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 2013  dicembre 12 Giovedì calendario

A LONDRA VA IN SCENA UN FINTO ADDIO

ALL’EUROPA –

LONDRA. «Competitività, flessibilità, democrazia». Andrea Leasdom, deputato conservatore vicina al premier David Cameron, esordisce con un piatto buono per tutti i palati. Chi non vuole economie globali e competitive, approcci flessibili, più democrazia? Tutti, ovviamente, fino a quando l’enunciato ideologico non si fa dettaglio pragmatico. Allora scoppia la bomba e le schegge di immaginari negoziatori europei schizzano su un tavolo che ripropone gli stereotipi che la storia ci ha consegnato. Francesi contro inglesi, scetticismo germanico verso la way of life del Club Med, blocco nordico con tutti e contro tutti, a estrema difesa del modello scandinavo, o di quello che resta. Benvenuti a Bruxelles? No, al Queen Elizabeth Centre di Londra, a due passi da Westminster, dove per volontà del think tank Open Europe si sono svolti "Eu WarGames", giochi di guerra della Ue, null’altro che la trattativa mimata di quello che accadrà fra il 2015 e il 2017 quando la Gran Bretagna cercherà nuove concessioni da sottoporre poi a referendum: dentro o fuori dalla Ue. E credendo in un "No", sul palco del Queen Elizabeth va in scena anche il secondo atto, con l’immaginario negoziato Brexit, uscita del Regno dall’Unione.
Una sceneggiata con "attori" presi fra politici e commentatori (l’Italia era rappresentata da Lucio Caracciolo) e anche un ex premier, John Bruton, Taoiseach a Dublino fra il 1994 e il 1997. Mediatore è John Hulsman, americano che conclude il primo round convinto, non si sa bene come, che sul 75% delle questioni il compromesso sia possibile. «Anche se magari dovrà passare da una concessione sui servizi finanziari alla Gran Bretagna in cambio di analoga protezione della Politica agricola comune alla Francia», nota.
Possibile, anzi probabile, ma lo spettacolo del Queen Elizabeth è un altro. Quando Andrea Leasdom sgrana le richieste specifiche di Londra dando consistenza allo slogan "competitività, flessibilità, democrazia" la coesione della Ue entra in fibrillazione. Nel dettaglio la Gran Bretagna chiede sia concesso ai parlamenti nazionali il potere di bloccare proposte della Commissione, di accelerare il trattato commerciale con gli Usa, di rimettere in discussione l’aquis communautaire. La Francia è la più severa. «Volete anche l’opt out dalla giustizia? Ma a questo punto che cosa rappresenta per voi l’Unione europea solo il Mercato interno?». Interrogativo seguito da un significativo silenzio che Andrea Leasdom riempirà solo quando le sarà contestata la politica verso Sofia e Bucarest. «Mi ha colpito - attacca Lucio Caracciolo replicando alla volontà britannica di mettere un freno alla libera circolazione limitando la concessione del welfare - arrivare a Heathrow e vedere che per bulgari e rumeni c’è un corridoio separato. L’allargamento lo avete voluto voi più di altri».
Il dibattito ora s’accende e qualcuno aggiunge che «l’Eurozona è la vera Unione europea». Parole che rotolano sul cotè nordico, pronto a rimandarle al mittente di quell’«insolente che fa rigirare nella tomba Robert Schumann».
Londra la spunterà? Non al referendum, a dar retta al copione scelto da Open Europe. Si consuma Brexit e l’ex ministro agli Affari europei David Hethcoat Amory tratta le condizioni per l’addio, consapevole che l’Europa fa gola abbastanza per chiedere concessioni: opt-in su temi specifici, a cominciare da quello commerciale. Basta la parola - trade - e d’incanto l’Unione fa fronte comune. «Se siete fuori, siete fuori. Le condizioni le detteremo noi» è il concetto riassunto del messaggio comune tradotto - take it or leave it - che scandisce John Bruton, avanguardia (al tavolo rappresenta sia l’Irlanda sia la Commissione) di un no che porta Parigi e Berlino a sventolare l’incubo ultimo: l’attacco alla City. Se uscirete i servizi finanziari non avranno alcuna garanzia e quindi banche e assicurazioni faranno i bagagli verso il Continente. Londra incassa il colpo sotto la cintura consapevole che il cronometro è già scattato.