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 2013  dicembre 12 Giovedì calendario

ORE 7, RIUNIONE. E SCOMPARE LA LENTA LITURGIA


ROMA — Il garzone del bar emerge lentamente dalle tenebre dei vicoli, tenendo con le mani un vassoio colmo di cornetti caldi e rabbrividendo.
«Aho’! Ammazza che freddo... ma che è già arivato sto’ Renzi? ».
Sono le 6,35. Davanti al portone della sede del Partito democratico, in via delle Fratte, staziona un gruppo di fotografi e cameraman.
(Matteo Renzi, in questo momento, è ancora in albergo, e sta finendo di radersi le guance. Marianna Madia è a casa e ha appena chiamato un taxi. Davide Faraone sta ultimando la lettura dei giornali. Alessia Morani — lo racconterà lei stessa ai microfoni di «Un giorno da pecora» su Radio 2 — è alle prese con lo specchio e il rimmel ).
Cigolìo del portone. Il faccione assonnato del compagno usciere. «Sai che c’è? C’è che se Matteuccio pensa de cambià er partito convocando le segreterie all’alba, pe’ me, va a sbatte ».
I dodici membri della nuova segreteria del Pd sono stati convocati, per la loro prima riunione, alle 7. Mezz’ora dopo, ha fatto sapere il gran capo, si comincia. Gradita la puntualità.
Nemmeno il tempo di guardare l’orologio e scatta l’impazzimento dei flash. Faraone, il responsabile Welfare e Scuola, è già arrivato. Sembra di ottimo umore. Ride. Si mette in posa. Raccoglie la battuta: «Ah ah ah! No, certo: la rivoluzione, come hanno scritto sul web, non russa».
Marianna Madia, talvolta, è mattiniera fino al sadismo e perciò, ecco, è qui anche lei. Con l’aria rilassata che una persona normale può avere alle due del pomeriggio. Un cronista con microfono: «Vuol passare per la secchiona che arriva in anticipo?». La Madia (si occuperà del Lavoro) finge di non sentire, sorvola sulla battuta che le soffia nell’orecchio un altro — «Chiara Geloni, a quest’ora, starà dormendo facendo i terribili incubi dell’invidia...» — ed entra.
Dopo dieci minuti compaiono, tenendosi sottobraccio, Federica Mogherini (Europa) e Chiara Braga (Ambiente) . Mogherini, un po’ tronfia: «Siamo le prime, eh?». Alessia Morani che avanza (appassionata di tatuaggi, più tardi, alla radio, dirà che al suo segretario «un disegno “tribale” sull’avambraccio non guasterebbe, perché fa un po’ macho»). Pure lei comunque rallenta, dichiara su tutto, si mette in posa, altre foto, poi si volta: «Oh, non sbagliate il cognome, eh? Io sono Mo-ra-ni...».
Filippo Taddei, il macro-economista in quota Civati, messo a capo della sezione Economia, avendo ancora un volto anonimo, passa senza che nessuno se ne accorga. Stessa sorte per Stefano Bonaccini (Enti locali). Francesco Nicodemo (Comunicazione) viene invece riconosciuto perché c’è un operatore tivù con le foto di tutti i membri scaricate sull’Ipad. «Questo è Nicodami!». Nicodemo. «Aspé, famme controllà... Nico... Nicode... Nicodemo! Ciai ragione!».
Debora Serracchiani (Infrastrutture) sembra un filo infastidita (dicono che nella precedente segreteria, quella guidata da Guglielmo Epifani, preferisse collegarsi da Udine). Maria Elena Boschi (Riforme) con un tremendo paio di stivali tacco 12. Pina Picierno (Legalità), la più disinvolta davanti alle telecamere.
E il Lotti?
E il Renzi?
Eccoli. Renzi, poche faccine e niente battute. Più che teso, concentrato.
La riunione si tiene in una sala al terzo piano di questa enorme struttura del Seicento, l’ex collegio Nazareno dei padri Scolopi. Per raggiungere la sala occorre attraversare un terrazzo che ha un panorama magnifico, con le cupole che si stagliano su un cielo da presepe.
I cornetti sono sul tavolo. Renzi siede sul lato destro, allunga la mano e ne prende uno. Mastica veloce, guarda la Mogherini — «Alzataccia, eh?» — poi si volta verso Taddei. «Cominciamo?».
Le testimonianze raccolte tra alcuni dei presenti non in grande confidenza con il sindaco di Firenze, descriveranno, anche con toni di sorpresa, un Renzi molto diverso da quello popolare, visto mille volte alla tivù e sul palco: qui è stato operativo e assai poco incline alla battuta, lucido e tagliente, senza mezzo fronzolo.
Sentite Pina Picierno, che pure era nella segreteria di Epifani.
«Sono assolutamente entusiasta».
Può essere più precisa, onorevole?
«Ero abituata ad una liturgia lentissima. Prima la relazione del segretario, e noi tutti zitti ad ascoltare. Poi partiva la catena degli interventi, e tutti sempre ancora zitti. Quindi un timido avvio di dibattito...».
Questa mattina, invece?
«Interruzioni, ritmo, incredibile voglia di fare, tutte le idee subito sul tavolo».
E l’idea di vedervi alle 7?
«Funziona. Il Parlamento inizia a lavorare a mezzogiorno del martedì e finisce il pomeriggio del giovedì. Oggi abbiamo dato un segnale».
Dopo il segnale, diranno, servono i fatti.
«E noi questo vogliamo: fatti, fatti e ancora fatti! Ho 32 anni, io, e sono cresciuta ascoltando solo parole e promesse».