Paolo Conti, Corriere della Sera 14/12/2013, 14 dicembre 2013
«ANGELO HA FATTO MOLTI ERRORI MA HA PAGATO PIÙ DEL DOVUTO»
ROMA — Alberto Rizzoli, lei è il fratello minore di Angelo… «Sì, appena un anno di differenza. Siamo veramente cresciuti insieme, e non è soltanto un modo di dire».
A che cosa ha pensato durante i funerali romani di suo fratello?
«A molte cose. In effetti sono stati funerali assai romani. Tante persone care. Ma Angelo era un uomo di Milano».
La vita di suo fratello Angelo è stata complicata da molti punti di vista. Da fratello, cosa pensa di quella parabola?
«La vita di Angelo è stata veramente sfortunata. Penso solo al fatto che la sua salute era minata da quando era piccolo. E già questo basterebbe per segnare un’esistenza. Sicuramente mio fratello ha commesso molti errori, in alcuni passaggi ben precisi della sua esistenza. Magari lo ha fatto per insicurezza. O per debolezza. Però né la sorte né le persone che lo hanno circondato… e parlo di amici, nemici, magistrati… gli hanno mai perdonato nulla. Proprio nulla. Per motivi diversi, non ha mai avuto la fortuna che le cose gli andassero bene. Eppure il nascere Rizzoli, alla metà degli anni Quaranta, rappresentava un grande privilegio di cui sia Angelo che io ci siamo sempre resi conto».
Dove ha sbagliato suo fratello, secondo lei?
«Sicuramente alla Rizzoli, cioè in azienda, subito dopo l’acquisto del Corriere della Sera . Inutile ripetere cose note, notissime a tutti… ma anche in quel caso ha pagato più duramente di quanto sarebbe stato giusto. Per non parlare delle ultime vicende. Quelle che gli hanno minato definitivamente la salute».
Lei si riferisce all’arresto di febbraio per il crac da 30 milioni di euro, con il sequestro di tutti i suoi beni.
«Io sono certo che le responsabilità di Angelo, in tutta questa ultima storia, siano modestissime. Magari ha prestato scarsa attenzione a ciò che gli stava accadendo intorno. Ma sono sicuro che non abbia ricavato alcun vantaggio, né abbia tenuto nulla per sé. Era determinatissimo, negli ultimi tempi, a dimostrare la sua estraneità ai fatti contestati. Guardando quella bara ho pensato a quanto il suo stato di salute sia peggiorato negli ultimi tempi, proprio per la recente storia giudiziaria. Tanto stress non può che peggiorare drammaticamente la situazione di un uomo malato da tempo di cuore e di reni. Ma nessuno avrebbe pensato a un finale così tragico. Nemmeno Angelo. Ci siamo visti a lungo, nei tempi recenti».
L’ultima volta, quando?
«Fino a cinque ora prima che morisse. Ma lo ripeto: né lui né io abbiamo avuto la sensazione che la cosa stesse precipitando. Una morte sicuramente improvvisa».
Eravate molto uniti, tra fratelli? O il contrario?
«Noi siamo stati unitissimi fino al ’78. Poi ci fu una grande frattura, proprio legata all’azienda. Al suo modo di condurla. Alla fine del ’78 mi ritrovai fuori».
Come e perché, detto con la consapevolezza di oggi?
«La verità è che non ho mai capito se sono stato io ad andarmene o sono stato mandato via… La rottura fu completa. Poi fummo arrestati insieme nel 1983. Io fui prosciolto dopo venti giorni, proprio perché non avevo voce in capitolo, con un piccolo indennizzo. Lì ci ritrovammo. E Angelo cominciò a riflettere, a rivedere le sue posizioni. Nell’ultima stagione così dura per lui, gli telefonai e gli dissi: “Sono e resto tuo fratello, sappi che sono qui”».
Ha avuto la sensazione che avesse bisogno di aiuto?
«Certo. Inevitabilmente Angelo aveva bisogno di aiuto. Da molti punti di vista. Diciamo quasi da tutti».
In quanto all’ultima stagione giudiziaria?
«Penso che la magistratura non potrà che mettere a fuoco la verità. Cioè l’estraneità di Angelo. Mi dispiace solo che non potrà vedere riconosciute le sue ragioni. E comunque, in generale penso che sull’intera storia di noi Rizzoli andrebbe fatta una chiarezza che non c’è ancora mai stata».