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 2013  dicembre 11 Mercoledì calendario

SIMONA ATZORI IO CHE HO LE MANI (IN BASSO)


Mentre il treno si avvicina alla stazione di Gerenzano (Varese) dove ho appuntamento con Simona Atzori, il mio unico pensiero è: «Paola, stai attenta, non usare espressioni come essere in buone mani, accogliere a braccia aperte, avere un braccio destro. Insomma, non fare gaffe».
Perché Simona non ha le braccia. Ha 39 anni, è diventata famosa prima come pittrice e poi come ballerina professionista. Gira l’Italia con i suoi spettacoli, nel 2011 ha scritto un libro sulla sua storia che si intitola Cosa ti manca per essere felice? (Mondadori), e di recente ha fatto da coach a Raoul Bova per Indovina chi viene a Natale? di Fausto Brizzi, che esce il 19 dicembre. Nel film Bova interpreta un uomo che ha perso le braccia in un incidente.
Simona è nata senza braccia, ma ha sviluppato un’impressionante capacità nell’usare gambe e piedi, al posto degli arti mancanti. Così mi avevano detto, così avevo letto. Ma non immaginavo quanto.
Alla stazione, Simona è venuta a prendermi in macchina. Guidava lei. Con i suoi piedi, piccoli e aggraziati, avvinghiati al volante. Poi siamo andate in un bar e abbiamo ordinato un tè. Simona ha afferrato il filo della bustina, aperto e chiuso la teiera, versato e bevuto la bevanda. Abbiamo parlato per quasi due ore. Le domande che avevo preparato le ho lasciate chiuse nel quaderno, all’improvviso mi sono parse insensate. Meglio parlare «a braccio». Mi scappa detto e lei sorride: «Non si preoccupi, sa quante volte sono io a dire: “Ti do una mano”, suscitando l’imbarazzo più totale?».

Ciò che colpisce di più, guardandola, è che non solo usa i piedi per compiere i gesti per i quali quelli come me usano le mani. Lei li usa per gesticolare.
«Lo so. Dopo avermi osservata a lungo, una volta una bambina mi disse: “Non è che tu non abbia le braccia. Tu hai solo le mani in basso”».
I bambini e la loro brutale sincerità: da piccola ha sofferto nel rapporto con i suoi coetanei?
«Se ho sofferto non lo ricordo, anche perché i miei genitori hanno scelto di farmi fare la stessa vita degli altri bambini, mandandomi all’asilo e a scuola come tutti. E poi, il vantaggio dei bambini è che se hanno qualcosa da domandare lo domandano, con schiettezza».
Allora le farò una domanda da bambina: come fa a fare la pipì da sola?
«Come la fa lei! Scherzo, ho capito che cosa vuole dire. Con i piedi mi tiro giù i pantaloni, che normalmente uso con l’elastico».
Nel trailer del film di Brizzi, Raoul Bova mangia con i piedi come fa lei, ma in alcune scene ha protesi al posto delle braccia. Lei le ha mai usate? Non sarebbe meglio?
«La prima risposta è sì, le ho usate per un certo periodo da bambina. Non le amavo per niente. Appena me le mettevano, cambiavo espressione. E poi, tenga conto che io non ho un pezzo di braccio a cui attaccarle, io non ho niente, nemmeno il movimento della spalla. Quindi è molto complicato».
Se un domani esistessero protesi comodissime e leggere, cambierebbe idea?
«No, perché con le braccia non sarei più io».
Chi è Simona? Lo racconti come se fossimo su Skype, come se io potessi vedere solo il suo viso.
«Simona è, prima di tutto, una figlia molto desiderata e molto amata. I miei genitori hanno perso i loro primi due bambini, poi è arrivata mia sorella Gioia, infine io. Non si sono mai persi d’animo. Dopo lo choc iniziale, hanno accettato la sfida e si sono messi in mente di farmi avere la vita più serena possibile».
Come?
«Hanno imparato – e mi hanno insegnato – a guardare la vita da un’altra prospettiva. Molto presto ho iniziato a dipingere, e poi a studiare danza. Ho finito il liceo e poi mi sono iscritta all’università per studiare Lingue. La mia straordinaria mamma, che purtroppo è mancata un anno fa, è sempre stata molto sincera. Mi diceva che lo studio sarebbe stato la mia salvezza, che – a differenza di mia sorella – se io non avessi studiato non avrei avuto la possibilità di guadagnarmi da vivere con un lavoro manuale qualsiasi. In realtà, mia sorella è studiosissima: oggi è medico omeopata e vive in Canada. Per cinque anni siamo stati tutti con lei: io ho perfezionato l’inglese e concluso gli studi, laureandomi in Visual Arts».
Meglio il Canada o l’Italia per un disabile?
«E me lo chiede? In Canada c’è una cultura dell’integrazione che noi ci sogniamo. Si prevede l’inclusione di tutti: gente di ogni nazionalità, colore della pelle, religione. E quindi è previsto che ci siano anche quelli come me. Tutte le porte dell’università che frequentavo, per esempio, avevano pulsanti particolari, per cui io non ho mai dovuto chiedere aiuto a nessuno, nemmeno per entrare o uscire da una stanza».
La sua condizione le crea dei problemi di salute?
«Per molto tempo ho avuto dolori terribili alla schiena, ho dovuto portare il busto: le mie forze sono molto sbilanciate. Ma la danza mi ha aiutata in questo senso».
In effetti, ha dell’incredibile.
«Ma no, non sono mica una maga, e non vengo da un altro pianeta. È che, non avendo le braccia, ho imparato a sviluppare il potenziale di altre parti del corpo. Lo ripeto sempre nelle conferenze motivazionali che mi invitano a fare in giro per l’Italia: la mia non è una storia che insegna ad avere coraggio, la mia è una storia che insegna a non porsi limiti. I limiti peggiori sono quelli che impongono gli altri. Se i miei genitori avessero dato retta all’opinione comune, io non sarei qui a parlarne con lei».
Quando ha capito di essere diversa dagli altri?
«Non l’ho ancora capito (ride, ndr). Meglio: l’ho capito, ma penso che questa sia la mia identità, che per me le braccia non erano previste».
Pensa che la sua storia sia paragonabile, in qualche modo, a quella di Alex Zanardi, che ha perso le gambe in un incidente?
«Difficile dirlo: lui non sa che cosa significa nascere “senza”, io non so che cosa vuole dire trovarsi all’improvviso “senza”. Sono amica del campione di sci nautico Jeff Onorato, che non ha più un braccio. Una volta mi ha fatto sciare con lui. Lo so, siamo pazzi. Lui festeggia come compleanno il giorno in cui ha avuto l’incidente, perché dice che in quel momento è nato per la seconda volta».
Posso chiederle se ha un compagno?
«Lo avevo. Fa il pilota di elicotteri. Ci siamo lasciati dopo tredici anni di convivenza. Adesso sono sola. Mio padre, solo anche lui, sta al piano di sopra. È stato un anno un po’ difficile, per la nostra famiglia».
Un’altra domanda da bambini: riesce a cucinare da sola?
«Prima cucinava il mio ex. Adesso ho una cucina alla mia altezza, faccio tutto da seduta, ma oltre alla pasta non vado. Però, intendo imparare».
Vorrebbe innamorarsi di nuovo?
«Certo. In questo sono proprio come tutte le single di trentanove anni che ci sono in giro».