Claudio Gallo, La Stampa 14/12/2013, 14 dicembre 2013
BOND, LICENZA DI UCCIDERSI CON TUTTI QUEI COCKTAIL
Scampato indenne ai più funambolici inseguimenti, precipitato dal cielo, sprofondato negli abissi, James Bond se esistesse davvero non riuscirebbe a sfuggire il nemico più insidioso: l’alcol. Un serioso studio del «British Medical Journal» spiega che a furia di cocktail Martini «scossi ma non mescolati», 007 dovrebbe essere un rudere, con il fegato maciullato dalla cirrosi e certamente vicino all’impotenza, altro che Bond Girls.
Secondo i medici, il consumo di bevande alcoliche avrebbe dovuto indurre nell’agente segreto un tipico tremore della mano, che difficilmente avrebbe potuto essere così precisa con la mitica pistola semiautomatica Walther Ppk (volendo sfatare un altro mito, durante l’azione colpire con una pistola qualsiasi cosa che non sia nel raggio di pochi metri è quasi impossibile).
La rivista britannica calcola addirittura, lungo i 14 libri della saga di Ian Fleming, quanto alcol consuma Bond: oltre 13 unità alcoliche il giorno contro una media tollerata dai medici di 2 o 3 unità. Di più, i medici fanno notare che la gente tende a sottostimare il proprio consumo di alcol di un trenta per cento di media. È evidente che quando guida la sua Aston Martin, 007 farebbe meglio a evitare la stradale e il test del palloncino.
Spiega Patrick Davies della fondazione della Nottingham University Hospital Nhs: «Quando ci siamo messi a monitorare l’uso di alcolici di James Bond abbiamo scoperto che il consumo è declinato a metà carriera ma è aumentato verso la fine. Un’andamento tipico dei pazienti con malattie epatiche causate dall’alcol».
I ricercatori (che hanno voluto divertirsi per fare uno spot anti-alcolico) hanno stabilito che il momento più etilico è in «Dalla Russia con amore», dove Bond, al terzo giorno della storia, beve 50 unità alcoliche (una unità è di circa 12 grammi di etanolo), record assoluto nelle sue avventure.
Ian Fleming nell’abuso di sostanze tossiche era il degno padre del suo agente segreto: fumava e beveva allegramente. Quando i medici gli disserro che l’adorato gin gli faceva male, passò al più «salutare» bourbon. Morì a 56 anni per problemi cardiaci. E anche la sua creatura potrebbe essere avviata a una fine prematura. Dice il British Medical Journal: «Sospettiamo che l’aspettativa di vita di Bond sia simile».
Addirittura l’articolo cerca di infangare un mito, quello del cocktail Martini «shaken, not stirred», scosso, non mescolato, frase cult di 007 ripresa migliaia di volte da entusiasti imitatori. A essere scossa, tremante, sarebbe come si è visto, la mano dell’agente segreto che a questo punto farebbe fatica anche a shakerarsi l’immortale Martini. Per sua fortuna 007 invece può bere quanto gli pare, perché, a differenza nostra, non ha la seccatura di dover esistere nello spazio e nel tempo.