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 2013  dicembre 13 Venerdì calendario

BOTTEGHE IN CHIARO


Londra. «Giorgio Napolitano sfoggiava il suo solito portamento urbano. È l’immagine perfetta del democratico borghese e rispettabile». Aveva 53 anni, Napolitano, quando, il 3 maggio del 1978, veniva dipinto così dalla diplomazia britannica, in particolare dall’ambasciatore Alan Campbell che l’aveva incontrato a cena.
Servizi segreti, ambasciata e Foreign Office di Sua Maestà spiavano il partito comunista italiano da sempre. Nell’immediato dopoguerra lo consideravano un nemico, la longa manus sovietica. Col tempo, però, verso gli anni Settanta e Ottanta, sono forse tra i primi a cambiare idea. Sdoganandolo ante litteram e promuovendolo come forza politica di alternativa democratica. Nei numerosi report conservati nei National Archives di Londra e intitolati Activities of the Communist Party of Italy, c’è un’inedita storia del comunismo italiano rivista e corretta, per così dire, dall’intelligence britannica. Che si avvaleva, per scrutare dall’interno le dinamiche del Pci, di fonti inconsapevoli di esserlo. Fra queste, esponenti politici come Napolitano e Pajetta, o, per l’ex Psi, Fabrizio Cicchitto. E alcuni giornalisti, come Paolo Garimberti (allora capo della redazione romana de La Stampa), Franco Venturini (Il Tempo), e Claudio Petruccioli (vicedirettore dell’Unità).
Il 10 dicembre del 1970, G. E. Fitzherbert, funzionario dell’ambasciata britannica di Roma, accompagna il deputato inglese John Mackintosh a un colloquio con Giorgio Napolitano. Un report confidential riferisce di quel colloquio. Secondo Napolitano, «l’entrata del Pci nel governo potrebbe concretizzarsi in maniera accettabile per il partito solo se nascesse una “nuova maggioranza” che comprendesse i comunisti e le componenti di sinistra dei socialisti e dei democristiani ». Ma «il grande problema è l’adesione dell’Italia alla Nato. Napolitano ha affermato che è assurdo insinuare che i comunisti desiderino l’uscita dell’Italia dalla Nato perché entri nel Patto di Varsavia. I comunisti chiedono solo che l’Italia sia neutrale, che non appartenga a nessun blocco e che operi per la dissoluzione dei blocchi».
Dieci anni più tardi, gli inglesi (ottobre 1980), dedicano al futuro presidente della Repubblica una scheda, sempre confi- dential. Eccola: «Parla un buon inglese. Nel 1978 ha compiuto un viaggio negli Stati Uniti. Ha visitato la Gran Bretagna, tenendo delle conferenze alla Chatham House. Rappresenta il volto sorridente del Pci». Lo considerano «l’ambasciatore del Pci nei Paesi anglofoni». Un anno dopo, nel 1981, il Foreign Office lo classifica tra le leading personalities in Italy, le personalità di spicco. «Napolitano è diventato un grande sostenitore di Berlinguer ed è uno dei fautori più attivi della “nuova linea” del Pci, soprattutto in tema economico. Una personalità attraente e presentabile, efficace nel convincere gli osservatori occidentali della rispettabilità e sincerità del Pci». In una comunicazione riservata al ministero degli Esteri britannico (19 febbraio 1981), Caroline Redman, dell’ambasciata inglese a Roma, riferisce che «Napolitano (così come, in maniera più ovvia, Pajetta) è rimasto del tutto sconcertato dalle esternazioni di Pertini sul terrorismo italiano manovrato dall’estero. Con irritazione, sono entrambi tornati varie volte sul tema, dicendo che tali affermazioni mancano di un solido fondamento». Napolitano ha detto che «le affermazioni di Pertini sul terrorismo stanno producendo un effetto negativo sulle relazioni internazionali dell’Italia. Non ci sarebbe stato da sorprendersi, ad esempio, se la Francia si fosse offesa. Anche la Libia aveva motivi di risentirsi, un tema molto più serio giacché entravano in gioco gli interessi economici e commerciali dell’Italia. Al governo italiano e a Pertini sono mancati serietà e spessore».
