Riccardo Raimondi, La Repubblica 12/12/2013, 12 dicembre 2013
BIRRA LA RIVINCITA DELLA BIONDA A CHILOMETRO ZERO
Quando iniziano a farlo per lavoro, hanno tra i ventisette e i trentacinque anni. E arrivano al grande passo dopo aver coltivato la passione per la birra per parecchio tempo, producendosela in casa e viaggiando all’estero per conoscere le aziende belghe e statunitensi. Sono i piccoli, piccolissimi produttori italiani di birra artigianale, aumentati a livello esponenziale negli ultimi anni. Oggi le imprese registrate sono circa quattrocento, e danno lavoro a 1800 persone, in un settore che, grazie a loro, ha visto crescere il numero di occupati diretti del 17,5 per cento negli ultimi tre anni. Di fatto, su dieci persone che producono birra quattro lavorano in aziende dalle dimensioni ridotte, che raramente arrivano a dieciquindici occupati e generalmente si fermano a due o tre. La storia della birra artigianale in Italia è abbastanza recente. Le prime produzioni sorsero a fine anni ‘80, sull’onda del successo di quelle statunitensi. «Tentativi sporadici», li definisce il direttore di Assobirra Filippo Terzaghi. Esperienze marginali, che però gettarono i semi per quello che sarebbe successo pochi anni dopo. E’ a metà degli anni Novanta, infatti, che nascono le prime realtà destinate a durare. Inizialmente si contano sulle dita di una mano, ma il boom è dietro l’angolo. «Dieci anni fa — spiega Terzaghi — erano una quarantina, nel 2006 circa duecento. Oggi, sono oltre 400». Cinquecento se si contano le firm beers, birrifici itineranti che, non avendo un impianto di produzione proprio, lo affittano per produrre con il proprio marchio e con le proprie ricette. Il risultato è che in Italia non c’è una provincia in cui non sia presente almeno un’azienda del settore, e sul mercato i marchi italiani sono oggi più di tremila. Tra i birrifici con un impianto di produzione proprio, inizialmente il fenomeno era legato soprattutto ai brew pub, locali destinati sia alla produzione che alla vendita. Oggi, la maggioranza è costituita dai microbirrifici, aziende che non distribuiscono birra direttamente e si limitano produrla. E per quanto rimangano realtà importanti soprattutto nella vendita a chilometro zero, le più grandi — che producono fino a 15mila ettolitri all’anno — hanno cominciato a esportare sistematicamente parte della loro produzione. Il 90% è costituito da aziende che producono poche decine di ettolitri all’anno, e sono attive quasi solo sul territorio provinciale. La quota di mercato, oggi tra l’11 e il 13% in valore, è in espansione del 20-30% all’anno, e alla stessa velocità stanno nascendo nuove aziende. Gli elementi che hanno favorito l’esplosione del fenomeno sono diversi, secondo Terzaghi: «Oggi, gli italiani viaggiano di più, e possono scoprire sulla birra cose che anni fa non sapevano.
Inoltre, abbiamo una cultura solida sulla fermentazione, grazie alla nostra lunghissima esperienza col vino». Non si sa, però, per quanto tempo questo ritmo di crescita potrà essere sostenibile.
Da un lato, c’è la concorrenza di aziende artigianali straniere, che hanno dimensioni maggiori e prezzi, a parità di qua-lità, più competitivi. Dall’altro, il problema delle accise, non tanto per l’importo economico, che nel caso di prodotti a prezzo alto incide poco, quanto per i costi in termini di tempo. «Abbiamo la burocrazia sulle accise più complicata d’Europa — lamenta Terzaghi — e se su due persone che lavorano in un birrificio una deve quasi esclusivamente seguire le pratiche, difficilmente riusciamo a essere competitivi».