Alberto Statera, la Repubblica 13/12/2013, 13 dicembre 2013
ADDIO RIZZOLI, L’UOMO FRAGILE TRA GIORNALI, CINEMA E P2
[SI È spento a Roma, nella tarda serata di mercoledì, Angelo Rizzoli. L’ex editore e produttore cinematografico aveva settant’anni ed era malato di sclerosi multipla. Il 14 febbraio era stato arrestato dalla Guardia di Finanza di Roma, con l’accusa di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale. «Mio marito era malato, ma questa vicenda giudiziaria gli ha spezzato il cuore, lo ha sfinito», ha dichiarato la moglie Melania De Nichilo, che ha dato l’annuncio della scomparsa ieri mattina. Nel 1983 fu arrestato in seguito al crac del Corriere della Sera, sentenza poi revocata dalla Cassazione dopo la depenalizzazione del reato di bancarotta.]
FINISCE così, tristemente, la parabola di un imprenditore mediocre e di un uomo sfortunato. Una parabola, quella di Angelo Rizzoli, che in un quarantennio incrocia i peccati di una politica famelica e di una borghesia vile, i vizi di un capitalismo di rapina e il malaffare di una congerie di poteri occulti.
UNA parabola che non consente di essere liquidata soltanto come la tragedia di un uomo ridicolo, non fosse altro che per la grave malattia che lo colpì fin da giovane.
È nel 1974, in piena epoca democristiana, che il padre Andrea, primo figlio del fondatore Angelo senior, figlio a sua volta di un ciabattino di Cavalese, corona il sogno di comprare per affiancarlo alle riviste della sua casa editrice il tempio cartaceo della vecchia borghesia milanese: il Corriere della Sera, eterna croce e delizia del potere in Italia, che era traballante nelle mani della famiglia Crespi. Non è lui, del resto, il capo di una delle famiglie di borghesia imprenditoriale più ricche di Milano?
Consigliato da Eugenio Cefis, sulfureo ex presidente dell’Eni e presidente della Montedison, Andrea rileva le quote dei tre membri dell’accomandita: Giulia Maria Crespi, Angelo Moratti e Gianni Agnelli. Ma non riesce a far fronte all’impegno finanziario. Il Corriere perde 5 miliardi di lire all’anno e ha un deficit patrimoniale di 20 miliardi. Ma la Rizzoli acquista TeleMalta, la Gazzetta dello Sport, Il Mattino di Napoli, Il Piccolo di Trieste e l’Alto Adige, su “ordine” della Democrazia Cristiana e soprattutto della Loggia massonica P2 di Licio Gelli e Umberto Ortolani, che è diventata la vera padrona del gruppo. La scialuppa finanziaria è venuta da Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, ucciso poi a Londra sotto il ponte dei Frati neri, iscritto alla loggia di Gelli presentato da Michele Sindona, il bancarottiere mandante dell’omicidio di Giorgio Ambrosoli, e sodale del presidente dello Ior vaticano, Paul Marcinkus.
Capite allora in quale immondo verminaio si era andato a cacciare il timido Andrea Rizzoli, che nel 1978 passa la presidenza al figlio Angelo? Un verminaio che ha a che fare non solo con i delinquenti della massoneria deviata, rappresentati da Bruno Tassan Din, il direttore generale imposto in Rizzoli, ma con un mondo di cui non conosce cerimoniali e riti canaglieschi: la politica. E che politica: il segretario della Dc Amintore Fanfani, convinto di aver perso il referendum sul divorzio per colpa del Corriere della Sera diretto da Piero Ottone. Ha raccontato Angelo in un’intervista del 2010 a Stefano Lorenzetto: «Mio padre aveva un limite caratteriale: la timidezza. A Roma mandò me. Fanfani mi ricevette nella sua casa di via Platone, in terrazza. Era seduto su un divanetto a dondolo, ma i piedi non toccavano terra, per cui la moglie Maria Pia era costretta a spingerlo. Mi ricoprì di insulti: Bugiardi! Irresponsabili! Incapaci! Cialtroni! Non mi lasciò pronunciare neppure una parola. Concluse ammonendomi col dito: non venite a chiederci più nulla. Noi democristiani per voi Rizzoli non esistiamo più. E così fu».
Non meno traumatico per il giovane e inesperto Angelo l’incontro con lo stato maggiore della P2 che dovrebbe salvarlo, ma in realtà gli sta scippando il Corriere e tutta l’azienda. Studio in via Condotti a Roma di Umberto Ortolani, faccendiere piduista che sembra un barbiere sudamericano. Con Licio Gelli sono schierati Alberto Ferrari, direttore generale della Banca Nazionale del Lavoro, Giovanni Cresti, provveditore del Monte dei Paschi di Siena e Gaetano Stammati, che diventerà ministro dell’Economia nel quinto governo Moro. Lo stato maggiore della loggia P2, cui Angelo si iscrisse poi con il numero di tessera 532. Manca solo Cefis, che di li a poco, persa la Montedison, scompare in Canada. Direttore del Corriere della Sera fu nominato il piduista Franco Di Bella, mentre il piduista Maurizio Costanzo inventava l’Occhio, esplicito simbolo massonico, presunto giornale popolare, che contribuisce a bruciare altri miliardi.
Angelo Rizzoli fu arrestato nel 1983 per aver «occultato, dissipato o distratto» 85 miliardi di lire, che in realtà erano finiti nelle tasche di Gelli, Ortolani e Tassan Din. Rimane in carcere per tredici mesi. Quando ne esce, la tragedia, se possibile, s’incupisce: il padre Andrea è morto di infarto, la sorella si è ammalata e si suiciderà qualche tempo dopo, la moglie Eleonora Giorgi, ex attrice di cinepanettoni, gli chiede il divorzio oltre alla metà del patrimonio. Ma otterrà soltanto 10 miliardi di lire. Angelo si risposerà nel 1989 con Melania, una dottoressa che gli aveva presentato Bettino Craxi, poi fatta eleggere in Parlamento da Berlusconi. Il quale, vedendo in Angelo una vittima della giustizia persecutoria, gli disse: tu mettiti a fare i film, che io te li compro. Gliene fu grato, fino al punto da attaccare Veronica Lario quando stigmatizzò i vizi minorenni del marito: «Veronica — disse — vive in un castello dorato, si sposta con aerei privati, non frequenta nessuno tranne quattro amiche milanesi che vanno bene giusto per lo shopping. É condizionabile e probabilmente è stata condizionata. Dicendo che il marito non sta bene ed è inaffidabile, non si è accorta di far male ai suoi figli». Da un’avventura molto più grande di lui, erede di terza generazione di una cospicua fortuna formata nell’Italietta del dopoguerra, Angelo Rizzoli dopo tanti anni è uscito quasi pulito nei processi perché fu vittima della banda della P2, ma anche perché nel 2006 il reato per cui fu arrestato è stato depenalizzato. Tornato al cinema con la sua casa di produzione sponsorizzata da Berlusconi, però ne ha combinate ancora. Nel febbraio scorso è stato di nuovo arrestato (in ospedale) per un crac da 30 milioni di euro. Secondo l’accusa le risorse della società sono state distratte per acquistare beni personali.
Dopo una vita così sfortunata nei luoghi in cui i furbi senza scrupoli proliferano sereni, in fondo non c’è che da augurare all’erede di terza generazione di una fortuna che si è rivelata maledetta: riposa in pace.
a. statera@repubblica.it