Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  dicembre 13 Venerdì calendario

LEGGE ELETTORALE NUOVE TENSIONI POI IL COMPROMESSO


Solo un fine arabesco istituzionale, dietro cui si coglie l’arte di Napolitano, ha consentito di evitare che lo «scippo» della legge elettorale scatenasse una guerra dentro la maggioranza, con contraccolpi sul governo. I presidenti della Camere, Boldrini e Grasso, hanno deciso «nell’interesse del Paese» che la riforma del «Porcellum» sarà di casa a Montecitorio anziché a Palazzo Madama, dov’era incardinata; però, forse al fine di indorare la pillola ai centristi e agli alfaniani che si erano messi di traverso, è stata contestualmente stabilita la precedenza dei senatori sulle altre riforme, incominciando da quella del Senato medesimo. Ovvio, si dirà: mica i deputati potranno occuparsi di tutto... Ma è proprio qui che entra in gioco il cesello istituzionale. Perché Grasso e la Boldrini hanno dato l’impressione (o l’illusione) di un percorso a braccetto, come se le riforme della Costituzione siano destinate a procedere lungo due binari, uno rappresentato dalla legge elettorale e l’altro dal bicameralismo. Col risultato che Renzi può ben cantare vittoria, il marchingegno per tornare alle urne sarà il suo nuovo giocattolo. Gli alfaniani e i centristi, terrorizzati dal timore che lui ne facesse oggetto di inciucio con Berlusconi, potranno consolarsi con l’ultima parola sulla «rottamazione» renziana del Senato.
Poi, come sempre in politica, chi vivrà vedrà. Nel senso che qualcuno (il neo-segretario Pd ovvero il Ncd) deve per forza avere sbagliato i suoi calcoli. Intanto, però, è stato spento un incendio appiccato dalle dichiarazioni di Quagliariello, ministro delle Riforme nonché figura di spicco nel Nuovo centrodestra. Il quale nel pomeriggio aveva reagito con forte temperamento alla nascita di una maggioranza anomala in Commissione affari costituzionali del Senato, composta da Pd, Sel e grillini, disposta a spogliarsi della riforma elettorale e non solo di quella. Si aggiungano una serie di punzecchiature firmate Renzi, che da giorni si diverte a svalutare il lavoro fin qui svolto dal governo e dai saggi di Napolitano, con Quagliariello in cabina di regia.
Il ministro, senza nemmeno approfondire con i colleghi di partito, ha deciso di «vedere» le carte di Matteo, come usa nelle partite a poker. Che l’abbia fatto prima o dopo averne parlato col Capo dello Stato (presente il vice-premier Alfano), non è ben chiaro. Su Sky ha dichiarato che «entro 15 giorni la maggioranza deve presentare una sua proposta su legge elettorale, bicameralismo, riduzione del numero dei parlamentari. Se questo non accadrà, diciamo entro la Befana, ne trarremo le conseguenze». Un preannuncio di crisi nemmeno troppo velato, che ha fatto leva pure sull’irritazione di Casini («Si sta preparando una fase di prepotenza che non promette nulla di buono»), dei montiani («non esistono servi sciocchi») e dello stesso Tabacci (Centro democratico) che vede all’orizzonte nuovi pasticci maggioritari. Viva soddisfazione invece tra i renziani e grande libidine tra i forzisti, che da Gasparri a Brunetta, da Capezzone alla Gelmini, si sono divertiti a sfottere i cugini del Ncd, caduti dalla padella di Silvio nella brace di Matteo...
A spegnere gli ultimi fuochi ha contribuito una dichiarazione serale di Franceschini, «ponte» tra Renzi e il governo, secondo cui «si parte ovviamente da un’intesa dei partiti di maggioranza per poi doverosamente cercare un accordo più largo in Parlamento». L’«ovviamente» di Franceschini, annota soddisfatto Quagliariello, chiude il caso. La maggioranza è salva, il governo idem.