Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  dicembre 13 Venerdì calendario

SCONTRO FINALE ALL’ASSEMBLEA MPS


Il Monte dei Paschi tira dritto sull’aumento di capitale e si prepara alla resa dei conti con il suo azionista di maggioranza. Ieri il consiglio di amministrazione ha infatti inserito nell’ordine del giorno dell’assemblea la proposta della Fondazione, bocciandola però nei contenuti.

Palazzo Sansedoni chiedeva di posticipare l’operazione di almeno un trimestre per avere così il tempo di normalizzare la propria situazione finanziaria. L’ultimatum lanciato dal presidente Antonella Mansi non ha però sortito alcun effetto. «Esistono condizioni favorevoli per cogliere la prima finestra di mercato, ovvero lanciare l’operazione nel gennaio 2014», spiega la banca nella relazione aggiuntiva. Tra le altre cose, posticipare l’aumento crea «un forte elemento di rischio, considerato il possibile mutamento delle condizioni di mercato e macroeconomiche, per la creazione di un nuovo consorzio di garanzia». Lo slittamento inoltre «comporterebbe un costo addizionale certo significativo per la banca e quantificato in almeno 120 milioni, costo che non sembra corretto allocare a tutti gli azionisti», spiega la banca. La Fondazione, continua il documento, ritiene che «una soluzione positiva della propria situazione finanziaria sia il presupposto essenziale per effettuare l’aumento».

Tale argomento però «non appare pienamente condivisibile», visto che «la principale priorità per la banca è rappresentata dal raggiungimento dell’obiettivo di ricapitalizzazione», conclude il cda.

A questo punto però si aprono solo due possibili scenari: o lo scontro in assemblea o una soluzione in extremis per il debito della Fondazione. Nel primo scenario la conta potrebbe avere esiti molto rischiosi per la banca. Alle assemblee del Monte partecipa infatti in media il 50-60% del capitale sociale e la Fondazione con il suo 33,5% può ancora esercitarvi un ruolo decisivo. Va da sé che la bocciatura della delibera avrebbe un effetto clamoroso sia sulla banca che sul suo azionista di riferimento. Oltre a rappresentare una sconfitta personale del presidente Alessandro Profumo, il voto metterebbe in forse la praticabilità di un nuovo aumento di capitale. Se da un lato l’impegno di pre-sottoscrizione del consorzio scadrà a fine gennaio, d’altra parte non è detto che gli ordini raccolti nelle scorse settimane da numerosi investitori istituzionali esteri vengano riconfermati.

In caso di bocciatura, insomma, potrebbero riprendere quota ipotesi alternative all’aumento, a partire dalla nazionalizzazione. Non è un mistero che a Siena siano in manovra forze politiche alternative a quelle che due anni fa portarono all’elezione di Profumo. Si va dalla Confindustria di Giorgio Squinzi (di cui Mansi è stata vice) ai cattolici ex Margherita vicini ad Alberto Monaci, usciti assai rafforzati dalla nomina di Enrico Letta a Palazzo Chigi. Anche la vittoria di Matteo Renzi alle primarie del Pd viene interpretata come un rafforzamento di questo fronte, in alternativa al blocco di potere dalemiano-bersaniano che portò Profumo a Rocca Salimbeni. Dentro questa compagine assai eterogenea non mancherebbero i partigiani di una nazionalizzazione, anche se per il momento questa soluzione troverebbe contrarie ampie componenti dell’esecutivo, a partire dal ministro del Tesoro, Fabrizio Saccomanni.

L’alternativa alla conta in assemblea è una soluzione che permetta a Palazzo Sansedoni di normalizzare la propria situazione finanziaria prima del 27 dicembre. È questo l’auspicio di Roberto Nicastro, direttore generale di Unicredit (una delle banche creditrici della Fondazione), che ieri ha dichiarato: «È un sentiero molto stretto. La speranza è trovare delle soluzioni valide che siano importanti per tutto il sistema Paese». Da tempo circola l’ipotesi di una soluzione «di sistema» che permetta alla Fondazione o di cedere gran parte della partecipazione in Mps a uno o più compratori oppure di ristrutturare il debito con le 15 banche creditrici. Come ha ricordato Nicastro, la strada è in salita anche perché le banche creditrici non sembrano disponibili a rimettere in discussione senza garanzie l’accordo di ristrutturazione trovato nel 2012. La partita è seguita anche dal Tesoro che da mesi monitora da vicino la situazione finanziaria dell’ente e le dialettiche spesso accese con la banca. Proprio attraverso Via Venti Settembre, suggeriscono alcune fonti, potrebbero passare soluzioni volte a mettere in sicurezza l’ente ed evitare così il muro contro muro in assemblea.

Intanto ieri c’è stata un nuova udienza del processo senese agli ex vertici di Mps sulla ristrutturazione del derivato Alexandria. Marco Morelli, ex cfo di banca Mps, sentito ieri come testimone, ha spiegato di aver appreso della ristrutturazione dall’ex responsabile dell’area finanza Gianluca Baldassarri e di averne dato un giudizio «totalmente negativo. Ho appreso dell’esistenza del mandate agreement con Nomura dalla stampa», ha poi aggiunto Morelli per il quale a ottobre i magistrati senesi avevano chiesto l’archiviazione.