Sergio Romano, Corriere della Sera 12/12/2013, 12 dicembre 2013
KENNEDY A BERLINO NEL 1963 UN DISCORSO MAGISTRALE
Di Kennedy mi piace ricordare la frase: «Io sono un berlinese», pronunciata a Berlino all’indomani della costruzione del muro.
Roberto Marcaccini
Caro Marcaccini,
La frase fu pronunciata nel discorso che John F. Kennedy tenne a Berlino il 26 giugno 1963, poco meno di due anni dopo la costruzione del muro; ma conclude in effetti una lunga crisi scoppiata nel 1948. A Potsdam, dopo la fine del conflitto, i vincitori della Seconda guerra mondiale avevano deciso che anche a Berlino, come nel resto della Germania, vi sarebbero state, sino alla conclusione di un trattato di pace, quattro zone di occupazione: americana, britannica, francese e sovietica. Ma pochi anni dopo, nel 1948, i sovietici tentarono di bloccare l’accesso ai settori occidentali e un anno più tardi, sul territorio del Reich tedesco, nacquero due Stati: la Repubblica federale nelle zone d’occupazione delle tre democrazie occidentali, e la Repubblica democratica nelle regioni occupate dall’Armata Rossa. Il regime quadripartito sopravvisse a Berlino, ma in condizioni, a dir poco, straordinariamente anomale. Berlino est, occupata dai sovietici, era parte integrante del territorio della Rdt; mentre le tre zone occidentali della città erano interamente circondate dal territorio dello Stato comunista e potevano essere soggette a ogni genere di pressioni e ricatti.
Eppure la città assediata, paradossalmente, divenne per l’Urss e il suo satellite una spina nel fianco. I cittadini della Rdt che desideravano fuggire in Occidente potevano salire su un treno della ferrovia metropolitana a Berlino est, attraversare la linea di demarcazione, scendere in una stazione di Berlino ovest e proseguire per l’aeroporto di Tempelhof da dove avrebbero raggiunto Francoforte in poco più di un’ora. Si calcola che dal 1952 al 1961 due milioni e 245.000 persone siano fuggite dalla Germania orientale per trasferirsi nella Repubblica federale. Non erano vecchi pensionati. Erano giovani laureati, tecnici e professionisti, attratti dal clima di libertà e dal miracolo economico della Repubblica federale. La politica tedesca dell’Urss, in quegli anni, oscillò fra due strategie: proporre agli occidentali la creazione di una Germania unificata ma neutrale o rafforzare anzitutto la Rdt cacciando gli occidentali da Berlino ovest. Il secondo obiettivo prevalse sul primo e il leader sovietico Nikita Krusciov credette di poterlo raggiungere proponendo alle potenze occidentali la creazione di una città libera da cui le potenze occupanti si sarebbe ritirate. La soluzione avrebbe consentito alla Rdt di controllare le frontiere della città libera e di bloccare l’emorragia.
Le potenze occidentali respinsero la proposta e nuovi venti di guerra soffiarono sul continente fino a quando in una notte di metà agosto del 1961, il governo della Rdt, d’intesa con Krusciov, decise di sigillare con un muro la frontiera fra la Berlino comunista e quella democratica. Fu una scelta brutale che ebbe tragiche conseguenze ogniqualvolta un tedesco dell’est cercò di scavalcare il muro. Ma ebbe anche l’effetto di mettere fine a quella emorragia di braccia e cervelli che aveva insidiato sino a quel momento l’esistenza della Rdt e di congelare la Guerra fredda con una netta separazione, di fatto riconosciuta da entrambi, fra l’est e l’ovest. La lunga crisi di Berlino fu superata perché nessuno ne era uscito completamente sconfitto o vincitore. Due mesi dopo, Kennedy poté firmare con l’Unione Sovietica il primo accordo per la messa al bando degli esperimenti nucleari. La costruzione del muro aveva creato le condizioni per un nuovo disgelo.
Il discorso del 26 giugno 1963 fu una magistrale lezione di retorica politica. A una folla di 120.000 persone, assiepate di fronte al municipio di Berlino ovest (il sindaco era Willy Brandt), Kennedy disse che il maggiore titolo d’orgoglio, nell’antichità, era il poter dire di se stesso: «sono un cittadino romano». Ebbene il maggiore titolo di orgoglio, negli anni della Guerra fredda, era poter dire ora: «Ich bin ein berliner». La frase fu accolta da un boato oceanico che si ripetè più volte in crescendo ogniqualvolta il giovane presidente americano la ripeté. I berlinesi ebbero la sensazione di essere capiti, stimati, amati e ricambiarono il presidente americano con sentimenti che avrebbero suscitato la rabbiosa gelosia di Hitler. A sua volta, trascinato dal successo, Kennedy si lasciò sfuggire una svista che passò fortunatamente inosservata. Disse che la libertà è indivisibile in una città di cui lui stesso, realisticamente, aveva accettato la divisione.