015/16 non bisognerà superare i 30 milioni di rosso nei tre bilanci precedenti; mentre per concorrere alla edizione 2018-19 la perdita consentita nei tre rendiconti precedenti sarà solo di 5 milioni. In questo quadro la situazione non è molto rosea per quei club, come il Paris Saint-Germain o il Manchester City, che negli ultimi anni con l’arrivo degli sceicchi nel capitale del club, hanno costruito squadre in grado di vincere già da quest’anno la Champions con grandi investimenti di mercato.

Il City nell’ultimo bilancio disponibile, 2011/12, ha registrato una perdita di oltre 116 milioni di euro e con la campagna acquisti non certo al risparmio dell’estate 2012, l’esercizio 2012/13 mostrerà con tutta probabilità un altro rosso faraonico. Un discorso simile vale per il Psg dello sceicco qatarino Nasser Al-Khelaifi. Nella stagione 2011/12, la prima sotto il controllo della Qatar Sports Investments (Qsi), il club ha chiuso il bilancio con un rosso di 5,5 milioni, ma solo perché in quell’anno la Qatar Tourism Authority (Qta) ha versato nelle casse del club 100 milioni. Senza le risorse dell’ente turistico dell’emirato, il Psg, il cui monte salari era passato in un anno da 69,6 milioni a 117,3 milioni, avrebbe chiuso con un rosso superiore ai 105 milioni. Così come il bilancio della stagione 2011/12 è stato ufficialmente chiuso con un rosso di 1 milione, ma solo perché nel frattempo il contratto di sponsorizzazione con la Qta era stato ritoccato fino a 200 milioni. Pertanto, in assenza di tali risorse aggiuntive, necessarie a sostenere l’incremento del monte ingaggi a 215 milioni, il rosso di bilancio sarebbe stato superiore a 200 milioni. L’Uefa ha voluto vederci chiaro e a fine novembre una delegazione del Psg si è recata a Nyon, dove ha sede l’organo di governo del calcio europeo presieduto da Michel Platini, per illustrare al Financial control body le previsioni di bilancio per i prossimi esercizi e, in particolare, la natura del contratto di sponsorizzazione. L’atipicità di questo contratto, sia per la natura giuridica dei soggetti coinvolti, entrambi legati al governo del Qatar (si tenga presente inoltre che alla Qsi lavora come avvocato il figlio di Platini, Laurent) sia per l’importo, che si colloca al top tra le sponsorizzazioni sportive (basti pensare che l’accordo tra il Manchester United e Chevrolet vale 600 milioni di dollari spalmati su 7 anni), avrebbero indotto il Financial control body a chiedere maggiori delucidazioni al club.

Il sospetto, più volte rilanciato dagli organi di stampa, ma anche dai presidenti di altri club, è che il contratto non sia stato chiuso a valori di mercato e che i 200 milioni versati annualmente dalla Qta nelle casse del Psg siano in realtà un aiuto mascherato per consentire al club di non sforare i parametri previsti dal Financial fair play. Insomma, fatta la legge trovato l’inganno? Forse, ma non tutti i club possono vantare uno sceicco che sostiene i conti sociali con l’ente turistico dello Stato.

Per limitare l’analisi alle società italiane, quella sicuramente messa meglio ai fini del fair play finanziario è il Napoli di Aurelio de Laurentiis. Come anticipato da MF-Milano Finanza martedì 10 dicembre, la società partenopea ha chiuso la stagione 2012/13 con un utile netto di 8,07 milioni. Si tratta del settimo esercizio in utile per il Napoli, che nelle due stagioni prese come riferimento per il calcolo della break-even rule ha conseguito un risultato netto aggregato di 22,79 milioni (agli 8,07 milioni della scorsa stagione si sommano i 14,72 milioni del 2011/2012). Anche la Fiorentina dei fratelli Diego e Andrea Della Valle sembra essere ben posizionata per centrare gli obiettivi previsti dalla Uefa. Dopo il rosso di 32 milioni conseguito nel 2011 (che non sarà tuttavia considerato in fase di prima applicazione del Financial fair play) la società viola ha chiuso il bilancio relativo all’esercizio 2012 con un utile di 1,16 milioni, grazie alla cessione di Nastasic al City per 24,44 milioni, che ha portato una plusvalenza di 21,37 milioni, ed è indirizzata a conseguire un risultato positivo anche nel 2013, anche in questo caso grazie ai capital gain generati con le cessioni di Jovetic (circa 22 milioni) e Ljajic (4,5 milioni). Tuttavia, anche se i conti dell’esercizio 2013 non dovessero volgere al bello, l’utile realizzato lo scorso anno consentirebbe al club viola di avere comunque ampi margini per non sforare il tetto di 45 milioni di perdita fissato da Platini.

