Antonio Satta, Milano Finanza 10/12/2013, 10 dicembre 2013
LA MATTEONOMICS CAMBIA GURU
L’aveva detto e lo ha fatto, nel primo pomeriggio di ieri, una dozzina di ore o poco più dopo la storica vittoria alle primarie, il nuovo segretario del Pd, Matteo Renzi, ha presentato la squadra di vertice, il pacchetto di mischia della nuova segreteria: sette donne e cinque uomini, 12 dirigenti in tutto, con una novità assoluta all’Economia.
A succedere a Matteo Colaninno, come nuovo responsabile economico dei democratici, non è il guru di Renzi, l’ex manager McKinsey Yoram Gutgeld, autore del programma economico per la campagna delle primarie, ma il suo corrispettivo della mozione di Pippo Civati, ossia Filippo Taddei, macroeconomista della Johns Hopkins University Sais di Bologna.
Non che la piattaforma economica di Civati fosse agli antipodi. Anzi, come aveva scritto Taddei in un lungo articolo per Linkiesta.it, i punti di contatto con la Matteonomics sono tanti, ma ci sono anche differenze di punti di vista in aspetti non secondari. «La proposta di riduzione del carico fiscale su chi dichiara meno di 30 mila euro lordi all’anno va nella giusta direzione», sostiene Taddei. Ma visto che non si possono fare tagli alle tasse aumentando il debito pubblico, per Taddei è sbagliato pensare che lo si possa fare, come proposto da Gutgeld, vendendo in blocco le case popolari agli inquilini, o con altre operazioni straordinarie sul patrimonio. Non è mai una buona idea finanziare spese o ridurre entrate ordinarie, liberandosi di pezzi del patrimonio.
Se vogliamo alienare parte del nostro patrimonio, e ci sono ottime ragioni per farlo anche con maggiore radicalità, allora utilizziamo i proventi per ridurre il debito pubblico. In tal modo si potrebbero sgravare le generazioni future». Una dichiarazione chiara e netta a favore del Tagliadebito.
Non è però l’unica rottura rispetto alla solita linea economica della vecchia sinistra. Taddei, per esempio, non è d’accordo nemmeno sulla ricetta tradizionale di legare il taglio delle tasse ai successi della lotta all’evasione: «Promettere tagli alla pressione fiscale finanziati dalla lotta all’evasione non ha alcuna credibilità in Italia, al di là di chi le proponga. Gli italiani lo sanno e non ci crederebbero. Inoltre, francamente, la pressione fiscale sul reddito in Italia è spropositata. Lanciarsi nella lotta all’evasione senza prima abbassarla significa disconoscere questa ovvietà ed essere destinati a una crisi di consenso a cui nessun governo prima è riuscito a fare fronte».
Posizione innovativa anche sull’articolo 18. Ricordando che anche «Gutgeld osserva con esattezza che il dibattito sull’Articolo 18 è stato completamente fuorviante. Il tema non dovrebbe essere centrale al nostro dibattito. Eppure, riconoscere il fatto che il dibattito sia stato errato e manchevole non equivale a risolvere il problema sottostante. Il mercato del lavoro italiano non offre incentivi individuali alla formazione e all’impegno perché gli stipendi sono fermi (qui vale quanto osservato sopra), ma soprattutto una fetta sempre maggiore della popolazione, specie tra i giovani, non trova un inquadramento professionale che possa favorire questo impegno».
Taddei sulla questione vuole essere più chiaro: «Il problema italiano è un’anomalia europea, forse mondiale. Abbiamo una percentuale di lavoratori autonomi doppia rispetto alla Germania e una percentuale di lavoratori a tempo determinato che, anche se è comparabile alla Germania e Francia tra i giovani, rimane molto più alta tra i lavoratori più anziani. Mentre da noi i lavoratori a tempo determinato danno origine al fenomeno del precariato prolungato, in quei Paesi le percentuali di lavoratori temporanei si riducono drasticamente con l’anzianità del lavoratore. La sinistra intellettuale italiana ha prodotto due grandi progetti di riforma su questo tema: la Flexsecurity di Ichino e il Contratto Unico di Boeri e Garibaldi. Se si vuole abbandonare la proposta di Ichino, almeno non si dimentichi che esiste l’alternativa di Boeri e Garibaldi. Solo all’apparenza è meno ambiziosa, e avrebbe un effetto immediato molto forte. Non sembra comprensibile rinunciare ad affrontare la dualità del mercato del lavoro se si vuole diventare la proposta politica del Pd per il governo».