Corriere della Sera 13/12/2013, 13 dicembre 2013
LA COSTITUZIONE E LA SIGNORA THATCHER
[vedi appunti]
Caro direttore, Ernesto Galli della Loggia nel suo articolo di domenica mi accusa di «evidente contraddizione» per una interpretazione della Costituzione che ho avanzato in un trascorso numero di MicroMega («Realizzare la Costituzione», ormai non in edicola ma disponibile sul sito www.micromega.net), che sarebbe «eversiva alla radice dell’ordine repubblicano» e «premessa per una sorta di guerra civile» e le cui «forsennate conseguenze» implicherebbero la volontà di «messa al bando per decreto» per tutti coloro che non la condividano, vale a dire «la parte riottosa ai suoi — cioè miei — precetti», parte su cui «naturalmente» calerei ipso facto l’accusa di «fascismo», con cui del resto bollerei «la signora Thatcher e molti degli editorialisti di questo giornale» (per quest’ultima accusa Galli usa la formula dell’interrogativo retorico).
Questa ricca giaculatoria di anatemi, solo per aver io ricordato quanto la Costituzione solennemente pone a fondamento della nostra convivenza civile. Se con l’art. 4, ad esempio, «la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto», ne deriva proprio la conseguenza logica, come ho scritto su MicroMega, che «diventerebbero estranei e nemici della Repubblica» i governi che non operassero per la piena occupazione. Se con l’art. 36 «il lavoratore ha diritto a una retribuzione… in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa», ne deriva la conseguenza logica che ostili alla Costituzione sono parlamentari e ministri che agiscano secondo politiche difformi da questo imprescindibile obiettivo (prosternandosi ai diktat di Marchionne, ad esempio). Se con l’art. 37 «le condizioni di lavoro devono… assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione», è conseguenza logica, scrivevo, che vada «contro la Costituzione ogni politica che non assicuri a tutti gli asili nido» (Galli chiosa: «A tutti i bambini, immagino». In effetti solo a loro pensavo, ma il suo articolo mi ha inoculato un dubbio). Se l’art. 42, recitando che «la proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati», pone per ben due volte la proprietà privata in una posizione subordinata a quella pubblica, aggiungendo esplicitamente che «la legge ne determina — della proprietà privata — i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale», ne consegue logicamente che sono fuori e contro la Costituzione le forze politiche ostili a perseguire il primato della «funzione sociale» rispetto al diritto proprietario dei privati (questo «terribile diritto», come lo definisce un libro di Rodotà proprio in coerenza con la Costituzione). Tanto è vero che (art. 43) è previsto anche l’esproprio «salvo indennizzo» non specificato e funzionale «a fini di utilità generale». Non riproduco gli altri esempi fatti su MicroMega. Trovo francamente curioso che agli occhi e alla «logica» di Galli tutte queste inoppugnabili conseguenze logiche appaiano costituire una «evidente contraddizione».
A meno di non tornare alla contrapposizione tra norme programmatiche e norme precettive con cui la Corte di cassazione fino a tutto il 1955, zeppa di magistrati ossequienti al regime fascista e applicando norme fasciste a go go, riuscì a impedire che la Costituzione fosse davvero vigente. La sentenza numero 1/1956 della Corte costituzionale poneva fine a questa prevaricazione giuridica e da allora, con sempre maggiore chiarezza, sentenze della Corte e dottrina pressoché unanime evidenziano come le norme programmatiche della Costituzione non siano «libri dei sogni» o innocui «castelli in aria»: non sono direttamente e immediatamente precettive in quanto da sole non possono dar luogo a sanzioni, ma sono inequivocabilmente prescrittive nei confronti del legislatore, a cui detta le coordinate cui deve uniformarsi il lavoro parlamentare, e nei confronti dei tribunali, che devono interpretare le leggi alla luce della Costituzione. Gli articoli della Costituzione non sono dunque «inapplicabili», come sentenzia Galli, costituiscono anzi la strettissima via maestra all’interno della quale devono muoversi legislativo, esecutivo e giudiziario se vogliono mantenersi fedeli al Patto che fonda la nostra convivenza, «giurato da uomini liberi» che venivano dalla prigione, dall’esilio, dalla lotta armata contro il fascismo. A cui dobbiamo una delle Costituzioni più avanzate del mondo e che la vollero rigida, cioè particolarmente ardua da modificare, proprio per impedire che ne fosse stravolto o edulcorato l’imprinting.
La nostra è infatti una Costituzione che trasuda «giustizia e libertà» quasi da ogni articolo (non l’art. 7, ovviamente). Per questo non piace a Galli. Il quale non l’avrebbe «a gran dispitto» se non comportasse le logiche conseguenze che ho richiamato. Del resto lo confessa, seppure con qualche obliquità: «Effettivamente, a motivo di una dizione perentoriamente ancorché astrattamente prescrittiva, molti degli articoli della nostra Costituzione — specie quelli del Titolo II e III — si prestano troppo facilmente a essere interpretati come un obbligatorio programma di governo». Proprio per questo l’establishment del berlusconismo e dell’inciucio, nel suo ventennio che forse si chiude, ha provato a stravolgerla: con le nomine di giudici costituzionali che sperava corrivi o con comitati di controriforma. Inutilmente, fin qui. Galli chiede polemicamente a Lorenza Carlassare, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky cosa pensino del mio atteggiamento «ferocemente divisivo». Per certo don Luigi Ciotti, dal palco della manifestazione ricordata da Galli, ha usato l’espressione «Costituzione tradita» almeno sei o sette volte. Per questo resta un programma politico attualissimo. Purtroppo, visto che la nostra Costituzione antifascista dovrebbe essere l’orizzonte comune a tutti i cittadini e a tutti i politici. Antifascista, sì. Galli sa perfettamente che ogni norma trae legittimità da una norma di livello superiore, per cui, se si vuole evitare regresso all’infinito o legittimazione circolare, la norma fondamentale (la Grundnorm di Kelsen) che regge l’intero sistema deve avere carattere extragiuridico. Tutte le norme traggono in definitiva la loro legittimità dal fatto storico che ha dato vita a una Costituzione. Per quella americana è la rivoluzione per l’Indipendenza, per la nostra è la Resistenza antifascista e la sua vittoria il 25 aprile, che le tre partigiane in armi della copertina di MicroMega simboleggiano.
Se la Resistenza antifascista è — come inoppugnabilmente è — la Grundnorm del nostro patto di convivenza, un ovvio sillogismo ci dice che il rifiuto dell’ethos antifascista mette a repentaglio la legittimità del nostro intero ordinamento giuridico. Ma è solo nella fantasia di Galli che io dia del «fascista» a tutti coloro che si sentono estranei o ostili alla nostra Costituzione. Non mi sognerei mai di definire fascista la signora Thatcher (e neppure Ostellino o altri editorialisti di questo giornale), ma benché non fascista la politica economico-sociale della prima resta radicalmente incompatibile con la nostra Costituzione repubblicana, verso la quale del resto l’inimicizia di Ostellino è dichiarata, reiterata e perfino ostentata. Perciò da parte mia nessuna «geremiade sulla non avvenuta attuazione» della Costituzione, ma la consapevolezza che in Italia ci sono due grandi partiti trasversali, uno dei quali è nemico della Costituzione e se cerca di cambiarla aggirandone il carattere rigido è anzi nemico eversivo. Da combattere con democratica intransigenza. Perché, finché c’è lotta c’è speranza.
direttore di MicroMega