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 2013  dicembre 14 Sabato calendario

PERISCOPIO


Pd pulito. Prima «lo smacchiatore» e ora «l’obamino bianco». Luigi Corridori. Il Foglio.

Vizi - Ma perché non smettiamo di chiamarla maggioranza? Jena. la Stampa.

Nomadi, gli ebrei adorano viaggiare leggeri, perciò amano le sintesi. Jacques Attali, Dizionario innamorato dell’ebraismo. Fazi.

A Matteo Salvini, nuovo segretario della Lega, Roma fa venire l’orticaria. Due volte gli è toccato scendere laggiù e solo perché era stato eletto deputato. In entrambi i casi è fuggito appena ha potuto, preferendo allo scirocco romano le bore di Strasburgo. Nel 2008 resistette un anno. Poi, esausto, si fece eleggere alle Europee del 2009 e filò via. Rieletto a Roma con le politiche di quest’anno, il 2013, ma ancora in forze nella Ue, optò per il seggio europeo, lanciando la scranna di Montecitorio a un collega. Insomma, con la capitale evita rapporti, così come con il Centrosud. Giancarlo Perna. Il Giornale.

Corriere.it: «Forconi, tafferugli a Ventimiglia». Repubblica.it: «La No Tav del bacio al poliziotto denunciata per violenza sessuale». Ecco dove si finisce, se si rottamano i vecchi saggi e si dà voce al paese irreale. Maurizio Crippa. Il Foglio.

Totò Riina, intercettato in carcere ripete continuamente che al pm Di Matteo bisogna «fargli fare la fine del tonno». L’ultima volta, il 16 novembre, prima delle fughe di notizie che inducono i pm a levare le cimici, il capo dei capi, ordina: «Tanto deve venire al processo, è tutto pronto. Organizziamo questa cosa, facciamola grossa, in maniera eclatante, e non ne parliamo più, dobbiamo fare un’esecuzione come quando c’erano i militari a Palermo». Chissà perché un boss al 41-bis può chiacchierare con un collega di un’altra organizzione criminale. Chissà perché, come suggerisce Lirio Abbate, il ministero della giustizia e il Dap non gli applicano il 41-bis dell’ordinamento penitenziario, che consente ulteriori limitazioni al carcere duro fino a sei mesi. Adesso Di Matteo (fatto mai accaduto a un magistrato antimafia, neppure nel ’92) non ha potuto presenziare per motivi di sicurezza all’udienza milanese del processo sulla trattativa, proprio quella dedicata all’audizione di Giovanni Brusca, che nel ’96, svelò i negoziati fra il Ros e Riina tramite Ciancimino. Avrebbe dovuto muoversi su un carrarmato Lince, tipo Afghanistan, e comprensibilmente, ha rinunciato. Marco Travaglio. Il Fatto quotidiano.

Un signore, si fa per dire, che sciolse un bambino nell’acido e che gira libero perché un parlamento di pagliacci istigati dai magistrati approvò una legge sciagurata e incostituzionale, sta riscrivendo la storia d’Italia in un’aula bunker. E tutti i giornali a fare da divulgatori come se si trattasse di un oracolo... uno schifo a livello mondiale... e nessuno dice niente. Frank Cimini. Il Foglio.

Sarebbe una svolta storica se la Rai fosse venduta al tunisino Taraq Ben Ammar, come si mormora in giro. E non per la privatizzazione in se stessa, figuriamoci, ma perché sarebbe una storia rivincita di Cartagine su Roma. Ben Ammar infatti è tunisino e discende dai fenici e dai cartaginesi. Senza mobilitare gli elefanti, come fece il suo predecessore Annibale, ma mollando pacchi di sesterzi agli eredi di Varrone e di Scipione, il cartaginese vendicherà i suoi avi e la loro marcia su Roma. La Rai, l’Usigrai e l’Abusigrai (cioè i partiti) si stanno mobilitando col solito slogan «giù le mani della Rai». Tra poco scenderanno in campo anche i condottieri dell’azienda romana: Vespone l’Africano difenderà Saxa Rubra porta a porta; Quinto Fabio Massimo, detto temporeggiatore perché conduce Che tempo che fa, lo fronteggerà a reti unificate. Ma stavolta mi sa che i cartaginesi sono più forti. È passata con loro pure la tribù dei Saccomanni. La Tarantini sarà sottomessa come già successe ai tarantini ai tempi di Annibale. Gubitosi verrà fatto a pezzi, cioè lottizzato e dato in pasto ai partiti affamati. La Rai finisce Ammar e tutti vissero fenici e contenti. Marcello Veneziani. Il Giornale.

Tagliare, tagliare, tagliare: «Ma per abbassare le tasse», aggiunge con inflessione lombarda Carlo Cottarelli. E negli occhi, che tradiscono un sorriso franco sul volto di cinquantanovenne molto all’americana, dai movimenti atletico-flessuosi, brilla, la spietata intelligenza di un uomo teso nello sforzo di apparire ottimista, «l’Italia si piange troppo addosso». Ma l’Italia è pur sempre il paese degli imbrogli, delle truffe nelle aziende municipalizzate di Roma, degli impiegati che fanno la cresta sulla ricotta, delle abitudini lassiste del settore pubblico; l’italiano ha un tale culto della furbizia che arriva persino all’ammirazione di chi se ne serve a suo danno. E Cottarelli allora fa un cenno impercettibile e piega di un millimetro la testa brizzolata: «Non serve l’impeto moralista contro la frenesia dello spreco».Salvatore Merlo, il Foglio.

Beria aveva tre passioni: il potere, la Georgia e le donne. È un tipo intelligente e riesce a provare, a quest’altro georgiano che è Stalin, che si può contare su di lui. E Stalin infatti lo spinge alla testa del Partito in Georgia, poi alla direzione dell’Nkvt, la polizia segreta, nel 1039. Beria non è mai stato comunista. È un tecnocrate che disprezza gli ideologi ma rispetta Stalin. Quest’ultimo conosce i suoi costumi. Beria fa arrestare le belle ragazze nelle strade dagli sbirri che le portano nel Cremlino. Egli le invita ai suoi pranzi sontuosi, cosa non è da poco in un paese dove manca tutto, poi le usa per soddisfare i suoi desideri. Alcune di queste se ne ricorderanno durante il processo a Beria e l’accuseranno di averle violate. Françoise Thom, Beria, le Janus du Kremlin. Edition du Cerf.

Quando veniva di sera a casa loro il calzolaio Carmelo Giordano, detto Zitamentu perché faceva anche il sensale di matrimoni, e incominciava a parlare di certo Carlo Marx, e della rivoluzione del proletariato, e della società del futuro in cui tutte le diseguaglianze e tutti gli abusi sarebbero stati aboliti, lei rimaneva ad ascoltarlo con gli occhi spalancati e la bocca aperta come aveva ascoltato da bambina suo nonno che le raccontava le favole; e si allontanava soltanto se Nuzzu, il figlio appena nato, incominciava a strillare, o se Saro le faceva segno di andarsene, perché lui e i suoi amici dovevano parlare di «cose da uomini». Sebastiano Vassalli, Il cigno. Einaudi.

Il sesso è tutto per chi non ha più niente. Roberto Gervaso. il Messaggero.