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 2013  dicembre 11 Mercoledì calendario

NON È UN MONITO LA CONSULTA HA RIPRISTINATO LA LEGALITÀ


Caro Direttore,
sono rimasto un poco stupito, ma anche divertito, che Michele Ainis sia salito in cattedra e mi abbia impartito, nell’articolo che ha scritto sul Corriere della Sera del 9 dicembre, una severa lezione su un argomento che pure, per le mie precedenti esperienze, ritenevo ingenuamente di conoscere abbastanza, cioè quello degli effetti della nota decisione della Corte costituzionale sul Porcellum. Mostra però di non avere letto, o, peggio, di avere stravolto le mie opinioni sul tema, poiché mi accusa di «terrorismo giuridico», avendo io sostenuto — secondo lui — che la sentenza riscrive il passato e che l’invalidità della legge elettorale travolgerebbe ogni decisione parlamentare dal 2005 in poi, con il risultato, per esempio, che ci toccherebbe pagare l’Imu, che sarebbe nulla l’elezione di Napolitano e tutte le nomine da lui effettuare, comprese quelle dei giudici costituzionali, e via discorrendo. Se così fosse, forse potrei accettare anche l’ulteriore accusa di avere applicato la fantascienza al diritto. Ma non è affatto così. In questi giorni ho testualmente affermato su diversi giornali, rispondendo a domande se questa sentenza travolga il passato: «Sicuramente no, tutte queste sono situazioni giuridicamente chiuse e dunque non più riesaminabili. Esistono nell’ordinamento alcuni principi, in particolare il principio della certezza giuridica, che mitigano la portata retroattiva della sentenza. Dunque, i Parlamentari eletti dal 2006, le leggi e il capo dello Stato sono situazioni che non si possono cancellare, “irretrattabili” (L’Unità , 6 dicembre)». Ed ancora: «Il passato si salva applicando i principi sulle situazioni giuridiche esaurite (La Nazione , 5 dicembre)». Ed anche nella sintesi delle varie tesi dei giuristi, che il Corriere della Sera del 7 dicembre riporta, viene citata la mia opinione, secondo cui «i Parlamenti eletti dal 2006, le leggi e il capo dello Stato sono situazioni irretrattabili, che non si possono cancellare». Queste citazioni non bastano a rivelare il mio pensiero? Evidentemente no, perché il mio censore mi sottolinea — bontà sua — concetti che «nei corsi di giurisprudenza si insegnano al primo anno» e, in particolare, che in materia vale il principio del «tempus regit actum», che naturalmente dovrebbe — secondo la sua opinione — valere anche per i 148 deputati eletti grazie al premio di maggioranza. Ma, a proposito della loro convalida da parte della Giunta delle elezioni della Camera, Ainis testualmente scrive che: «Certo, sarebbe stato meglio che quest’ultima avesse già provveduto. Sarebbe ancora meglio, molto meglio se vi provvederà, prima che la Consulta depositi la propria decisione». Ma come, in questa occasione non si applica il benedetto principio del «tempus regit actum»? Ed il Parlamento, dopo la pubblicazione della sentenza è forse in qualche modo dimidiato? Per me, che non conosco neppure le nozioni del primo anno di giurisprudenza, questo resta un mistero nel pensiero giuridico di Ainis, o forse anche lui è divenuto uno scrittore di fantascienza giuridica? Ma de hoc satis! Torniamo ai problemi seri, perché dispiace veramente che le polemiche che s’intrecciano sugli effetti di questa pronuncia rischiano in qualche modo di fare dimenticare al mondo delle istituzioni e della politica l’insegnamento profondo che proviene dal Giudice delle leggi. La verità è che la sentenza della Corte, al di là di tutte le questioni sulla sua decorrenza, ha un fondamentale valore di restaurazione del principio di legalità costituzionale, vulnerato in uno degli aspetti di fondo del nostro sistema istituzionale, appunto quello che regola i principi della rappresentanza parlamentare, contribuendo così a quella crisi della rappresentanza, che è una delle prime cause di distacco dei cittadini dalla politica. D’altra parte, si tratta di una sentenza costituzionale di annullamento, che, in quanto tale, modifica l’ordinamento giuridico ed alla quale pertanto tutti debbono dare esecuzione. È sbagliato pertanto il tentativo, più o meno sotterraneo, di trasformarla in una sorta di sentenza d’infondatezza con «monito» al legislatore di modificare il Porcellum. Questa volta è stato ufficialmente dichiarato incostituzionale quel sistema elettorale, che da molti anni consente quello che comunemente definiamo il Parlamento dei «nominati». Felicitiamoci dunque con la Corte e prepariamoci a voltare pagina, il prima possibile.
Piero Alberto Capotosti
presidente emerito della Corte costituzionale
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Ipse dixit, «L’ha detto Lui». Nel Medioevo questa formula chiudeva qualsivoglia discussione, appellandosi alla suprema autorità di Aristotele. E certamente il professor Capotosti ha tutto il diritto di ricordare le sue «precedenti esperienze» di presidente della Corte costituzionale, per corroborare le proprie opinioni. Ma se Ipse legit il mio fondo del 9 dicembre, scoprirà che non gli ho mai attribuito la tesi secondo cui sarebbe invalida l’attività parlamentare anteriore alla sentenza sul Porcellum (questa, semmai, è la tesi di Brunetta), bensì quella futura. Come Ipse dixit, per l’appunto (Huffington Post , 5 dicembre): «Dal giorno dopo la pubblicazione della sentenza questo Parlamento è esautorato perché eletto in base a una legge dichiarata incostituzionale. Quindi non potrà più fare niente». Nemmeno la legge elettorale, per dirne una. Difficile «voltare pagina» (Ipse scripsit), se non c’è più la pagina.
Michele Ainis