Antonio Pitoni, La Stampa 12/12/2013, 12 dicembre 2013
POSTE AI PRIVATI MODELLO TEDESCO
La premessa è chiara: «Nessuno di noi si sogna di svendere per fare cassa». In Parlamento, nel discorso sulla fiducia, Enrico Letta assicura e rassicura. E se il primo blocco del cronoprogramma sulle privatizzazioni vale tra i 10 e i 12 miliardi di euro, nel «secondo tempo» del piano di dismissioni del governo, che partirà nel 2014, spuntano ora anche le Poste.
«Stiamo parlando di quote non di controllo», avverte il presidente del Consiglio. «Studieremo con l’azienda e con i sindacati – spiega – l’apertura del capitale di Poste e di altre aziende e la partecipazione dei lavoratori all’azionariato, permettendo loro rappresentanza negli organi societari». Un’operazione che guarda alla Germania come modello. «È un’esperienza unica, un tentativo, quello di sperimentare in Italia la Mitbestimmung tedesca – prosegue Letta – destinato a influenzare in meglio le relazioni industriali e il modello di impresa nel nostro Paese». Quello delle Poste, d’altra parte, si conferma, anche nel 2013, tra le note più dolenti nello «spartito» tutt’altro che incoraggiante del mercato italiano. Bocciato senza appello dall’indice delle liberalizzazioni elaborato dall’Istituto Bruno Leoni. In una scala in cui il 60 rappresenta la sufficienza, il nostro Paese ha raccattato una media di appena 28 punti, ultima in Europa alle spalle della Grecia. E se solo il mercato del gas, alla fine, ha ottenuto la promozione (con 78 punti), tra i nove settori monitorati il mercato postale si è piazzato al penultimo posto con appena 2 punti, davanti solo a quello televisivo (zero). Nonostante i passi avanti fatti nel 2012 in seguito al recepimento delle nuove direttive europee, l’Italia rappresenta ancora, secondo l’Istituto, l’esempio più eclatante di «come il controllo pubblico su Poste ne faccia un attore politico più che un soggetto economico».
Il piano del governo incassa il placet della Cisl, il sindacato maggiormente rappresentativo all’interno dell’azienda. «Mi sembra una buona cosa, è un’istanza che noi abbiamo lanciato da molto tempo», fa notare Raffaele Bonanni. «E’ una nostra richiesta rivedere elementi di governance e di partecipazione dei lavoratori al controllo delle imprese – aggiunge –. E’ la nostra richiesta dare le azioni ai lavoratori, cosa che significa vendere alcune azioni del mercato finanziario e questo però può andar bene se c’è un controbilanciamento con le azioni dei lavoratori». Letteralmente «cogestione», la Mitbestimmung tedesca prevede la partecipazione attiva dei lavoratori nei processi decisionali delle aziende, ai risultati economici e alla redistribuzione degli utili. Un modello, diffuso anche negli Stati Uniti, che in Germania si caratterizza proprio per il significativo potere di gestione riconosciuto ai lavoratori per il tramite delle rappresentanze sindacali. Ma se la Cisl accelera, la Fiom frena. «Per noi partecipazione è essere coinvolti nelle scelte delle aziende - afferma il leader Maurizio Landini -. Altra cosa è l’entrata nell’azionariato. A quello diciamo no perché non vogliamo che i lavoratori rischino i loro soldi».