Paolo Siepi, ItaliaOggi 12/12/2013, 12 dicembre 2013
PERISCOPIO
Renzi: «Il Pd imparerà a dare messaggi di speranza». Però poi deve sciogliersi davvero. Edelmàn. Il Fatto quotidiano.
La Casta ha preso di mira milioni di signor Rossi e di signor Bianchi. E ha deciso di render loro impossibile l’esistenza. Basterebbe questo, per concludere che la maledetta Casta fa schifo. Ecco quello che dovrebbero riconoscere anche i politici per bene. Non mancano di certo, ma vengono risucchiati nel vortice melmoso di un sistema partitico che sembra pronto per la fucilazione alla schiena. Giampaolo Pansa. Libero.
Siccome non se ne era accorto nessuno, Francesco Merlo tiene a precisare sulla prima pagina di la Repubblica che tra le vittime della «gogna di Grillo» c’è anche lui. Mo’ me lo segno, direbbe Troisi. Naturalmente, quella che lui chiama gogna è un mini-post molto asciutto e asettico in cui Grillo, anziché insultarlo come sciaguratamente fece con Maria Novella Oppo, gli rende forse il servizio peggiore, lo cita. Merlo è convinto che gli insulti che gli arrivano in rete abbiamo un mandante. Che, tenetevi forte, non è neppure Grillo, sono io. Perché «in simbiosi con i picciotti dell’odio che sono ammaestrati pavlonianamente (si direbbe pavlovianamente, ma lasciamo andare, ndr) Travaglio possiede la tecnica dell’innesco». Merlo era citato nel mio articolo di sguincio in una domanda retorica: «Chissà dove cinguettava Merlo un mese fa, quando il neostatista Alfano chiese a padron Silvio la cacciata di Sallusti da Il Giornale». Lo sanno tutti dove cinguettava: altrove, come sempre. Ma, per il Linosotis catanese, quella domandina maliziosa sarebbe nientemeno che un «spruzzo di lordume» con cui «Travaglio ha indicato alla truppa dei grillini l’obiettivo da colpire e ha fornito loro anche il lessico». Marco Travaglio. Il Fatto quotidiano.
Dal 2007 a domenica scorsa non sono mai mancato alle primarie del Pd. Dispiace però che quando voto alle primarie poi non vado più a votare alle elezioni vere, essendo un ragazzo che si confonde facilmente con tutta questa informazione su primarie, doppio turno alla francese eccetera, non distinguo più il vero dal falso. È come se uno andasse fisso ad Appiano Gentile a vedere l’allenamento dell’Inter, poi però non va mai a vedere la partita allo stadio. Maurizio Milani. Il Foglio.
Gli articoli da pubblicare sul Corriere della Sera dovevano essere graditi anche ai tipografi. Guardate che non racconto favole, ma fatti che si sono verificati. Nei primissimi anni Settanta c’era al Corriere della Sera un capo delle pagine degli esteri che si chiamava Carnevale. Una sera si presenta in tipografia con una pagina che ha un titolo favorevole a una posizione americana in politica estera. Il responsabile dei tipografi imbocca il fischietto e blocca il lavoro dei colleghi. Per loro il pezzo era bocciato, non erano disposti a pubblicarlo. L’articolo torna perciò in redazione e naturalmente, data la rilevanza dell’incidente, l’intero giornale si ferma. Si convoca immediatamente un’assemblea che, a maggioranza, dà ragione ai tipografi. Insomma, la storia finisce col povero Carnevale, che aveva, non ragione, ma straragione, costretto ad andarsene. Sì, avete capito bene, fu obbligato a dimettersi. Vittorio Feltri, Una Repubblica senza patria. Mondadori.
«È vero, i giudici non hanno creduto all’incontro fra Andreotti e Riina, ma noi che potevamo fare? In questo paese vige l’obbligatorietà dell’azione penale». Così Gian Carlo Caselli, dopo la sentenza. «L’obbligatorietà dell’azione penale è una forma di ipocrisia», dice adesso Luciano Violante. Non è una polemica diretta fra i due, visto che sono passati giusto vent’anni fra una dichiarazione e l’altra. Le cose cambiano. Del resto alla fine degli anni 80 ricordo un dibattito sulla giustizia organizzato a Catania in cui Pannella sostenne che era ora di affrontare il tabù della famosa obbligatorietà e il mio vicino mi sussurrò: «Minchia, Marco sempre esagerato è». Insomma, perché la sinistra si accorga di un errore, devono passare minimo vent’anni. Si sa è ormai quasi un luogo comune. Massimo Bordin. Il Foglio.
Un pomeriggio Peggy Guggenheim mi chiese di accompagnarla a vedere La caduta degli dei, il film di Luchino Visconti. Andammo al cinema in gondola. Durante la proiezione del film, Peggy mi chiedeva a raffica. «Chi è quello? Che ha detto? Che ha fatto?». Fu un supplizio. Non capiva la trama e non sapeva collocare i personaggi nella storia. La sera, Peggy aveva invitato a cena dei suoi amici pittori cui disse di aver visto, nel pomeriggio, il film di Luchino Visconti. E accadde qualcosa di incredibile. Raccontò il film come lo avrebbe fatto il più grande critico del mondo. Con dovizia di particolari e di interpretazioni intelligentissime. Io non potevo credere alle mie orecchie. In sala non aveva capito niente. Ma adesso Peggy spiegava il film meglio di come lo avrebbe fatto Visconti stesso. E lì capii che l’intelligenza umana non è sempre la stessa. Peggy vedeva il mondo come si vede un quadro. Con l’ausilio di un’altra chiave di lettura. Enrico Vanzina, Commedia all’italiana. Newton Compton.
Innanzitutto, nessuno osi sostenere che me ne sono andato in punta di piedi. Questa sciagura (Dio ce ne scampi) potrebbe colpire soltanto un’ètoile che precipitasse nella botola di qualsiasi palcoscenico. Io mi sentirei troppo ridicolo e/o inquietante, se raggiungessi l’estremo involucro con quell’andatura artificiosa, per di più, agonizzando. Né vorrei che, visitando la mia salma, qualcuno sospirasse che sembro addormentato. Ma non lo vedi, scemo, quanto sono pallido? Ma non senti che non russo? Il necrologio, infine, si astenga dall’affermare che sono scomparso. Molti possono testimoniare che non son affatto sparito, ma che, anzi, ingombro un giacilio con le mie belle scarpe bene in vista, col vestito buono e con le mani strette sul rosario. Giuliano Zincone, morto quest’anno, scrisse queste note sul Foglio, nel 2007.
Le donne non cercano gli uomini belli. Le donne cercano gli uomini che hanno avuto donne belle. Per questo, avere una donna brutta è un errore fatale. Milan Kundera, Il libro del riso e dell’oblio. Bompiani. 1978.
Ci sentiamo onnipotenti e un colpo di tosse ci può essere fatale. Roberto Gervaso. Il Messaggero.