Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  dicembre 12 Giovedì calendario

VERDI A ROMA: AMORE E CENSURA L’OPERA MUTILATA, I TRIONFI DI FOLLA


Verdi e Roma: un rapporto poco conosciuto. Da un lato critica la cattiva gestione dei teatri, e in una lettera all’amico avvocato Giuseppe Piroli manifesta la sua contrarietà per un’Aida nella capitale, città dove «le opere sono massacrate»; dall’altro racconta la piacevolezza di Roma e lo «sbalordimento» nelle rare occasioni in cui vi dimorò: il suo primo soggiorno risale al 1844, quando accompagna al cembalo le prove di I due Foscari.
Ci sono tanti documenti, inediti o poco editi, che l’Accademia dei Lincei farà vedere nella mostra «Verdi e Roma», che si inaugurerà domani davanti al presidente Giorgio Napolitano. In otto sale della splendida sede, in via della Lungara 10, si ripercorrerà questo rapporto, partendo dalle quattro opere che videro la luce fra il Teatro Argentina e il Teatro Apollo (successivamente demolito per le continue inondazioni di un Tevere ancora senza argini): I due Foscari (1844), La battaglia di Legnano (1849), Il Trovatore (1853), Un ballo in maschera (1859). E poi le ricostruzioni delle prime a Roma dei suoi due ultimi titoli, che erano nati alla Scala: Otello e Falstaff . Per l’Otello «romano», Verdi chiede a Giovanni Zuccarelli nuove scenografie, più in linea con le sue indicazioni, che saranno in mostra, così come il manifesto del 1877. Sono tanti i documenti preziosi che i due curatori della mostra, Marco Guardo (direttore della Biblioteca lincea) e Olga Jesurum, hanno riportato alla luce, non solo dalle mura dell’Accademia dei Lincei sede ma coinvolgendo il Teatro dell’Opera e l’Accademia di Santa Cecilia, l’Istituto nazionale di studi verdiani e l’Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi, e gli archivi di altre città.
È centrale il «caso» della doppia censura subìta per il cambio di ambientazione e personaggi di Un ballo in m aschera, censura prima borbonica e poi, più morbida, pontificia. «Ancora si toglie un verso — commenta Verdi — e fortunatamente per l’ultima volta! Molte e molte altre cose vi sarebbero a dire; ma anche queste poche osservazioni bastano a provare che il mio dramma è stato totalmente mutilato... Le mie note, o belle o brutte che siano, non le scrivo mai a caso e procuro sempre di darvi un carattere». Nella vicenda ebbe un ruolo il Belli, che per ristrettezze economiche accettò di entrare nell’ufficio del censore. Il manoscritto, con tutte le correzioni della censura, è uno dei documenti in possesso all’Accademia; c’è la genesi di Un ballo in maschera , ovvero il libretto manoscritto di Una vendetta in domi nò e poi, su proposta dei censori, quello per Adelia degli Adimari (ambientato nella Firenze del 300) che Verdi rifiutò di musicare e in preda all’ira ribattezzò Adelia degli Animali.
«Abbiamo dimenticato cosa significava la censura, per fortuna», commenta Tullio Gregory, presidente del comitato per le celebrazioni verdiani ai Lincei. «Per noi — dice — questo non è solo un doveroso omaggio a Verdi a chiusura del bicentenario della nascita, ma è l’occasione per dare un compimento alle celebrazioni dell’unità d’Italia: Verdi, come Garibaldi, ne è stato un simbolo. In altre parole, questa mostra dà un senso finale alla presa di coscienza del moto risorgimentale».
Poco noto è il rapporto d’amicizia tra Verdi e il poeta Cesare Pascarella, che in gioventù aveva scritto un sonetto sulla musica verdiana, da lui preferita a quella di Wagner. L’amicizia tra loro due si consolida dopo il Falstaff del 1893: i due trascorsero a Milano anche il Capodanno del 1901, l’ultimo per il maestro. C’è la Roma di Verdi, con fotografie del Teatro Apollo, dell’Hotel Quirinale o della locanda Europa dove egli dimorava, o la stazione Termini, quando una folla di diecimila persone accolse trionfalmente l’arrivo di Verdi, che dovette riparare in una stanza vicina ai binari (la targa in ricordo dell’evento è ora al Museo di Roma). C’è il verbale del Gabinetto del sindaco per il conferimento della cittadinanza onoraria, il disegno in cui il compositore da giovane fu ritratto all’indomani di La battaglia di Legnano . Ma ci sono anche le vignette, per esempio quella di Verdi «con cappello alla Ernani», come se il concetto di Unità, al tempo della Repubblica romana, fosse filtrato dall’iconografia della satira nei giornali dell’epoca.
È una mostra visiva, non solo con materiali d’archivio, in linea con la dimensione della teatralità verdiana su cui indagò il musicologo Pierluigi Petrobelli, a cui l’iniziativa è dedicata. Nella sezione multimediale si propongono registrazioni storiche con le voci di Antonietta Stella, Sylvia Sass e Renato Bruson, o una versione appena restaurata di un raro Otello del 1966. E poi i figurini di Duilio Cambellotti per il Macbeth e di Domenico Gaido per Rigoletto e Aida ; i bozzetti di Un ballo in maschera di Camillo Parravicini e di Giuseppe Rossi (il più antico, 1860), o dello straordinario Don Carlo allestito da Luchino Visconti; i costumi di Tito Gobbi dal museo di Bassano del Grappa.
Una mostra davvero «unitaria», nata con il contributo della presidenza del Consiglio, a cui hanno dato una mano Milano (Scala), Venezia (Museo Correr), Torino (Teatro Regio), senza contare le collezioni private e l’archivio di Casa Ricordi.