Se dovesse risolvere il difficile momento tecnico che sta attraverso e la squadra biancoceleste dovesse riuscire a qualificarsi a una delle competizioni europee del prossimo anno, anche la Lazio non farebbe fatica a centrare gli obiettivi del Financial fair play. L’accordo spalma-debito con il Fisco, che è stato il presupposto per l’acquisto del club da parte di Claudio Lotito, e la politica di austerità seguita dal funambolico presidente nel corso della sua gestione hanno consentito alla Lazio di avere i conti ordine anche per la Uefa. Il risultato netto aggregato delle ultime due stagioni è infatti pari a 4, 38 milioni (4,22 milioni nel 2011/12) e 0,16 milioni nel 2012/13.

Un discorso analogo a quello fatto per la Fiorentina può valere anche per il Milan. Nonostante le tensioni sui futuri assetti di vertice del club tra Barbara Berlusconi e l’ad Adriano Galliani, il lavoro fatto da quest’ultimo in termini di risanamento dei conti ha portato i suoi effetti. Anche se dal punto di vista sportivo nelle ultime due stagioni i tifosi milanisti si sono dovuti accontentare di un secondo e di un terzo posto in campionato, sotto il profilo dei conti Galliani è riuscito a ridurre la perdita dai 67,33 milioni del 2011 ai 6,86 milioni del 2012. E siccome per i club che chiudono i conti al 31 dicembre, i bilanci presi in considerazione dall’Uefa ai fini del fair play finanziario sono quelli del 2012 e del 2013, il Milan, almeno per quanto riguarda la break-even rule, non sembrerebbe avere problemi, in quanto avrebbe la possibilità di ottenere la licenza Uefa anche se chiudesse l’esercizio in corso con un rosso di 38 milioni. Sempre che la Fininvest si faccia carico di ripianare il passivo.

E la Juventus campione d’Italia? A una lettura superficiale degli ultimi due bilanci approvati dalla società presieduta da Andrea Agnelli potrebbe sembrare che il club bianconero non sia in grado di centrare l’obiettivo fissato da Platini. La stagione 2011/12 si è infatti chiusa con un rosso di 48,88 milioni, mentre quella al 30 giugno 2013 con una perdita netta di 15,91 milioni. Il tetto dei 45 milioni sembrerebbe dunque essere stato sforato. In realtà ai fini della break-even rule non tutti i costi di esercizio devono essere considerati. Quelli relativi agli investimenti effettuati negli stadi (la Juve è attualmente l’unico top club italiano ad avere un’impianto di proprietà) e nel settore giovanile, che assieme dovrebbero valere tra 15 e 20 milioni l’anno devono infatti essere scorporati dal totale dei costi. Se questa stima fosse corretta la Juventus avrebbe di fatto raggiunto l’obiettivo fissato dall’Uefa, considerato che la perdita cumulata delle ultime due stagioni oscillerebbe tra 25 e 30 milioni.

Chi invece qualche problema rischia seriamente di averlo sono Inter e Roma. Gli ultimi due esercizi delle due uniche società italiane a proprietà straniera sono infatti stati caratterizzati da risultati fortemente negativi. Il club giallorosso, che nelle ultime settimane è stato al centro di una disputa tra il presidente americano James Pallotta e il socio di minoranza Unicredit sul possibile ingresso nel capitale di un socio cinese, ha chiuso le ultime due stagioni con una perdita aggregata di 98,17 milioni (58,23 milioni nel 2011/2012, l’anno di Luis Enrique, e 39,94 milioni nel 2012/2013 l’anno di Zeman-Andreazzoli). E in una situazione analoga si trova anche l’Inter dell’indonesiano Erick Thohir, cui Massimo Moratti ha lasciato in eredità un club che nelle ultime due stagioni ha messo assieme un rosso complessivo di 157 milioni, quasi 3 volte e mezzo di più del rosso di 45 milioni ammesso dalla Uefa come soglia massima per ottenere la licenza di partecipare alle competizioni europee nel 2014/15.

Nelle pieghe del regolamento sul fair play finanziario c’è tuttavia una clausola, fortemente voluta dall’ex ad del club nerazzurro Ernesto Paolillo, che consentirebbe a Roma e Inter di ridurre in modo consistente il rosso. Tale clausola prevede che, solo per il bilancio al 30 giugno 2012, non vengano contabilizzati tra i costi gli ingaggi dei calciatori messi sotto contratto il 1° giugno 2010. Si tratta di circa 100 milioni per i nerazzurri e circa 40 milioni per i giallorossi, senza i quali entrambe i club non centrerebbero ma comunque si avvicinerebbero alla fatidica soglia dei 45 milioni.