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 2013  settembre 10 Martedì calendario

«Una carezza che conforta». Questo per Maddalena Crippa è il nuovo spettacolo: un gesto d’amore non verso il suo uomo - che è lì accanto a lei, dietro le quinte, a firmare la regia - «ma verso il mio paese, ce n’è così bisogno, sono così stufa di questo continuo lamento, dell’urlo e dell’offesa

«Una carezza che conforta». Questo per Maddalena Crippa è il nuovo spettacolo: un gesto d’amore non verso il suo uomo - che è lì accanto a lei, dietro le quinte, a firmare la regia - «ma verso il mio paese, ce n’è così bisogno, sono così stufa di questo continuo lamento, dell’urlo e dell’offesa. Adesso basta». Basta, se sei un’attrice, vuol dire portare sul palco qualcosa di diverso, una riflessione che si fa canto e parola, e unisce in un’unica idea “virtuosa” dell’Italia Leopardi e Battisti, Pasolini e De André, Mariangela Gualtieri e perfino Toto Cotugno. Succederà dal 12 al 22 settembre a Roma, alla Sala Umberto, con Italia mia Italia, il nuovo spettacolo di teatro-canzone che vede l’attrice accompagnata dal pianoforte di Massimiliano Gagliardi e dalla Bubbez Orchestra. Regia, appunto, del marito Peter Stein. Lei ha già cantato a teatro gli anni Sessanta in Sboom, il Sudamerica in Sud dell’alma, Gaber. Adesso il suo canto si fa più “militante”. «È un tempo molto difficile per l’Italia, in un momento così disastroso m’è venuta voglia di fare qualcosa per il mio paese. Se bisogna ripartire, bisogna che ciascuno si rimbocchi le maniche, e riparta da dov’è. Io sono un’attrice, lo faccio dal palcoscenico. In Italia ormai si va a senso unico, non si fa che lamentarsi o accusare gli altri se le cose non vanno, con toni gridati cavalcati dalla tv e dai giornali. Non è sano. Ho voglia di spostare il fuoco, di riflettere e parlare in maniera “dolce”. Per riscoprire la nostra vera natura, le cose belle del nostro essere italiani». Cose buone che ci siamo dimenticati di avere. Quali? «L’Italia è una terra benedetta da dio e dagli uomini. È ancorata all’Europa, ma scende verso Sud, tutta costa in un mare chiuso tra le terre. Lo dice bene il sociologo Franco Cassano nel saggio Paeninsula, in un brano che è al centro dello spettacolo: abbiamo la vocazione naturale a un crocevia tra popoli e religioni, potremmo farne una forza, essere una terra in cui si sperimenta l’incontro ecumenico tra i popoli. E invece abbiamo dimenticato la vita “dolce”, aperta agli altri, alla carezza, all’abbraccio. Non siamo mai stati uniti come storia, abbiamo dovuto adattarci, mitigando le differenze. Una qualità da riscoprire». Un suo testo s’intitola, appunto, Immigrazione. «Come dimenticare che siamo stati un popolo di emigranti? E allora perché negare agli altri quello che non è stato negato a noi? Però il mio non è uno spettacolo sulla cronaca. Parla dell’oggi, certo, ma con tutti i riferimenti a ieri». Come lo ha costruito? «Sono una grande istintiva, l’unica bussola per me è la mia sensibilità verso cose che mi parlano, mi commuovono, mi riguardano. Parto sempre da un’esigenza, e il percorso è stato un’avventura. Volevo costruire un filo chiaro, ma non prevedibile né didascalico. Parto dai poeti, da Leopardi e dalla Gualtieri, ci ho messo Battisti e il viaggio di Pasolini sulle coste italiane negli anni Cinquanta, per riscoprire un’umanità e una bellezza che ci sono ancora, in Italia c’è un sacco di gente con un cuore grande così. La canzone che mi commuove di più è quella del Maggio di De André, forse perché parla di una rivoluzione che non ho fatto, ero troppo piccola, e di una speranza fallita. E poi c’è La cura di Battiato, che adoro: “Ti solleverò dai dolori, dalle ossessioni, dalle tue manie, guarirai da tutte le malattie”. La canto all’Italia». Si considera patriottica? «In qualche modo sì. Sono italiana, come i piccoli nati in Italia con genitori del Pakistan, dell’India, dell’Africa... La mia Italia li comprende tutti».