Franco Bolelli, L’Unità 13/12/2013, 13 dicembre 2013
LA SCRITTURA RINGRAZI LA RETE
Ma quando ripetono sconsolati che la scrittura è in crisi e che i giovani non sanno più scrivere, stanno scherzando, vero? Perché a me risulta che la barbarica invasione dei nuovi media ha portato a scrivere ogni giorno moltitudini di umani che prima nemmeno si sognavano.
E questo salto da poche migliaia a svariati milioni ditemi voi se non vi sembra assurdo guardarlo con la puzza sotto il naso. Sì, si tratta per lo più di aggiornamenti di status su Facebook, email e flash su Twitter ma un miliardo e mezzo di quotidiani post sono il segno magmatico quanto travolgente -che la scrittura non ha mai goduto prima di così florida salute. Proprio come le tecnologie, la scienza e ogni altra cosa al mondo, il linguaggio e la scrittura evolvono, si arricchiscono attraverso nuove forme. D’altra parte fra quanti gridano alla barbarie non è che se ne vedono tanti che scrivono come Omero o come Shakespeare. Così mi viene un sospetto: forse chi vede in crisi la scrittura si sta guardando allo specchio. Perché loro scrivono generalmente con cura mentre i giovani barbari inciampano non raramente sulla sintassi: ma – ve lo dice uno che salta per aria se vede una virgola fuori posto – il grammaticalmente scorretto è il doloroso prezzo da pagare per un’espansione senza precedenti della scrittura ben oltre i suoi confini convenzionali. Quella che stiamo abbracciando è una scrittura più immediata, più fisica, dove i paletti fra generi e stili vengono divelti e si combinano linguaggio scritto e linguaggio parlato, aforismi, narrazione, slogan pubblicitari, squarci di biografia, tutto quanto. Il nuovo mondo connesso e globale sta producendo una scrittura connessa e globale: un incubo per chi vuole definire e catalogare, una panna sulle fragole per chi le etichette e i generi li sente come un paio di scarpe strette. Troviamo grande scrittura nelle sceneggiature dei serial tv (Lost, Game of Thrones), troviamo profondi saggi dove la scienza si mescola alla cultura pop. E troviamo spettacolare, maestosa letteratura: se non l’avete già fatto, leggetevi Scatola Nera, il piccolo, incantevole romanzo che Jennifer Egan ha creato scrivendo ogni frase con i centoquaranta caratteri di Twitter. E leggetevi il Don Winslow de Le Belve e de I Re Del Mondo, una lussureggiante festa della scrittura più eccitante e vitale, ricerca sul linguaggio moltiplicata per potenza comunicativa.
Sì, certo, in mani meno eccellenti tutto questo può risultare arruffato e discretamente inguardabile. Ma se il passaggio dalle cinquantamila parole che avevamo a disposizione qualche decennio fa al milione di oggi non significa automaticamente che a tutto questo bendidio sappiamo dar forma mirabile, è però la migliore delle condizioni possibili per allenare la scrittura, per prenderci confidenza. Alla fine a scrivere si impara scrivendo. Dite che la combinazione fra dilettantismo e narcisistica autoreferenzialità che sta spingendo troppi a credersi scrittori è un effetto collaterale imbarazzante? Vero, ma la prossima volta che un’evoluzione accadrà senza una qualche perdita e scompenso sarà anche la prima volta. Attenzione, chi non vede che – come sta accadendo in svariati campi della nostra esistenza – con il web e i social network la scrittura sta compiendo un grande balzo evolutivo, non è che non capisce le nuove tecnologie di comunicazione, è che non capisce gli esseri umani. Non capisce che a ogni mutamento, attraverso inevitabili disagi e disfunzioni, noi siamo sempre stati capaci di servirci delle tecnologie per allargare e valorizzare le nostre umane risorse. Non capisce che a ogni mutamento, immancabilmente, noi siamo alla fine almeno un po’ migliori di prima. Si chiama evoluzione, inutile far tante storie. Guardare storto così tanti umani che scrivono, e la loro scrittura, significa non capire che raccontarsi è psicologicamente decisivo perché aiuta a rafforzare il senso di sé. Milioni di umani che producono contenuti – al di là della qualità, che ovviamente è tutt’altro che secondaria – vuol dire milioni di umani che non sono più soltanto spettatori, soltanto pubblico passivo. Chi questa espansione antropologica la vede come decadenza, lasciatemi dire che non capisce l’evoluzione, e alla fine neanche la scrittura.