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 2013  dicembre 11 Mercoledì calendario

DAL CACIOCAVALLO AL GRANO I NOSTRI PARCHI SALVATI DAL CIBO MADE IN ITALY


Caciocavallo podolico, grano saraceno e castagne salveranno i nostri parchi. Alla vigilia della conferenza nazionale sulle aree protette e la green economy, un rapporto di Federparchi rovescia il modo un po’ schematico in cui siamo stati abituati a guardare la natura, invitando a consumare prodotti tipici coltivati a regola d’arte per difendere l’ambiente. Il record italiano di biodiversità (abbiamo il primato europeo per numero di specie animali e vegetali) non è solo il frutto di un lascito geologico, ma l’eredità di secoli di lavoro che hanno cesellato il paesaggio con un’attività umana capace di tenere assieme reddito e difesa della natura: l’equilibrio attuale si regge anche grazie al pascolo che conserva i prati, un habitat che l’Unione europea ci chiede di preservare.
«Senza la lenticchia di Castelluccio e lo sciacchetrà delle Cinque Terre, uno straordinario vino da meditazione, non solo avremmo un paesaggio meno vario, un’offerta turistica indebolita e la perdita di una parte del nostro patrimonio gastronomico, ma peggiorerebbe il dissesto idrogeologico per colpa dell’abbandono di ambienti fragili», ricorda Giampiero Sammuri, presidente di Federparchi. «Per questo abbiamo organizzato la conferenza La natura dell’Italia, promossa dal ministero del-l’Ambiente, assieme
ad attori economici come Unioncamere e la Fondazione per lo sviluppo sostenibile: separare la dimensione produttiva dalla conservazione sarebbe un errore».
Nel 70 per cento della superficie dei parchi nazionali l’azione dell’uomo è visibile. L’abbandono di terrazzamenti, coltivi e pascoli rischia di produrre omogeneizzazione dei paesaggi, frane e smottamenti, distruggendo ecosistemi di nicchia preziosi per molte specie, in particolare per gli uccelli. E un arretramento delle colture biologiche e biodinamiche farebbe salire la pressione dell’agricoltura intensiva dalle aree adiacenti alle zone protette rendendo più fragile la vita nei parchi a causa dell’impatto di fertilizzanti e pesticidi.
L’elenco dei casi d’eccellenza citati nello studio a sostegno di questa tesi è lungo. Senza il marrone di Valle Castellana sarebbero scomparsi gli straordinari castagneti (con piante monumentali che arrivano a 14 metri di circonferenza) inerpicati sulle pendici del Gran Sasso. Una volta venivano curati perché fornivano una materia prima necessaria per la sopravvivenza e legname per la falegnameria e l’artigianato; oggi sono minacciati dalla minor resa economica e dall’assalto delle malattie.
Per l’equilibrio della Foresta Umbra del parco del Gargano è invece importante il caciocavallo podolico, un formaggio dal profumo intenso prodotto con il latte di questa particolare specie di vacca. La drastica riduzione dei capi, allevati allo stato brado e semi brado, sta mettendo a rischio l’equilibrio tra pascoli montani, stoppie, aree di macchia.
In Valtellina un elemento chiave è il grano saraceno, un cereale tornato di moda ma coltivato in queste valli dalla fine del Cinquecento: ha avuto un ruolo determinante nell’economia del parco dello Stelvio per oltre tre secoli fino a essere utilizzato come moneta per il pagamento dei contratti agrari. La difficoltà di coltivarlo sui pendii e sui terrazzamenti e il costo della raccolta hanno limitato la sua diffusione anche se ha un valore nutrizionale molto alto e un abbondante contenuto in fibra grezza. Evitare che scompaia è importante perché nei campi di grano saraceno si trovano a loro agio il fiordaliso e l’androsace massima, una specie in via di estinzione.