Dopo i colloqui riservati con i politici, quelli coi giornalisti. Il 7 aprile 1979, Kathryn Colvin (Information Research Department, Londra) e Peter Thompson (responsabile delle politiche dell’informazione, Consolato britannico, Milano) conversano per un’ora e mezza con Claudio Petruccioli (vicedirettore dell’Unità), a Milano. I due domandano «se il compromesso storico sia ancora un obiettivo, oppure se il Pci contempli ora un ritorno all’opposizione ». Petruccioli replica così: i comunisti puntano a una politica unitaria (con la Dc, i governi di «unità nazionale»). Poco importa la formula effettiva di governo, purché non vada persa l’intesa di massima tra la Dc e il Pci. Di conseguenza, il partito potrebbe in futuro pensare a formare un governo basato sull’alternativa di sinistra, a condizione che la Dc lo sostenga dall’esterno. «I partiti al governo, di fatto, avrebbero naturalmente più responsabilità di quelli fuori dal governo» aggiunge Petruccioli. «Sarebbero comunque tutti responsabili della gestione del Paese. La Dc però guarda con riluttanza a quest’idea».
Nel luglio del 1979 Ronald P. Nash visita l’Italia. Nash è un alto funzionario del ministero degli Esteri e lavora presso il desk Europa occidentale. Di ritorno in Inghilterra, scrive un rapporto di tre pagine. I temi sono il Pci di Berlinguer (Compromesso storico, Eurocomunismo). E il Psi di Craxi. Per chiarirsi le idee, Nash incontra separatamente Franco Venturini (Il Tempo) e Paolo Garimberti (La Stampa), il 24 luglio a Roma. Venturini è stato di recente a Londra, «finanziato dal Central Office of information (Coi)». Su Garimberti, Nash così scrive. «È il direttore della redazione romana della Stampa, uno scrittore riconosciuto, un cremlinologo e un esperto di questioni riguardanti il Pci e l’Eurocomunismo». Garimberti traccia un ampio quadro sulla crisi del Pci a partire dall’affermazione comunista alle politiche del giugno 1976. Dice che a questo punto «sono a rischio il Compromesso storico e l’orientamento del Pci a Occidente», ossia la politica dell’Eurocomunismo, perché «le ali di Berlinguer sono ormai tarpate». Fino a due anni fa, spiega, il segretario «era un monarca assoluto», ora invece si è ridotto a essere un «monarca costituzionale».
Garimberti racconta poi un fatto inedito a Nash e a Mark Pellew, un uomo dell’ambasciata britannica in Italia. Nel maggio 1978, di ritorno a Roma da Barcellona, Berlinguer parla per ben due ore con il giornalista. Si è appena conclusa una conferenza sull’Eurocomunismo (27-30 maggio). In aereo il segretario confida a Garimberti vari «retroscena» e le «tattiche del Pci per il futuro». Nella primavera di quell’anno, in sintesi, «Berlinguer aveva già capito che le sue politiche non funzionavano più» e aveva detto al giornalista che «il partito doveva muoversi con decisione verso tre settori: i rapporti con gli Usa, l’Eurocomunismo, il Compromesso storico. Occorreva mettere in campo iniziative in ciascuna area. Ma tutto ciò non si è verificato».
Dopo Garimberti e Petruccioli, tocca sondare i politici. Il 25 luglio 1979 – all’indomani del tentativo fallito di formare un governo guidato dal Craxi – gli inglesi interrogano l’allora socialista Fabrizio Cicchitto, responsabile economico del Psi e membro della direzione. Cicchitto spiega che il suo partito sta tentando di mettere la parola fine a un’era politica in cui i governi democristiani erano considerati l’unica possibile alternativa ai comunisti. «I socialisti cercano ora di spezzare questo schema. È una linea politica che causa difficoltà sia alla Dc sia al Pci. La Dc è divisa in due fazioni: una è favorevole a una qualche forma di cooperazione con i comunisti, l’altra punta invece ai socialisti. Ma con la scomparsa di Moro dalla scena politica, è difficile capire chi riuscirà a tenere unita la Dc dinanzi a tali fratture».