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 2013  dicembre 12 Giovedì calendario

KIEV, IL BUSINESS CAMBIA BANDIERA


Il 21 settembre scorso, a una Conferenza sull’Europa organizzata a Yalta, il complesso legame tra Russia e Ucraina è traboccato in una furibonda litigata tra Serghej Glazjev, consigliere economico di Vladimir Putin, e il re ucraino del cacao, Petro Poroshenko. Grande sostenitore, quest’ultimo, dell’integrazione tra il proprio Paese e l’Unione europea, e non a caso vittima della chiusura «per ragioni sanitarie» delle frontiere russe ai cioccolatini prodotti dalla sua Roshen. Deciso a dimostrare il danno che il libero scambio tra ucraini ed europei arrecherebbe alla Russia, Glazjev chiese irritato a Poroshenko se si fosse letto l’Accordo di associazione e libero scambio con la Ue: «L’ho scritto io», rispose l’interlocutore.
In questi giorni in cui l’Ucraina si dibatte in una crisi dagli esiti terribilmente incerti, aperta proprio dal rifiuto del governo di Kiev di firmare l’Accordo con la Ue, nel braccio di ferro tra l’opposizione filo-europea e il presidente Viktor Yanukovich è determinante la posizione degli oligarchi come Poroshenko, i grandi miliardari che si spartiscono il controllo dell’economia nazionale. Molti di loro starebbero abbandonando Yanukovich, o avrebbero deciso di mantenersi sopra la mischia mentre fiutano la direzione che potrebbe prendere il Paese: la prova più evidente è la copertura data alle proteste dai loro imperi mediatici, obiettiva o inaspettatamente solidale con i manifestanti dell’opposizione anche nei canali tv tradizionalmente allineati con il potere, come quelli del gruppo Inter di proprietà di Dmytro Firtash. Uomo - tra i più ricchi di Ucraina - vicino al governo, soprattutto in quanto co-proprietario di RosUkrEnergo, protagonista nell’import di gas dalla Russia.
Gli occhi sono in particolare sul più famoso e più ricco di tutti, Rinat Akhmetov. Da sempre alleato di Yanukovich perché rappresentante come lui delle regioni industriali dell’Ucraina orientale, quelle più legate alla Russia, nella lingua e nell’economia. Come il presidente, Akhmetov viene da Donetsk, e la città delle miniere è la roccaforte di un impero di acciaio ed energia elettrica, incoronato dal modernissimo stadio che l’oligarca, naturalmente proprietario dello Shakhtar Donetsk, ha fatto costruire per gli Europei del 2012. Un impero cresciuto grazie ai legami privilegiati con il presidente e la sua cerchia.
E tuttavia la battaglia per la Ue, e il dietro-front del presidente Yanukovich indeciso tra Europa e Russia, rischia di scardinare ogni alleanza: come Poroshenko, un tempo vicinissimo all’ex presidente Viktor Yuschenko ma divenuto in seguito ministro dell’Economia di Yanukovich e oggi sulle barricate europee, anche Akhmetov strizza l’occhio ai dimostranti accampati nel Maidan, la grande piazza dell’Indipendenza di Kiev, cuore della protesta. La sua scelta e quella dei colleghi oligarchi si basa sulle opportunità di un accesso più libero ai mercati europei, verso cui nel 2012 l’Ucraina ha esportato beni per 12,9 miliardi di euro. Il mancato - per ora - Accordo di associazione azzerava per più del 90% dei prodotti ucraini i dazi all’ingresso della Ue.
Sull’altro fronte pesano invece i vantaggi offerti dalla vicinanza alla Russia (export ucraino pari a 12,3 miliardi), da cui possono arrivare all’industria pesante nazionale ordini che la Ue di certo non garantisce. Nel calcolo dei businessmen rientrano però anche i danni che il "no" all’Europa sta provocando in termini di abbassamento dei rating, o di instabilità della grivna, così come la firma dell’Accordo penalizzerebbe i prodotti ucraini di fronte all’agguerrita concorrenza europea. Gli oligarchi dovrebbero affrontarla e subire nello stesso tempo le ritorsioni di un Cremlino irritato, come sanno bene Poroshenko e i suoi cioccolatini. Il mancato sconto sui prezzi del gas russo, attualmente tra i più alti in Europa, continuerebbe a penalizzare i grandi imperi industriali di Akhmetov e Firtash.
A Kiev, dove centinaia di attivisti filo-europei non si sono arresi al tentativo di sgombero delle milizie speciali, un eventuale ricorso alla forza potrebbe spingere Europa e Stati Uniti ad approvare sanzioni contro l’Ucraina, come è avvenuto con la Bielorussia. Un’altra ragione per cui oligarchi e investitori avrebbero voluto portare Yanukovich sulla via dell’Europa, dove peraltro molti di loro - come Akhmetov - hanno parte dei propri interessi. Nel gioco delle alleanze pesano poi le rivalità tra questi oligarchi del passato e gli emergenti della cosiddetta "Famiglia", il potente clan del presidente stretto attorno al quarantenne figlio Oleksandr.
«Se gli oligarchi stanno voltando le spalle a Yanukovich - spiega da Bruxelles Jan Techau del Carnegie Endowment in un’intervista all’agenzia Bloomberg - è perché hanno fatto dei calcoli e scoperto che il loro modello di business si accompagna meglio alla Ue che alla Russia». Ma lo scenario è ancora incredibilmente incerto, i rischi di scegliere il campo sbagliato altissimi. Così, per sicurezza, un uomo come Dmytro Firtash avrebbe già avviato contatti con il partito del campione di boxe Vitalij Klitschko, opportunamente chiamato Udar, "pugno". Se tra le fila dell’opposizione manca un grande leader, in questi giorni di protesta Klitschko sta emergendo come un crescente punto di riferimento. Su cui può valere la pena scommettere, almeno un po’.